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Una sentenza certamente importante che “attesta il coinvolgimento a un altissimo livello di soggetti dello Stato che hanno esposto mio padre davanti alla mafia quale bersaglio da eliminare”. Così ha commentato Fiammetta Borsellino la sentenza che ha messo nero su bianco, con nomi e cognomi che la trattativa mafia-Stato ci fu.
Ora la figlia del giudice, che ha rilasciato due interviste a Il Fatto Quotidiano e a La Repubblica, chiede che la sentenza diventi “il motore di nuove indagini della procura di Caltanissetta sulle stragi del 1992. Perché credo che Riina e i Graviano, gli assassini di mio padre in contatto con un certo mondo economico e politico, siano stati solo uno strumento, sono stati utilizzati".
“Certamente Totò Riina era determinato a uccidere mio padre - ha specificato al Fatto la figlia del giudice Borsellino - ma penso che l’accelerazione sia stata utile anche per altri apparati non appartenenti a Cosa Nostra che avevano interesse a eliminarlo”.
E su questo punto la procura nissena, durante il quarto processo sulla strage di Borsellino ha dedicato un intero capitolo e raccolto testimonianze e riscontri. E' stato l'ex boss di Porta Nuova, Salvatore Cancemi, collaboratore di giustizia deceduto nel 2011, ad esempio a raccontare di una riunione di mafia in cui Riina aveva chiesto di fare subito la strage di via d’Amelio. E in cui il capo dei capi per tranquillizzare i boss che temevano una reazione forte da parte dello Stato per due stragi così vicine, disse: "State tranquilli, mi hanno garantito che è un bene per tutta Cosa Nostra”. “E' lecito pensare che la ferocia sanguinaria di questi uomini sia servita a tutto un apparato apparentemente non affiliato a Cosa nostra, che aveva interesse a eliminare a un uomo, mio padre, che voleva opporsi alla trattativa e indagare sui rapporti fra la mafia e il mondo degli appalti" ha detto Fiammetta a Repubblica.
I giudici venerdì hanno condannato per il reato di minaccia o violenza a corpo politico dello Stato i boss mafiosi assieme al cofondatore di Forza Italia Marcello Dell'Utri e agli ufficiali del Ros Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni. Proprio su quest'ultimo la madre di Fiammetta, Agnese Piraino Leto, aveva riferito ai magistrati che Paolo quando era in vita le aveva confidato essere “punciuto” e per questo, ha ricordato Fiammetta, “fu attaccata duramente”. Subranni fu indagato per concorso esterno in associazione mafiosa ma poi fu archiviato. “Ricordo le parole di Subranni - ha proseguito la figlia di Borsellino - Disse che mia madre era malata di alzheimer e non era vero. Né lui né gli avvocati né alcuni commentatori ebbero la minima forma di rispetto verso di lei”. Ora “bisogna aspettare le motivazioni” della sentenza di venerdì che lo ha condannato a ben 12 anni.
A chi, intellettuali e non, in questi anni di dibattimento hanno sostenuto che i carabinieri del Ros, potrebbero aver agito nell'ambito del lecito se avessero cercato il contatto con la mafia per far cessare le stragi Fiammetta Borsellino ha risposto: “Non credo affatto che questo modo di porsi rispetto alla mafia sia lecito. Uomini come mio padre ritenevano di doversi opporre alla mafia fermamente. Non avrebbe mai accettato una cosa simile”.
“Penso che dopo tanto tempo è stato sistemato solo un primo tassello” ha poi sottolineato la figlia del magistrato ucciso il 19 luglio '92, un pezzo sicuramente “importante ma deve essere letto insieme agli altri per comprendere il quadro complessivo”.
Come i tanti buchi ancora neri che avvolgono la strage di via D'Amelio: la sparizione dell'agenda rossa “non dimentichiamo che a prendere la borsa di mio padre, il 19 luglio in via D’Amelio, sono state sempre persone appartenenti ai carabinieri” ha ricordato Fiammetta. Ed anche “il depistaggio, ormai acclarato, delle indagini sulla strage potrebbe essere letto come la continuazione di un modo di operare che si intravede già nella Trattativa”.
In molti si chiedono quali altre inchieste potranno aprirsi dopo questa sentenza, intanto è già in corso l'inchiesta sui mandanti occulti delle stragi mafiose del 1993, che colpirono Firenze (in via dei Georgofili), Roma (chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro) e Milano (via Palestro), in cui sono indagati anche Berlusconi e Dell'Utri.
“Questa sentenza è un punto di partenza, non di arrivo”. Ha detto Fiammetta augurandosi “che i magistrati continuino a lavorare per giungere a una verità non solo storica ma anche giudiziaria”. “Non ci voleva una sentenza per capire che questi comportamenti erano riprovevoli moralmente - ha concluso la figlia di Borsellino - questa sentenza è il primo passo per stabilire che sono anche reati gravi”.

Foto © Ansa

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