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nicaso antonio c imagoeconomicadi Giuseppe Tallino
L'intervista ad Antonio Nicaso, docente di Storia sociale della criminalità organizzata alla Queen’s University. E’ tra i massimi esperti di ‘Ndrangheta

‘Seguire il denaro’ non basta più. Per intercettare e sconfiggere le mafie serve altro. Le organizzazioni criminali si sono evolute: hanno creato una rete internazionale che si muove in silenzio, sotto-traccia. E per riciclare e investire il denaro sporco sfruttano ‘paradisi normativi’, consulenti legali e professionisti dell’alta finanza: è lo scenario che ha tracciato Antonio Nicaso, docente di Storia sociale della criminalità organizzata alla Queen’s University. E’ tra i massimi esperti di ‘Ndrangheta. Ha scritto numerosi libri con Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica di Catanzaro.

Professore, Nicola Schiavone, neo-pentito dei Casalesi, ha sostenuto che l’attuale fragilità del suo (ex) clan rischia di aprire le porte del Casertano ad altre organizzazione criminali.
La presenza della ‘Ndrangheta in Campania è storicamente provata: già con Domenico Tripodo ha avuto buoni rapporti con la camorra. Sono relazioni iniziate al tempo del contrabbando delle sigarette.

Adesso, invece, che tipo di contatto c’è tra i due sistemi?
C’è una relazione sinergica destinata ad incrementarsi. La ‘ndrangheta è attiva soprattutto in Terra di Lavoro e nel Salernitano, ma in Campania non si espanderà per diventare governo del territorio: tendo ad escluderlo. In Sicilia, ad esempio, si sta allargando nelle zone di Vittoria e Ragusa perché lì c’è il mercato ortofrutticolo. E poi bisogna ricordare pure che la ‘ndrangheta fornisce cocaina a camorra e Cosa nostra.

L’ipotesi che le mafie locali morenti vengano sostituite da cosche esterne è fondata?
Non bisogna sottovalutare queste organizzazioni quando sono con le spalle al muro. Che non siano forti militarmente come in passato è confermato dai fatti. Ma sono in grado di rigenerarsi: mi guarderei bene dal firmare il loro necrologio. Erroneamente siamo portati a credere che le mafie esistono quando sparano. Ed invece è quando non lo fanno che sono più pericolose: si affermano sotto altre forme.

Nessuna sostituzione, dunque, ma soltanto collaborazione.
Un partenariato criminale è già in corso e continuerà a radicarsi in Italia con il coinvolgimento delle mafie albanesi: diventeranno il braccio armato delle organizzazioni storiche. Ad esempio si occuperanno del trasporto della cocaina. I gruppi tradizionali, invece, si soffermeranno sul governo del territorio: tenteranno di infiltrarsi nelle istituzioni, di corrompere. Insomma, affideranno gli affari sporchi alle strutture emergenti.

La ‘ndrangheta, come ha già sottolineato, è tra i principali importatori di narcotici in Europa. Sul Litorale Domizio, però, c’è un’altra compagine malavitosa transnazionale che pure è capace di far arrivare ingenti quantitativi di droga in Italia: parlo della mafia nigeriana.
Una delle più importanti rotte percorsa dalla cocaina parte dal Brasile, dal porto di Santos, e raggiunge il Centro Africa, dove ci sono depositi di stoccaggio controllati proprio dalla ‘ndrangheta. La mafia nigeriana riesce a trasferire la cocaina dall’Africa al Vecchio continente e lo fa accordandosi con i broker ’ndranghetisti: trattano i prezzi nella selva colombiana e in Perù.

In pratica c’è una sorta di subappalto: le ‘ndrine delegano alla mafia nigeriana un tratto dell’iter che lo stupefacente deve compiere per arrivare in Italia.
Esatto, perché controllano le rotte, che poi sono le stesse usate per l’immigrazione clandestina. Più che scontrarsi adesso i vari gruppi criminali sono disposti a fare ‘rete’.
Albanesi e ‘ndrangheta, ad esempio, sono diventati partner in molti paesi del mondo. Prima c’era sinergia tra calabresi e mafia serbo-montenegrina. E ora collaborano pure con quella nigeriana. L’unica strategia vincente per loro è muoversi sotto traccia, evitare la violenza. La strage di Duisburg è stato un boomerang: ha fatto conoscere un fenomeno che era considerato marginale.

La mafia si è trasformata in un fenomeno globale.
E’ vero: le mafie si sono globalizzate, ma l’Antimafia no.

Nel codice penale di vari Paesi non compare il reato di associazione mafiosa.
Nel Common Law il reato associativo non è considerato: perché è contrario alla cultura e al sistema giuridico. Si punisce la partecipazione in attività criminale, ma non l’affiliazione. All’estero ci sono tante difficoltà. Per dirne una: è complicato applicare misure di prevenzioni personali e patrimoniali quando non c’è una legge che possa identificare la mafiosità di una persona.

Le mafie fanno rete tra loro. Ma in alcuni casi sono state abili a modificare il proprio assetto per insinuarsi in altri gruppi riconosciuti dalla società civile. Le cosche calabresi hanno creato la Santa per affiliare alcuni dei propri esponenti alla massoneria.
Quando spiego le mafie ai miei studenti ricorro alla formula dell’acqua. I due atomi di idrogeno rappresentano la violenza, fattore comune a tutte le organizzazioni criminali. La differenza la fa l’atomo di ossigeno che è la relazione con il potere, il concorso esterno, le collusioni. Le mafie, senza il rapporto con i maggiorenti di un paese, con i rappresentanti della politica, non potrebbero resistere.

Hanno bisogno del ‘potere’ costituito.
Le mafie non sono state mai rivoluzionarie, ma reazionarie e fenomeni di classe dirigente: sono il braccio armato del potere. Negli anni Sessanta, quando arrivano i fondi per il Mezzogiorno, la ‘ndrangheta cambia la natura della sua struttura: passa da un tessuto basato sulle amicizie funzionali al vincolo di sangue. Diventa familistica: cominciano ad affiliarsi parenti, cugini e cognati. Sente l’esigenza di sedersi con il potere, di entrare in rapporti con esponenti importanti delle finanza e delle forze dell’ordine. Per la ‘ndrangheta è stata una svolta.

Una sorta di iscrizione al circolo di tennis.
L’analogia è efficace. Richiama un po’ quelli che una volta erano i circoli dei signori, dove si sedevano avvocati e giudici. La Santa nasce con lo stesso ragionamento: consente ad alcuni ‘ndranghetisti, inizialmente 33, uno per ogni famiglia importante, di entrare nel club elitario.

Prima di stringere relazioni con il ‘potere’, prima di creare link con organizzazioni straniere, dal meridione, in tempi rapidi, hanno disteso i loro tentacoli al nord.
Bisogna spazzare vie le interpretazioni culturaliste del fenomeno: le mafie non sono il prodotto di una mentalità de territorio. Non hanno raggiunto il settentrione a causa del confino politico o del soggiorno obbligato. Al nord si sono spostate e radicate perché hanno garantito le stesse condizioni che offrivano al sud: manodopera a basso costo e servizi a prezzi stracciati, come i Casalesi nel Modenese. Volete sversare, riciclare, trasportare inerti? Lo facciamo noi, hanno risposto le cosche. Cercavano qualcuno che minimizzasse i costi e massimizzasse i profitti. E lo hanno trovato nella mafia.

A volte ci sono cortocircuiti democratici. E’ raro ma accade che a governare vadano forze ‘nuove’, almeno su carta, lontane dalle vecchie logiche.
Guardano il livello nazionale, ma non con grande attenzione. Le mafie si concentrano sui fenomeni locali. Se devono focalizzare le loro forze sulla politica, preferiscono controllare le amministrazioni comunali e non l’elezione di un rappresentante in Parlamento. Sfruttando i prestanome creano società con partner tedeschi, adesso soprattutto dell’Est Europa, per fiondarsi nel business dell’energia alternativa e in altri progetti che vengono finanziati facilmente dall’Ue. Ma si tratta di procedure gestite a livello locale, non a Bruxelles.

Ma in alcuni casi cercano comunque di interagire con chi gestisce la cosa pubblica e gli affari ad alti livelli.
Si, però quando ci riferiamo al riciclaggio di denaro, ai grandi affari non dobbiamo pensare che ad agire siano gli Schiavone o i Morabito: le organizzazioni sfruttano professionisti del settore. A gestire quei momenti delicati per i clan sono avvocati che hanno studi di diritto internazionale, commercialisti e consulenti finanziari. Fuori dall’Italia c’è uno scenario allarmante. Ci sono legali che hanno persino stabilito tariffe per riciclare denaro: le mafie pagano tra il 20 e il 25% della somma che vogliono ‘pulire’ e investire.

Per combatterle, quindi, ‘follow the money’.
Seguire il denaro è stata una grande strategia. Ma adesso non è più efficace. E le spiego il perché: ci sono banche che hanno tantissime filiali nei paesi offshores. Immagini questo scenario: io broker che gestisco i soldi di una famiglia mafiosa deposito 30 milioni di euro in una struttura dove nessuno mi chiede l’origine del denaro. Con quei quattrini che deposito in garanzia chiedo ad un’altra filiale, situata in un paese diverso, un prestito. Se devo aprire un ristorante non lo faccio con i proventi della droga, ma con un mutuo. Così la banca mi dà dieci milioni di euro e lo fa perché sa che ne ho 30 depositati in garanzia.

E l’investimento superficialmente appare pulito.
Esatto. Per gli apparati investigativi ripercorrere questi passaggi è una grande sfida: oggi uno dei problemi da affrontare con urgenza sono i ‘paradisi normativi’. Mi riferisco a quei Paesi dove ci sono blande legislazioni antimafia. E’ difficile fare indagini: le banche rispondono a criteri legati a costi-benefici. La moneta cattiva scaccia quella buona: il denaro sporco entra facilmente nell’economia legale. E’ questa la forza delle mafie. Hanno sempre meno necessità di usare le armi

Dove non arrivano i proiettili arriva il denaro.
E dove serve arriva pure Google. Alcuni mafiosi nelle intercettazioni si vantano di quello che si scrive di loro sulla rete: “Basta che digitano il nostro nome per vedere di che pasta siamo fatti”.

Uno dei suoi libri, ‘Business or Blood: Mafia Boss Vito Rizzuto’s Last War’, ha ispirato l’omonima serie tv (in Italia la prima stagione è visibile su Netflix). Alcune interpretazioni cinematografiche del ‘mondo mafioso’ spingono i più giovani ad imitare comportamenti criminali rappresentati in quelle pellicole. Ma in Bad Blood la presenza del malaffare non è totalizzante.
C’è lotta infatti. E’ sbagliato rappresentare soltanto il male. Alcune serie determinano forme di emulazione, anche perché il conflitto che lo sceneggiatore crea è tra il male e il peggio. E non c’è alternativa. Invece ogni contesto esprime il male, ma anche il bene. Raccontare solo il male è controproducente: in quei casi dovrebbe essere il telespettatore ad identificare autonomamente il bene. Ma non sempre ha la possibilità di farlo. E’ necessario raccontare la capacità del territorio di reagire: quando si dice che la Sicilia ha inventato la mafia, va aggiunto che ha creato pure l’Antimafia.

Siamo condannati a raccontare in eterno la guerra alle cosche o prima o poi riusciremo a vincerla?
Se dovessimo pensare che Cosa nostra sono i Riina e i Provenzano non vinceremo mai. La forza della mafia sta nella sua capacità di gestire rapporti con uomini che hanno potere. Serve aggredire i patrimoni, le banche che riciclano, i professionisti che puliscono il denaro. Va colpito ‘l’intreccio’. Le mafie rappresentano un fenomeno che ha più di 150 anni: sono una zavorra per il sud.

Casalesi e Cosa Nostra, stando alle indagini della Dda, negli anni sono riusciti a piazzare politici a loro vicini in posizioni apicali del Governo.
La Calabria, invece, è un territorio di frontiera. Le ‘ndrine hanno assunto un’altra strategia. Se scorriamo l’elenco dei Comuni sciolti vediamo che la camorra ha Consigli infiltrati in Campania, la mafia in Sicilia, la ‘ndrangheta, invece, oltre alla sua regione d’origine, ha enti commissariati in Emilia Romagna, Liguria, Piemonte e Lombardia. Non ha guardato ai massimi sistemi, alle elezioni parlamentari, ma alle realtà locali. Anche perché il Parlamento non ha mai posto vera attenzione alla lotta alle criminalità organizzate. Quello che abbiamo in termini di legislazione antimafia sono provvedimenti emergenziali. Sono il frutto di reazioni emotive relative a fatti eclatanti. Dopo la strage di Ciaculli abbiamo la commissione parlamentare antimafia, con gli omicidi di Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa la legge Rognoni-La Torre, e a seguito delle stragi di Palermo la legislazione premiale. Le mafie in Italia ci sono dal periodo borbonico, ma noi introduciamo provvedimenti per combatterle soltanto dal 1960 e come ‘risposta’. Non ci siamo mai seduti intorno ad un tavolo per affrontare la questione in modo strutturale.

Ma abbiamo ottimi investigatori.
Nel mondo siamo i leader nella lotta alla criminalità organizzata, ma è un’abilità nata dall’emergenza. Non c’è mai stata volontà politica di combattere le associazioni malavitose, perché servirebbe affrontare tutto quello che le sostengono dall’esterno.

Oggi si dice che la moneta più preziosa sia l’informazione.
Ed infatti la ‘ndrangheta già usa il darknet e l’undernet. In una recente operazione di Eurojust un broker dice di poter pagare in bitcoin. Il crimine sa adeguarsi. Sono in grado di coniugare vecchio e nuovo. La ‘ndrangheta è figlia della Bella società riformata, la camorra di primo ottocento, e continua ad avere le regole che la camorra, invece, ha perso. Le ha acquisite nei ‘bagni penali’, dove c’era la detenzione comune. La camorra campana ha influenzato ‘ndrangheta e Cosa nostra.

Se i Casalesi sono in crisi è proprio perché hanno allargato le proprie maglie: tutti o quasi possono entrare in quell’organizzazione. Invece diventare sgarrista è una procedura complicatissima.
Ha colto il punto. Quella calabrese è l’unica organizzazione mafiosa che è riuscita a mantenere vivo il rituale semantico della Società riformata. Lo ha modificato, ma il nocciolo è quello. Ripeto: coniugano tradizione e innovazione. In Canada, Australia e Germania fanno ancora riti di iniziazione. Servono a creare identità.

Le mafie sono fenomeni conservativi. L’Europa, dove si concentrano i principali affari delle cosche, è puntualmente scossa dal terrorismo islamico. L’Italia finora è l’unica, tra le nazioni più importanti del Vecchio continente, a non aver subito attacchi. C’entra la forte presenza delle mafie?
Che ci siano sinergie tra organizzazioni criminali e terroristi è vero. La camorra, in Campania, in alcuni casi ha fornito loro documenti falsi. La ‘ndrangheta da anni ha relazioni con i terroristi mediorientali e sudamericani. Sono organizzazioni che si finanziano con il ‘pedaggio’: la droga passa per i loro territori, come i migranti che attraversano la Siria. E per garantire il transito ricevono denaro. Non so se questi rapporti abbiano avuto o meno un ruolo nell’evitare che in Italia si verificassero attentati. Merito va dato anche l’intelligence. Ma il problema è complesso. Siamo nel campo minato delle ipotesi. Il livello dei nostri investigatori, degli uomini dei servizi è altissimo. Dappertutto è rinomata la nostra capacità in questo settore perché da tempo affrontiamo, purtroppo, fenomeni del genere. Se a questa capacità analitico-investigativa si potesse aggiungere una forte e continua volontà politica di sconfiggere le mafie, le cose potrebbero cambiare. Si potrebbe fare molto di più.

Tratto da: cronachedi.it

Foto © Imagoeconomica

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