Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Intervista
di Paolo Valentino*
Il leader socialdemocratico, cancelliere per 8 anni: «L’imperativo del momento è solidarietà. D’accordo con Conte su un fondo europeo per la ricostruzione»

Se c’è un Paese che deve capire come dopo una crisi esistenziale occorra un sostegno finanziario paneuropeo alla ricostruzione di chi l’ha subita, questo è la Germania. Gerhard Schröder pone nella prospettiva storica il debito tedesco verso gli alleati europei. Nel giorno del suo compleanno, ieri ne ha compiuti 76, l’ex cancelliere tedesco manda un messaggio di amicizia e solidarietà all’Italia, colpita dalla pandemia. Nell’intervista al nostro giornale, Schröder si pronuncia in favore del pacchetto di aiuti in discussione a Bruxelles, ma apre anche sui coronabond, o in alternativa su una obbligazione europea comune una tantum, sia pure come «necessario strumento della fase successiva».

Signor cancelliere, la crisi del coronavirus pone all’Europa una sfida drammatica. Cos’è in gioco?
«Se guardiamo alla situazione nel vostro Paese, in Spagna, in Francia, è giusto parlare di una minaccia esistenziale nel vero senso della parola. Siamo scioccati dalle immagini che vengono dall’Italia, in particolare da Bergamo. E sono felice che la Germania abbia deciso di accogliere e curare pazienti italiani e di inviare materiale sanitario. Forse è vero che avremmo dovuto decidere prima e comunicarlo meglio, ma è anche vero che ci confrontiamo tutti con una crisi straordinaria. La parola del momento è solidarietà, per tutti, anche a livello europeo e internazionale. Perché se l’Unione e i Paesi membri non vincono questa sfida, allora l’intero progetto europeo è in pericolo. Non dobbiamo permetterlo e penso anche che non succederà: l’Europa è una comunità di destini».

L’Unione europea ha già varato importanti misure per contrastare le conseguenze economiche della pandemia. Ma è chiaro che occorre di più. Finora gran parte delle risposte sono state nazionali. Con quali strumenti e in quale dimensione deve articolarsi la risposta europea?
«In primo luogo, dev’essere una risposta veloce e la stiamo dando. Per questo bisogna usare quello che già esiste: il Meccanismo europeo di stabilità senza particolari condizionalità, la Banca europea degli Investimenti e la Commissione. Il pacchetto da 540 miliardi di euro in discussione è un segnale forte. In più c’è l’azione della Banca centrale europea, che sta acquistando titoli pubblici e privati per stabilizzare i mercati finanziari. E anche questo è bene. Il nostro obiettivo primario ora dev’essere tenere in vita le imprese, mettere in sicurezza i posti di lavoro e offrire sufficiente liquidità agli Stati per metterli in condizione di agire».

Ma lei è favorevole ai cosiddetti coronabond?

«Sono convinto che come prossimo passo abbiamo bisogno anche di uno strumento di debito comune europeo. Possono essere gli eurobond, anche se non sono veloci da realizzare, oppure può essere un’obbligazione comune e una tantum».

C’è un forte dibattito in Germania proprio sul tema della mutualizzazione del debito. Perché il tema della solidarietà finanziaria con i Paesi europei, in particolare con l’Italia, è così controverso? Qual è la sua posizione?
«Ho l’impressione che l’atteggiamento della Germania sul debito stia cambiando. La situazione è anche molto diversa da quella della crisi finanziaria del 2008. Italia e Spagna vengono colpite dalla pandemia senza alcuna colpa. E le conseguenze economiche, sociali e umane sono molto più devastanti di allora. Nel frattempo, molti economisti tedeschi, gli stessi che finora avevano sempre osteggiato gli eurobond, esprimono l’opinione che siano proprio questi la direzione da prendere. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte propone anche un fondo per la ricostruzione. Io dico: perché no? Se c’è un Paese che deve capire che dopo una crisi esistenziale è indispensabile avere un sostegno paneuropeo per la ricostruzione, questo è la Germania. Noi siamo stati aiutati molto dopo la Seconda guerra mondiale, nonostante fossimo stati proprio noi a causarla».

La Germania è il Paese che ha tratto i maggiori vantaggi dal mercato unico e dalla moneta comune. Gli ex ministri degli Esteri, Sigmar Gabriel e Joschka Fischer - il primo suo compagno di partito, il secondo suo vicecancelliere - dicono che sia giunto il momento che «la Germania usi per questa Europa parte della ricchezza ottenuta grazie all’Europa». È d’accordo?
«Penso che ci avvantaggiamo tutti dall’Europa unita, sul piano politico, culturale ed economico. Per questo dobbiamo rapidamente tornare a una normalizzazione della vita. Le frontiere interne non possono rimanere chiuse a lungo. Le persone devono potersi incontrare di nuovo. Le imprese devono tornare a produrre. È una questione che si pone non solo la Germania. Cruciale è agire insieme e possibilmente cercare soluzioni europee. Questo è il mio appello».

La pandemia del coronavirus rischia di essere la prima di una serie di crisi a cascata che investiranno il mondo intero: minaccia di default per le economie avanzate, prospettiva di una Grande depressione per quelle emergenti come Brasile, India o Indonesia, esplosione degli Stati petroliferi come Libia, Iran, Iraq, Venezuela e l’abisso di milioni di vittime in Africa. Quale di questi scenari considera più realistico e la preoccupa di più?
«Ogni singola crisi è fonte di forte preoccupazione nel mondo globalizzato. E la prima lezione di questa pandemia è che siamo di fronte a una sfida che nessuna nazione può vincere da sola. Io però sono e rimango un ottimista: forse questa crisi globale ci porterà a una riflessione. E cioè che viviamo tutti sullo stesso pianeta e possiamo avere successo soltanto insieme. Questo è vero non solo nella lotta contro il Covid-19 e altre pandemie, ma anche nella soluzione di problemi globali come i cambiamenti climatici, la fame, il sottosviluppo. Invece di confrontazione, abbiamo bisogno di più cooperazione. Se questa semplice verità venisse compresa a Washington, a Mosca, a Pechino e a Bruxelles, sarebbe un bene per tutti».

* Corrispondente a Berlino

Tratto da: Il Corriere della Sera dell'8 aprile 2020

Foto © Imagoeconomica