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antoci giuseppe bndi Luciano Armeli Iapichino
In tempi dei nuovi professionisti del mascariamento - dopo quelli dell’antimafia -, che supportano pure le commissioni antimafia operanti al contrario; in tempi in cui l’affidabilità verso chi dovrebbe tutelare gli interessi delle vittime e dei deboli, della verità e della giustizia, è pari a zero o in favore dei carnefici; in tempi in cui definire “gran bel pezzo di merda” un boss condannato all’ergastolo per la strage di Capaci è reato; in tempi in cui sindacalisti e socialisti siciliani come Bernardino Verro, Salvatore Carnevale, Accursio Miraglia, Placido Rizzotto si rivoltano nella tomba per le agiografie, le messe e le rivalutazioni per Bettino Craxi volute da certi altri socialisti e non solo, arriva per la Sicilia e, in particolare per i Nebrodi, un giorno importante: quello della maxi-operazione “Nebrodi”, ai danni della mafia dei pascoli - clan dei Batanesi e dei Bontempo Scavo - operante anche in provincia di Enna e Catania, condotta dai Carabinieri e dalla Guardia di Finanza e coordinata dalla DDA di Messina del procuratore-capo Maurizio De Lucia.

Era nell’aria, si aspettava, era necessaria per chi - magistrati compresi - in questi ultimi tempi aveva subìto dagli arcieri del fango sotto le più svariate vesti, virtuosi del mascariamento e dei dossieraggi anonimi, immondizia mediatica e disinformante, falsità e, tra le righe, accuse di incompetenza e inconsistenza.

Per chi conosce i Nebrodi, per chi ci vive, per chi ne respira l’aria tutti i giorni, per chi ha investito i risparmi e il futuro e ha visto, di contro e per decenni, solo mattanze impunite, cimiteri, il volo dei grifoni e il serpeggiare sempre più diffuso nel linguaggio comune di alcuni nuovi acronimi quali C.A.A. (Centri Assistenza Agricola), A.GE.A. (Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura), SIAN (è lo strumento attraverso il quale viene attuato il processo di "telematizzazione" nella gestione dei servizi realizzati dal Sistema Informativo Agricolo Nazionale) - tutte componenti di una giungla burocratica più ampia, la P.A.C., la Politica Agricola Comunitaria che elargisce contributi comunitari ingurgitati dalle consorterie mafiose nebroidee grazie all’ausilio di sua maestà la zona grigia - oggi pare essere arrivato il giorno del giudizio. Per mafiosi e alcuni colletti bianchi.

Tra i reati contestati: truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atto pubblico, beni ed utilità di provenienza illecita, trasferimento fraudolento di valori, estorsione.

Novantaquattro misure cautelari, 151 aziende sequestrate, 5.5 milioni di euro truffati dal 2013. Numeri da capogiro. È la più imponente operazione antimafia dagli anni ‘90 in provincia di Messina.

I primi a cui saranno scese le lacrime di gioia per non aver visto vanificato anche il loro lavoro, dall’alto delle loro nuove dimore della trascendenza, saranno stati Tiziano Granata ed Emilio Todaro, i due poliziotti del Commissariato di Sant’Agata Militello, allora al comando del vice-questore aggiunto Daniele Manganaro  - che nel maggio del 2016 fu coinvolto nel conflitto a fuoco dell’attentato ad Antoci -  morti quasi due anni fa in circostanze forse ancora non del tutto chiare e che avevano operato insieme alla cosiddetta squadra dei vegetariani le prime “bonifiche” su un territorio in cui la cultura del malaffare era diventata silente ma ancor più incisiva di un tempo. Risultato di quel lavoro? La più monumentale azione di delegittimazione operata a vario livello, anche da fuoco cosiddetto “amico” contro (dopo lustri) una delle azioni più incisive operate sui Nebrodi da uomini della Polizia di Stato.  

Così l’ex Presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci (in foto), “reo” per gli zelanti mascariatori di aver subìto un attentato, autore del Protocollo che porta il suo nome, adesso legge dello Stato, che contrasta concretamente la criminalità dei pascoli a tutela delle terre non solo isolane e grazie al quale è stato possibile attivare le misure cautelari di oggi, bersaglio non di una valanga di menzogne e insulti ma di un’intera montagna di calunnie, rimosso anzitempo dopo l’insediamento del Presidente della Regione, On. Nello Musumeci, che ne aveva l’urgenza e il “sacrosanto” diritto: “Oggi è una grande vittoria dello Stato! Ringrazio la DDA di Messina nella persona del procuratore capo il dott. Maurizio De Lucia, ringrazio il ROS del comando provinciale di Messina unitamente alla Guardia di Finanza e non posso non ringraziare gli agenti della mia scorta a cui devo e si deve la tutela non solo della mia persona la notte dell’attentato ma anche dei territori dei Nebrodi contro la mafia dei pascoli”.

Netta e lapidaria la dichiarazione del procuratore De Lucia: “mai messo in dubbio l’attentato ad Antoci”, suffragata da una “documentatissima indagine” a cui si aggiungono le parole del comandante del Ros, il generale Pasquale Angelosanto: “il protocollo ha inciso profondamente contro le mafie dei Nebrodi”.

Per la procura “emerge un contesto di significazione probatoria e chiavi di lettura dell’attentato Antoci che si è posto in contrasto con gli interessi della mafia”. È la risposta tanto attesa dopo i dubbi sollevati circa il movente mafioso dell’attentato all’ex presidente Antoci da parte della Commissione regionale antimafia a guida di Claudio Fava. È la risposta del certosino, silente e concreto lavoro di uomini dello Stato, operanti a denti stretti e senza far trapelare nulla, alle pseudo-perplessità paventate a metà o a pezzi da parte di chi, stranamente, erroneamente, in buonafede, inconsapevolmente, o forse sapientemente, in malafede, rema contro gli interessi di questa Sicilia moribonda e contro chi rischia ancora per difenderla dopo decenni di stragi e di mattanze.

Il vice presidente nazionale di SOS Impresa - Rete per la legalità, Giuseppe Scandurra, ha dichiarato dal canto suo: “È con immensa gratitudine che rivolgo il mio personale grazie alla magistratura che ha anche confermato quanto siano giuste le intuizioni dell’ex presidente Antoci e quanto lo stesso Antoci sia stato effettivamente esposto alla violenza criminale mafiosa che ha attentato in tutti i modi di difendere il proprio sistema di interessi illeciti e parassitari nel Parco dei Nebrodi”.  

Il cerchio si è chiuso? Forse. O forse no! Si aspetta la chiusura definitiva su quei professionisti del mascariamento e a chi ha catalizzato le loro fangate nella ex provincia babba messinese, che hanno perpetrato, già da fin troppo tempo e spesso, danni ancor più gravi della mafia.

L’aspettano i siciliani liberi e pensanti.

Ai lor signori, i mascariatori, rivolgiamo un invito: quello di rimuovere le pietre sulla statale Cesarò-San Fratello, luogo dell’attentato a Giuseppe Antoci.