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di Giuseppe Giulietti
In Italia ci sono stati cinque colpi di Stato e tutti contro di me...”, parole di Silvio Berlusconi, pluricondannato e incandidabile, eppure, in questi giorni di campagna elettorale, è comparso quasi ogni giorno in tv, puntando il dito contro i suoi giudici, ai quali, ovviamente, non è stato concesso il diritto di replica.
Eppure sarebbe bastato riprendere le sentenze, rileggerle, dare memoria, e rivolgere al candidato incandidabile le opportune domande.
Le cittadine e i cittadini avrebbero così appreso che Berlusconi è stato condannato per corruzione, per favoreggiamento, per evasione fiscale e che il suo braccio destro, Marcello Dell’Utri, è in carcere per associazione mafiosa, magari avrebbero potuto essere informati anche sulle numerose prescrizioni che hanno contribuito a impedire ulteriori condanne.
Quello che è accaduto in questi giorni è destinato a ripetersi e ad essere amplificato qualora Berlusconi dovesse vincere le elezioni e dovesse poter disporre dell’interruttore unico del cosiddetto polo Raiset; ipotesi possibile dal momento che il governo Renzi si è ben guardato dal risolvere il conflitto di interessi.
La lavatrice politica e mediatica si incaricherà di riscrivere la storia e di ribaltare i ruoli tra le vittime e i colpevoli.
la verita sul processo andreotti 610Chi vuole comprendere davvero la radice di questa operazione potrà utilmente leggere “La verità sul processo Andreotti”, Feltrinelli, 2018, curato da Giancarlo Caselli e da Guido Lo Forte, i due magistrati che si occuparono di quel lungo e tormentato processo.
“Assolto, assolto, assolto” urlava, davanti ai microfoni delle tv, Giulia Bongiorno, legale di Andreotti, oggi candidata nelle liste di Salvini.
Quel grido fu ripreso e fatto proprio da gran parte della politica e dall’intero sistema mediatico, salvo qualche eccezione.
Nel giro di pochi istanti ebbe inizio l’operazione di santificazione di Andreotti e di pestaggio politico e mediatico dei suoi giudici, pestaggio che è arrivato sino al punto di cambiare le leggi pur di impedire a Giancarlo Caselli di diventare procuratore nazionale antimafia.
Il legame tra cose e parole fu definitivamente spezzato, la cosiddetta sentenza di assoluzione fu cancellata da un oceano di parole e di slogan preconfezionate e destinate a travolgere qualsiasi valutazione di merito.
Caselli e Lo Forte ricostruiscono quei giorni ripercorrendo l’iter giudiziario e rileggendo con puntualità le cosiddette sentenze assolutorie.
In primo grado Andreotti é stato assolto ricorrendo alla “Insufficienza di prove”.
Nella sentenza di appello del 2003 la Corte decide per il non luogo a procedere per il reato di associazione a delinquere perché “prescritto”.
La medesima Corte, tuttavia, accetta e riconosce che quel reato sarebbe stato commesso sino alla primavera del 1980.
Si ricordi che il reato di associazione mafiosa sarebbe stato introdotto solo nel 1982.
La Cassazione, infine, confermerà questa decisione.
Andreotti, dunque, non è stato condannato solo per l’intervenuta prescrizione, ma i giudici, nei tre gradi di giudizio, hanno confermato che i rapporti con la mafia ci furono è uno degli uomini più potenti dell’Italia repubblicana aveva coltivato rapporti, direttamente o tramite i suoi fiduciari nell’isola, con i più spietati esponenti della mafia.
Un secondo dopo la lettura della sentenza è partita la campagna per la rimozione ed il ribaltamento dei ruoli.
Sul banco degli imputati il “Complotto dei giudici”, quelle “Toghe rosse” che ieri avrebbero voluto colpire Andreotti e, poi, hanno cercato di eliminare Berlusconi che, guarda caso, ha ereditato parte del sistema di alleanze gestite un tempo da Andreotti e dalla sua corrente.
La lettura delle pagine scritte da Caselli e Lo Forte è interessante perché non ci restituisce solo un giudizio sul passato, ma ci mette in guardia sulle possibili operazioni future, politiche e mediatiche.
Il riconoscimento dei legami tra Andreotti e i clan avrebbe portato, in qualsiasi altro paese europeo, alla unanime condanna politica ed etica.
La intervenuta prescrizione sarebbe stata considerata un’aggravante e non la premessa di una assoluzione.
Da noi, l’alleanza tra parte della politica e parte dei media, aggravata dal conflitto di interessi, ha consentito di ribaltare i ruoli, di cancellare la memoria e, addirittura, di riabilitare chi aveva coltivato (e coltiva) relazioni pericolose per la convivenza civile e per lo stesso ordinamento democratico.
A chi ancora accusa, tra gli altri, Caselli e Lo Forte di essere “livorosi” basterà rileggere questo passo tratto dalla sentenza emessa dalla Corte di Appello nel 2003, confermato dalla Cassazione “con la sua condotta (Andreotti) ha, non senza personale tornaconto, consapevolmente e deliberatamente coltivato una stabile relazione con il sodalizio criminale ed arrecato, comunque, allo stesso un contributo rafforzativo, manifestando la sua disponibilità a favorire i mafiosi...”
Qualcuno avrà il coraggio di ridare la parola anche a Caselli, a Lo Forte, ai tanti inquirenti di quella stagione, prima che “La grande lavatrice” proceda ad altre rimozioni e ad altre “Prescrizioni?”

Tratto da: articolo21.org

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