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borsellino rita sorriso c imagoeconomicaIntervista
di Salvo Palazzolo
Palermo. «Mamma l’ha ripetuto fino all’ultimo: "Io pretendo la verità sulla strage che ha ucciso mio fratello Paolo e i ragazzi della scorta. Tutti gli italiani dovrebbero pretendere la verità sulle bombe del 1992, ne va della democrazia nel nostro Paese"».
Eccolo, il testamento morale lasciato da Rita Borsellino, morta il giorno di Ferragosto dopo una lunga malattia. «Non si è mai arresa», dice la figlia, Marta Fiore, che ha gli occhi rossi di tante notti insonni trascorse in ospedale con i fratelli Cecilia e Claudio, ma non ha mai perso il sorriso gentile di sua madre.

Nell’ultimo anniversario della strage, il 19 luglio, era voluta andare in via D’Amelio per incontrare alcuni giovani.
«E qualche ora dopo ebbe un collasso. Era ormai senza forze, ma continuava a guardare avanti. Dopo le sentenze dei processi "Trattativa Stato-mafia" e "Borsellino quater" diceva: "Bisogna ripartire da qui. Ricominciamo d’accapo"».

Dove trovava tanta forza?
«Ha vissuto in simbiosi con gli altri. Con i giovani, soprattutto. La nostra casa è stata sempre aperta. E molti compagni di scuola li ho ritrovati oggi qui, alla camera ardente. Amici che non vedevo da tanti anni. Tutti attorno a mamma e al suo sorriso, come un tempo».

Cosa vuol dire oggi la richiesta di verità e giustizia che Rita Borsellino non si è mai stancata di ribadire?
«Lei diceva: "A me non interessa sapere chi è stato. Ma voglio sapere perché? Voglio sapere, soprattutto, cosa è accaduto negli ultimi 57 giorni di vita di Paolo, i giorni che restarono da vivere a mio zio dopo l’assassinio di Giovanni Falcone. Davvero tante domande mia madre ha continuato a mettere in fila.
Domande rimaste senza risposta. Ed è accaduto di peggio. "Per 20 anni ci hanno preso in giro", ripeteva».

Per tanti anni, il falso pentito Scarantino costruito ad arte da alcuni poliziotti, e non sappiamo ancora da chi altri, ha tenuto lontana la verità sulla strage di via D’Amelio.
«Non è stata soltanto una strage di mafia. Per questo negli ultimi tempi, mamma ribadiva una domanda in particolare: "Perché non ci dicono chi ha incontrato davvero Paolo il primo luglio del 1992 al ministero dell’Interno?"».

Era il giorno dell’insediamento del nuovo ministro dell’Interno Nicola Mancino. Paolo Borsellino stava interrogando il pentito Mutolo, che per la prima volta apriva uno squarcio sui rapporti fra la mafia e il super poliziotto di Palermo Bruno Contrada, all’epoca numero tre dei servizi segreti. All’improvviso, Borsellino fu convocato al Viminale, per salutare il neo ministro. E lì, in un’anticamera, si sarebbe trovato davanti proprio Contrada.
«Domande su domande, che sono sicuro verranno raccolte dai tantissimi giovani che seguivano mia madre. L’insegnamento più grande che ci ha consegnato è quello di essere veri e coerenti a qualsiasi costo».

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha definito Rita Borsellino "testimone autorevole e autentica dell’antimafia". Quanto sarà complesso ribadire le sue domande?
«Fino all’ultimo, mamma ci ha trasmesso una grande forza. Anche quando i dolori erano intensi, ma lei non si è tirata mai indietro. Ha avuto una parola per tutti quelli che la venivano a trovare. E a tutti ha affidato un messaggio da portare avanti. Questa era la sua forza, costruire un grande movimento a piccoli passi».

Tratto da: La Repubblica

Foto © Imagoeconomica

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