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maffia 500di Franco Di Carlo e Riccardo Castagneri
Depistaggi e trattative tra mafia e pezzi dello Stato sono sempre esistiti nel nostro Paese.
Una certa Italia persevera con la mentalità mafiosa e continua a negare l’evidenza, attaccando chi lotta per la legalità in un Paese devastato da mafia e corruzione, tentando di affossare e insabbiare ciò che è sotto gli occhi di tutti.
Da tempo stiamo assistendo alla gara del negazionismo in merito alla trattativa Stato-mafia.
Eppure le carte ci raccontano cose diverse. Carte che risalgono a quasi un secolo fa e rivelano che trattative tra mafia e istituzioni avvenivano già allora all’interno della prefettura di Palermo, si tratta di un verbale di polizia talmente riservato da essere dimenticato.
Il primo pentito di mafia non fu Leonardo Vitale, neppure Masino Buscetta, ma un medico palermitano: il dottor Melchiorre Allegra.
Il suo racconto ha inizio nel 1916.
All’epoca Allegra  era ufficiale medico presso il reparto malattie infettive dell’ospedale militare di Palermo ed ebbe, racconta “Degente fra gli altri ammalati un soldato di Villabate di cognome D’Agate”.
Allegra definisce le condizioni del paziente di nessuna gravità e scopre che l’ascesso che presenta se lo è procurato lui stesso con un’iniezione di tintura di iodio. Il medico minaccia il soldato, intende denunciarlo per procurata autolesione.
Intervenne allora uno zio, Giulio D’Agate, conosciuto “Come persona di riguardo, rispettato e temuto” che pregò il dottor Allegra di desistere dalla denuncia minacciata, assicurando al medico “Il meglio della sua gratitudine”.
Lo pseudo malato guarì e venne dimesso con una licenza di convalescenza di alcuni mesi.
Una sera, uscendo dall’ospedale, il dottor Allegra venne avvicinato da Giulio D’Agate e da altri due uomini ed invitato a seguirli in quanto “Dovevano comunicarmi qualche cosa che per me sarebbe stata vantaggiosa”.
I tre raggiunsero un magazzino “Quando fummo dentro mi tennero un discorso nel quale furono prodighi di lodi a mio favore e mi spiegarono che appartenevano ad un’associazione molto potente che comprendeva le categorie sociali non escluse le migliori, i cui componenti erano chiamati uomini d’onore. L’associazione era la maffia”.
La maffia aveva regole rigide e chi le trasgrediva era punito severamente, era segreta e solo chi vi apparteneva poteva con sicurezza attestarne l’esistenza.
Coloro che ve ne facevano parte si chiamavano uomini d’onore ed erano distribuiti in famiglie.
La mafia aveva ramificazioni potenti oltre i confini della Sicilia: in Tunisia, nelle americhe e in Francia, nel territorio di Marsiglia.
Il dottor Allegra accettò di far parte dell’associazione e venne dato luogo al rito “Uno spillo o ago mi punse il polpastrello del dito medio, facendo uscire una goccia di sangue, con la quale venne intrisa un’immagine di carta di una santa ed io dissi pressappoco –giuro di essere fedele ai miei fratelli, di non tradirli mai, di aiutarli sempre. Se così non fosse, possa bruciare e disperdermi come si disperde questa immagine che si consuma in cenere-“.
Allegra raccontò che la “setta” godeva di protezioni e raccomandazioni “presso le autorità giudiziarie, forze di polizia, appoggi finanziari e amministrativi. Vi appartenevano molti uomini rappresentativi. L’avvocato Ballerini, membro dell’amministrazione comunale di Palermo, Leopoldo Gorgonie presidente del Monte di Pietà, i parlamentari Nicolò Zito, Renzo Barbera e Giovanni Lo Monte”.
A cavallo tra il 1926 e il 1927 avvenne una grave scissione nella mafia palermitana, tra Nino Gentile, capo della famiglia di San Lorenzo Colli, contro Nino Grillo e Ciccio Cuccia.
La ditta Barresi aveva chiesto l’appoggio dell’onorata società per contrastare Mac Arthur che controllava i lavori portuali di Palermo.
Ottenuto lo scopo, Barresi pagò 30 mila lire che si divisero Gentile, Brandaleone e Crivello, provocando le ire di Grillo e alleati.
Quella guerra di mafia passò alla storia come “la lotta di Piana dei Colli”.
Prosegue il racconto di Allegra “Mentre infieriva questa lotta, il prefetto Mori veniva inviato a Palermo e si  accentuava la guerra contro la mafia e la malvivenza. Ma la lotta di Piana dei Colli durò lungamente e per comporre il dissidio erano arrivate dall’America le commissioni speciali dei maffiosi colà residenti, senza però riuscire a far ritornare la pace”.
Ed ecco la prima trattativa Stato-mafia.
Un personaggio importante, Lucio Tasca Bordonaro, sindaco di Palermo e senatore del Regno assunse un impegno di fronte al prefetto.
Si tratta del conte Lucio Tasca Lanza Bordonaro, esponente di primo piano del movimento separatista  dell’isola, appartenente ad una ricchissima famiglia proprietaria di mezza Sicilia. Gli eredi sono ancora oggi latifondisti e proprietari di feudi dove viene prodotto il vino Regalali.
Ci fu in prefettura un summit tra i rappresentati delle famiglie mafiose e uomini delle istituzioni, durante il quale Tasca Bordonaro si impegnò ad ottenere una pacificazione generale a patto che la polizia interrompesse retate, arresti e operazioni contro l’onorata società.
Il patto tra i vertici della mafia e il prefetto venne siglato e rispettato e venne  posta in essere quella che fu a pieno titolo la prima trattativa Stato-mafia.

Tratto da:
articolotre.com

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