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di Teresa Marchesi
C’è una ragione in più per non perdersi “Prima che la notte”, il film di Daniele Vicari su Pippo Fava che Rai1 trasmette mercoledì 23 in occasione della Giornata della legalità. Dico “film” perché non è una delle solite commemorazioni televisive edificanti e piagnone, è cinema di qualità che trabocca di vita e di allegria. Ha il ritmo di quel benedetto rock anni ’80 che le radio passavano mentre Fava radunava il suo “pugno di carusi”, che avrebbero animato “Il Giornale del Sud” e poi, assassinato il quotidiano dai finanziatori, l’autogestione d’assalto del mensile “I Siciliani”.


Era una banda di ragazzi senza esperienza, ma con la voglia di correre, in tutti i sensi, come cantava Bruce Springsteen all’epoca. Claudio Fava e Michele Gambino, che co-firmano la sceneggiatura a partire dal libro omonimo (Baldini & Castoldi), garantiscono la memoria diretta. Per i poteri catanesi diventarono subito ”i rompiscatole”. La consegna del direttore era: “Dovete raccontare quello che vedete divertendovi”. E ‘divertirsi’ vuol dire - sempre, allora come oggi - assumersi il rischio rispetto al potere, a tutti i poteri con cui ti confronti , perché non esiste solo il potere mafioso che usa il tritolo e i proiettili.
Ecco, “Prima che la notte” è un film che è stato pensato e voluto non come storia di morte - quei cinque colpi di 7,65 che freddarono Fava il 4 gennaio 1984 - ma come storia di vita. Una storia che ti lascia la voglia matta di un giornalismo che non c’è più, o che resiste in trincee bombardate, come quei 19 cronisti italiani che vivono sotto scorta.
Non il rimpianto, la voglia. E’ importante. Vuol dire usare il passato per scommettere sul futuro. Giuseppe Fava lo hanno licenziato in tronco, hanno provato a comprarlo (per 220 milioni, tantissimi, allora). Per far uscire “I Siciliani” si è ipotecato casa, le due rotative di seconda mano le hanno pagate con le cambiali. Non ci si nasce, eroi e martiri, ci si diventa perché si crede nella vita.
Ha ragione Daniele Vicari, il regista, quando dice che l’insegnamento di Fava deve valere per tutti quelli che, di mestiere, raccontano il mondo. E’ quella domanda in epigrafe alla sua tomba: “A che serve vivere, se non si ha il coraggio di lottare?” Non c’è arte e non c’è informazione libera, se non fai i conti con questa domanda.
E ha ragione Luigi Ciotti, quando a commento del film sostiene che non dei proliferanti “codici etici” nelle professioni abbiamo bisogno, ma dell’etica come professione. Volando più basso, è la consapevolezza di questa etica a dare forza ‘militante’al lavoro degli attori, Fabrizio Gifuni, Lorenza Indovina, Dario Aita e gli entusiasti “carusi” della redazione.
Come scriveva Pippo Fava in quel leggendario editoriale del 1980, “Lo spirito di un giornale”: “... Un giornalista incapace - per vigliaccheria o calcolo della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare, e le sofferenze, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze che non è stato capace di combattere. Il suo stesso fallimento!”. Trentotto anni dopo, è ancora questo il nostro vero esame di maturità.

Tratto da: articolo21.org

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