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scarpinato roberto c imagoeconomica 0di Roberto Scarpinato
Intervento del Procuratore Generale in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2019

La relazione del Presidente della Corte anche quest'anno è così esauriente nella ragionata esposizione dei flussi dell'attività svolta dalla magistratura del distretto e nell'analisi delle criticità riscontrate, da esonerarmi dal ripercorrere a mia volta gli stessi itinerari argomentativi.
Mi limito dunque ad accennare quanto ai profili produttivistici della magistratura requirente, solo ad alcuni dati che attestano come nel periodo in esame tutte le sette Procure della Repubblica del Distretto abbiano mantenuto standard di assoluto rilievo.
Sono stati iscritti 89.541 nuovi procedimenti penali e ne sono stati definiti 92.263, quindi più del 3,0% di quelli sopravvenuti.
L'83,1% dei procedimenti è stato definito entro l'arco temporale di due anni, nel pieno rispetto dei termini di durata massima previsti dall'articolo 407.c.p.p.
La percentuale di prescrizione presso le Procure è stata di appena l'1,8%, risultante dalla media tra il massimo del 3,9% della Procura di Agrigento e il minimo dello 0.6% della Procura di Sciacca. Tra le meno elevate in campo nazionale.
Quanto alle indagini preliminari, sono state richieste ed eseguite 1291 misure cautelari personali 504 misure cautelari reali.
La fase del giudizio ha comportato l'impegno dei magistrati requirenti in ben 15.064 udienze.
E, tuttavia, se i dati statistici sono rassicuranti in ordine all'efficenza interna degli apparati requirenti, sulla loro capacità cioè di gestire e definire in tempi congrui l'enorme massa di notizie di reato che ogni anno pervengono, non pare che a tale efficenza interna corrisponda una proporzionale efficacia esterna, una analoga capacità cioè di incidere in modo significativo e costante sulle varie forme di illegalità che caratterizzano il territorio del nostro distretto, determinandone nel lungo periodo la graduale regressione.
Se si esamina infatti l'evoluzione delle forme criminali nel quinquennio, e ancora di più nel decennio, ci si rende infatti conto che, al di là delle flessioni o degli incrementi statistici che ogni anno si registrano nelle varie tipologie di reato rispetto all'anno precedente, nel lungo periodo - fatta eccezion per gli omicidi - si profila un andamento sostanzialmente lunare e costante per la maggior parte dei reati, e in taluni casi una crescita continua, come ad esempio per i reati in materia di stupefacenti.

Alla luce di una lettura di sistema di lungo periodo - e tranne che per lo specifico settore dell'antimafia per il quale valgono invece considerazioni diverse alle quali pur accennerò nel proseguo - pare dunque di trovarsi per quanto riguarda la giurisdizione penale ordinaria nel distretto di Palermo dinanzi all'apparente ossimoro di un sistema efficiente ma inefficace, di un sistema cioè che , nonostante le risorse investite, gli sforzi organizzativi, i sacrifici personali, non riesce ad andare al di là di una mera azione di contenimento di fenomenologie criminali che sembrano restare in buona misura insensibili nel loro andamento alla risposta giudiziaria e all'incremento della sua efficenza.

Le cause che determinano l'ossimoro di un sistema efficiente ma inefficace sono molteplici di tale complessità da non potere essere esaminate nei pochi minuti di un intervento, mi limiterò dunque ad accennare solo ad alcune di esse.
Una prima causa può essere individuata in alcuni deficit delle politiche criminali e legislative adottate negli ultimi anni caratterizzate da una incoerenza e da un ricorrente uso dello strumento penale per finalità politiche di gestione del consenso, a prescindere dalla reale utilità di molte delle norme emanate.

Quanto alla incoerenza, si consideri che per un verso sono state approvate leggi come i decreti legislativi n.7 e n.8 del 15 gennaio 2016 di depenalizzazione di reati di modesta offensività allo scopo di garantire la sostenibilità della giustizia penale, evitando l'ingresso nel circuito processuale di casi che possono chiudersi senza una sanzione penale, e, per altro verso, sono state approvate leggi che, andando in direzione esattamente contraria, hanno introdotto un flusso continuo di nuove fattispecie di reato anche per fatti di modestia offensività che hanno nuovamente ingolfato la giurisdizione penale, rischiando così di vanificare nel tempo gli scopi e gli effetti deflativi ch si volevano conseguire.
Basti considerare che con il decreto legge del 4 ottobre 2018 n.113 (decreto sicurezza, ndr) convertito nella legge 1 dicembre 2018 n.32 sono state introdotte ben nove nuove figure di reato, tra le quali:
Il reato di esercizio molesto dell’accattonaggio punito con la pena dell'arresto da tre a sei mesi l'ammenda da euro 3.000 a 6.000.
Il reato di organizzazione dell'accattonaggio e il reato di impiego di minori nell'accattonaggio sanzionati con la pena da uno a tre anni di reclusione.
Il reato di esercizio abusivo dell'attività di parcheggiatore punito con la pena dell'arresto da sei mesi a un anno e dell'ammenda da 2.000 a 7.000 euro.
Il reato di impiego d minori nell'esercizio abusivo dell'attività di posteggiatore o guardamacchine punito pure con la pena da sei mesi a un anno e quella dell'ammenda.
Per ragioni di sintesi, tralascio l'indicazione degli altri nuovi reati introdotti.

Dunque è presumibile che nei prossimi anni nel commentare in occasione di questa cerimonia l'andamento della giustizia, dovremo rallegrarci perché gli apparati giurisdizionali - dando prova di capacità organizzativa e con encomiabile sforzo personal - saranno riusciti a smaltire i tempi ragionevoli nei vari gradi di giudizio centinaia di procedimenti per casi di accattonaggio, di parcheggiatori abusivi e quant'altro.

Fattispecie penali nuove alle quali si annuncia ben presto s ne aggiungeranno altre, come quelle dirette a sanzionale gli abusi nella percezione del reddito di cittadinanza di nuova istituzione, e che si sommano a tante altre già esistenti e che gonfiano a dismisura i carichi degli uffici giudiziari, come ad esempio, il reato previsto dall'art.10 bis del T.U. sull'immigrazione che punisce con la pena dell'ammenda da 5.000 a 10.000 euro lo straniero che fa ingresso senza autorizzazione nel territorio dello Stato.

Una fattispecie penale la cui utilità general preventiva è per ovvi motivi unanimemente riconosciuta come nulla, ma che ciononostante continua a impegnare inutilmente e sterilmente le risorse degli uffici giudiziari.

Basti considerare che il Procuratore della Repubblica di Agrigento nel decorso anno giudiziario ha dovuto procedere alla iscrizione di ben 2.500 persone per tale reato.

Ad alimentare l'intima contraddittorietà delle politiche legislative sin qui accennata che per un verso si muovono nella direzione di un diritto penale minimo e, per altro verso, nella direzione contraria di un diritto penale ipertrofico, contribuisce un uso improprio del diritto penale che ne determina una anomala e improduttiva espansione, con la proliferazione di norme inutili, o di poca valenza sotto il profilo general preventivo e repressivo.

Ci si riferisce alla tendenza - messa in luce da tanti studiosi - di una accentuata strumentalizzazione politica del diritto penale e delle sue valenze simboliche in chiave di rassicurazione collettiva e di capostazione di un facile consenso rispetto a problemi sociali e fenomeni complessi che hanno radici profonde di ordine economico-sociale.

Problemi quali ad esempio quelli dell’immigrazione, della crescita delle fasce di povertà e del disagio sociale che sfocia in una crescita della illegalità di sussistenza, e molti altri ancora, che invece di essere gestiti mettendo in campo la progettazione di riforme di grande respiro finalizzate ad incidere sulle cause macro sociali di tali fenomeni di ordine economico e politico, vengono scaricati sulla giurisdizione penale alimentando l’illusione repressiva, l’illusione cioè che problemi di tale complessità e portata possano essere risolti mediante la facile e semplicistica scorciatoia di nuove forme di criminalizzazione e inasprimenti sanzionatori.

Da qui una delle cause di un Sistema penale che o è condannato all'inefficienza per l'impossibilità di gestire con le risorse disponibili fenomeni di tale complessità, oppure è condannato ad una efficienza-inefficace.

A investire cioè enormi risorse per non produrre in molti settori alcun significativo risultato sociale concreto, con l'ulteriore grave conseguenza di distrarre le scarse risorse disponibili da obiettivi di contrasto all'illegalità che meriterebbero invece di essere perseguiti, ma che non possono esserlo pienamente, perché altrimenti sarebbe impossibile a fine anno raggiungere il traguardo meramente quantitativo di un pareggio tra procedimenti sopravvenuti iscritti e procedimenti esitati.

Che quello del pareggio quantitativo di bilancio tra procedimenti penali sopravvenuti e quelli definiti sia divenuto un obiettivo feticcio, autoreferenziale, disancorato cioè dal concreto impatto sociale che lo sforzo produttivo così realizzato riesce a produrre, è attestato da un dato statistico nazionale meritevole di riflessione.
Secondo le statistiche ufficiali è inferiore al 10% la percentuale che lo Stato riscuote sul totale complessivo delle pene pecuniarie - multe e ammende - che ogni anno la magistratura italiana irroga a seguito di giudizi di condanna.

In altri termini, per circa il 90% i giudizi definiti cono sentenza di condanna a pene pecuniarie che riguardano un numero elevatissimo di reati, si risolvono in un inutile spreco di risorse e di tempo.

I motivi della mancata esazione delle pene pecuniarie inflitte sono vari, ma tra questi uno dei preminenti è che i soggetti condannati sono indigenti ed impossidenti.

Si tratta di una declinazione paradigmatica della incongruità di politiche criminali impenniate sull'illusione repressiva, e della miopia culturale di una visione meramente aziendalistica dell'amministrazione della giustizia che scambia per efficienza produttiva il mio smaltimento quantitativo dei procedimenti, senza interrogarsi sui motivi per cui l'incremento dell'efficienza non si traduca poi in un incremento dell'efficacia sociale della risposta penale e del lavoro svolto.

Altri fattori che contribuiscono alla vinificazione degli effetti sociali del prodotto della giurisdizione penale, alimentando l'ossimoro dell'efficienza-inefficace, sono estranei al processo penale e chiamano in causa la responsabilità delle istituzioni e di enti che venendo meno ai loro compiti, contribuiscono a determinare l'impotenza dello Stato a infrenare l'illegalità e la conseguente perdita dei credibilità delle istituzioni.

Paradigmatico al riguardo è il fenomeno dell'abusivismo edilizio.
L'unico effetto penale veramente dotato di efficacia deterrente e temuto dai condannati per i reati edilizi è l'ordine penale di demolizione degli immobili abusivamente realizzati. E' tuttavia noto che, tranne poche ammirevoli eccezioni, la quasi totalità delle amministrazioni comunali nonostante la comunicazione delle sentenze definitive di condanna e nonostante la legge urbanistica faccia obbligo agli amministratori locali di demolire i manufatti abusivi diventi proprietà comunale dopo l'inottemperanza della ingiunzione a demolire, rimane inerte anche nei casi di edifici insanabili perché realizzati in son di inedificabilità assoluta o in zone ad alto rischio idrogeologico, cioè a rischio di frane e allagamenti.
Non solo non si procede alla demolizione, ma si lascia gratuitamente la piena disponibilità degli immobili divenuti proprietà dei Comuni, ai condannati senza richiedere agli stessi il pagamento di alcun onere economico.

Tale inerzia - come hanno evidenziato con toni allarmati i Procuratori di Termini Imerese di Marsala nelle loro relazioni - ha un effetto criminogeno perché nel depotenziare la concreta valenza delle condanne penali, incentiva l'ulteriore diffusione del fenomeno, con la conseguente devastazione del territorio e l'elevazione progressiva del rischio di disastri mortali per il numero estremamente elevato di immobili abusivamente realizzati in son franose o soggette ad allagamenti.
Emblematica a riguardo è la tragedia verificatasi nel novembre del 2018 nel territorio di Casteldaccia.
Nove persone tra cui due bambini sono morte travolte da una enorme massa di acqua proveniente dallo straripamento del fiume Milicia, mentre stavano cenando in una villetta che avevano preso in affitto e che era stata abusivamente costruita a meno di 150 metri dal fiume, in una zona di inedificabilità assoluta perché ad alto rischio idrogeologico.

Il proprietario non aveva dato corso all'ordine di demolizione notificatogli nel 2008, e benché l'immobile fosse divenuto di proprietà del Comune, era stato lasciato gratuitamente nel possesso dello stesso costruttore abusivo il quale aveva così provveduto a metterlo a reddito affittandolo, e ciò benché nella stessa zona si fosse verificato in precedenza un altro allagamento.

Perché il sistema penale possa funzionare esplicando una concreta efficacia social, non basta che i pubblici ministeri e i giudici facciano la loro parte, ma occorre che essi operino in un contesto istituzionale in cui agiscono congiuntamente e sinergicamente tutte le altre forme di responsabilità e di intervento previste dall'ordinamento per assicurare l'osservanza delle leggi e la tenuta della trama sociale.

Occorre assumere consapevolezza che l'attuazione del diritto, l'affermazione del principio di responsabilità nel quotidiano modo di essere e di operare della società e delle istituzioni contro il dilagare dell'illegalità, per essere efficace deve essere una impresa collettiva di tutti gli attori istituzionali.

La riduzione dei problemi di responsabilità e di accountability solo alla dimensione penalistica, in questo e in altri settori che per ragioni di sintesi non posso esaminare, non solo depotenzia l'efficacia della risposta penale alimentando il circuito perverso di una efficienza-inefficace, ma determina l'ulteriore grave conseguenza di una perdita complessiva di credibilità di uno Stato incapace di far rispettare le regole e di dare concreto seguito alle minacce di sanzioni per i trasgressori.

Un altro fattore che determina l'impotenza della legge e della giurisdizione penale a infrenare fenomeni criminali nonostante l'stratta adeguatezza del sistema sanzionatorio, deriva dall'enorme proporzione tra l'elevatissimo numero dei reati consumati e la scarsità delle forze disponibili per l'accertamento dei reati, sproporzione che riduce ai minimi termini il rischio di essere scoperti e sanzionati, alimentando così l'ulteriore diffusione dei fenomeni.

Emblematico è al riguardo quanto accade nei settori dei reati commessi in violazione della normativa che tutela l'ambiente ed il patrimonio paesaggistico, in violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro, nonché in ordine al fenomeno criminale del caporalato sanzionato dall'art.603 bis c.p.

Fenomeni tutti che sebbene abbiano una grandissima diffusione nel territorio - come evidenziano i Procuratori del distretto - hanno una percentuale di emersione estremamente ridotta sotto il profilo statistico, per la carenza di controlli da parte dei diversi organi preposti a funzioni ispettive, quali ad esempio gli ispettori del lavoro e quelli delle aziende sanitarie, i cui organici sono assolutamente inadeguati.

Si consideri che in Sicilia l'organico degli ispettori del lavoro è di 126 unità a fronte di 462.625 imprese iscritte alle Camere di Commercio. Ogni ispettore dovrebbe controllare 3671 imprese, numero che aumenta in modo vertiginoso se si considera che, secondo il dato storico consolidato, in Sicilia esiste un ulteriore 30% di imprese in nero che non risultano dai registri ufficiali e che operano nell'illegalità.

Assolutamente insostenibile è poi la situazione a Palermo e provincia ove per una popolazione di un milione e 250.000 abitanti è previsto un organico di appena 5 ispettori del lavoro.

Ancora una volta emerge l'inadeguatezza di politiche legislative e criminali incoerenti con le finalità preventive e repressive enunciate nelle normative penali emanate.

La minaccia di sanzioni penali puramente enunciata ma priva di significativa effettività per la carenza di risorse indispensabili per dare concreta attuazione al divieto legislativo, rischia di degradare la legge penale a mera legge manifesto, inidonea come tale a esplicare una significativa efficacia sociale, vanificando altresì lo sforzo compiuto dalla giurisdizione penale e la funzione general preventiva della pena.

Ragioni di sintesi, impongono di tralasciare l'esame dell'evoluzione di altre fenomenologie criminali, quali ad esempio quelle concernenti la corruzione, i reati contro le fasce deboli che pure meriterebbero spazi di riflessione, e di avviarmi rapidamente alla conclusione con un breve accenno al Settore penale dell'antimafia, uno dei pochi che non patisce la crisi di effettività che invece caratterizza buona parte della giurisdizione penale ordinaria, perché dotato di risorse adeguate e di strumenti normativi di carattere speciale che segnano la differenza e che, proprio per questo motivo, hanno sin qui consentito una risposta repressiva adeguata, concretatasi nella condanna di tutti i vertici della organizzazione mafiosa, in un ciclo annuale ininterrotto di centinaia di arresti di appartenenti all'organizzazione, di fiancheggiatori e di collusi, nella confisca di ingentissimi patrimoni.

Nonostante l'intensità e il volume della risposta statale, l'organizzazione ha sino ad oggi dimostrato una straordinaria residenza e capacità di autorigenerarsi dovuta ad cause complesse che non è possibile esaminare in questa sede.

Alcuni indici dimostrano come tale capacità di resistenza non derivi solo da fattori interni all'organizzazione o dall'uso di metodi intimidatori classici, ma anche da fattori esogeni che chiamano in causa un lento e sotterraneo mutamento del modo di rapportarsi della mafia alla società civile lungo una traiettoria che potremmo definire come una progressiva transizione della violenza al consenso.

Se nella prima Repubblica le fonti principali dell'illecito arricchimento derivavano da un rapporto di predazione violenta nei confronti del territorio che si manifestava soprattutto nelle estorsioni e nella imposizione di posizioni di oligopolio nei settori dell'edilizia e degli appalti pubblici, nella fase attuale il rapporto si va rimodulando in una miscela di tradizione e innovazione.

Alla lenta regressione dei metodi intimidatori classici si va sempre più affiancando l'offerta sul libero mercato di beni servizi illegali per i quali si registra una domanda crescente da parte di una massa imponente di cittadini normali.

Come attestano le statistiche, cresce di anno in anno senza interruzione il numero delle iscrizioni per i reati connessi al consumo degli stupefacenti, proiezione significativa di un mercato gestito dall'organizzazione mafiosa in continua e florida espansione.Il Procuratore della Repubblica per i minorenni ha comunicato che le iscrizioni a carico di minori per i reati in materia di stupefacenti sono aumentate del 43%. Nel territorio di Agrigento l'incremento è del 222% nel Territorio di Termini Imerese del 40%. Nell'intero distretto del 24%.

Le indagini svolte nell'individuare le filiere criminali che gestiscono il traffico, hanno lumeggiato un panorama sociale che non è mafioso né colluso, ma che ciononostante contribuisce ad alimentare la ricchezza della mafia: un popolo di consumatori accaniti delle più varie droghe, traversale a tutte le generazioni e classi sociali, affollato di professionisti, impiegati, commercianti, ed altre figure professionali.

Analoghe considerazioni possono svolgersi per un altro nuovo settore che pure contribuisce in modo significativo ad accrescere la ricchezza dall'organizzazione e che pure viene trainato dalla domanda di una massa imponente di consumatori.
Mi riferisco al settore del gioco di azzardo, per il quale in Sicilia secondo l'anno 2017 sono stati spesi 4 miliardi e 503 milioni di euro con un aumento rispetto all'anno precedente di ben 303milioni.

Se le scarne linee di ragionamento sin qui svolte appaiono almeno in parte condivisibili, si può convenire che oggi non è più sufficiente affrontare i temi della Giustizia solo sul piano di un asettico tecnicismo giuridico su quello dell'incremento meramente quantitativo di procedimenti penali definiti.

I deficit, le falle di sistema, l'uso improprio del diritto penale per fini di capostazione del consenso popolare, ai quali si è accennato, non sembrano derubricabili solo a indici sporadici di una crisi contingente, ma assumono la pregnanza di sintomi precursori di una crisi generale di sistema.

Oggi più che mai in una fase storica caratterizzata da profondi riassetti degli equilibri socioeconomico, da una crescita vertiginosa delle disuguaglianze e da una conseguente crisi delle democrazie, riemerge con forza la connessione profonda e sistemica tra questione giustizia e questione della democrazia e dello Stato.

Se è vero che il sistema giustizia di un Paese è il punto più visibile e concreto in cui si manifesta il tasso di democrazia reale di un Paese, la credibilità delle istituzioni e la coesione sociale, è tempo che tutti i giuristi democratici i cittadini assumano consapevolezza che su questo terreno da tempo si sta giocando e si giocherà nell'immediato futuro, una partita essenziale per la qualità della nostra democrazia e la tenuta stessa della convivenza sociale.

Foto © Imagoeconomica

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