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Nel saggio «L’assedio» (Einaudi), Giovanni Bianconi ricostruisce i giorni della strage di Capaci e denuncia le manovre che isolarono il magistrato ucciso dalla mafia

«Sui giornali del 30 gennaio 1992 i titoli più vistosi annunciano che i presidenti degli Stati Uniti e dell’ex Unione Sovietica, George Bush e Boris Eltsin, hanno concordato un disarmo bilaterale che dovrebbe portare al taglio di circa 2.500 testate nucleari. In Algeria c’è grande preoccupazione per gli attacchi militari sferrati dalle fazioni integraliste islamiche; in Somalia la guerra civile ha già provocato decine di migliaia di morti e folle di profughi ancora più numerose. In Italia i partiti affilano le armi. Andreotti lascia Palazzo Chigi con l’idea di trasferirsi al Quirinale dove Cossiga sta per chiudere il suo settennato…».

Uno aspetta i libri di Giovanni Bianconi anche per ricordarsi chi era, e cos’era il nostro Paese. Ad esempio il suo bellissimo racconto del caso Moro, Eseguendo la sentenza (Einaudi), comincia con la sera prima del rapimento, quando la Juventus supera i quarti di Coppa dei Campioni superando l’Ajax ai rigori. Altri libri hanno ricostruito tasselli mancanti al complesso e doloroso mosaico della storia italiana del dopoguerra: A mano armata sulla storia dei Nar e di Giusva Fioravanti; Ragazzi di malavita sulla banda della Magliana; L’attentatuni, scritto con Gaetano Savatteri, sulla strage di Capaci. Libri che hanno ispirato romanzi, film, serie tv, che sono entrati a far parte della cultura materiale italiana, senza che l’autore ambisse a salire sul palcoscenico, badando a conservare sempre il rigore e la precisione ben noti al lettore del «Corriere», e anche quel sorriso ironico appena accennato familiare a chi lavora con lui. Ora, con la stessa tecnica già applicata all’assassinio di Moro, Bianconi ricostruisce, sempre per Einaudi, il caso Falcone: L’assedio, da ieri in libreria. Una scrittura incalzante, tutta fatti, che racconta quasi giorno per giorno i mesi in cui si gioca la vita del magistrato simbolo della lotta alla mafia.

Quel 30 gennaio 1992 Giovanni Falcone è attratto in particolare da un articolo pubblicato a pagina 7 del «Corriere della Sera». È un reportage di Corrado Stajano da Palermo, «l’unica città al mondo dove sono stati assassinati tutti gli uomini dello Stato». Su quei «delitti eccellenti» Falcone ha indagato a lungo. Ha raccolto il testimone da alcuni di loro: Rocco Chinnici, Ninni Cassarà. Quel giorno da Palermo arrivano nuovi segnali di guerra: quattro o cinque persone sono sparite, segno che la pax mafiosa è finita. Falcone ormai è basato a Roma. Collabora con il ministro di Grazia e Giustizia, Claudio Martelli. Quel giorno, dopo una settimana di camera di consiglio, i giudici della Corte suprema di Cassazione dovrebbero emettere la sentenza che conferma o distrugge il maxiprocesso. «Per Falcone stanno per concludersi dieci anni di lavoro e di vita». Nelle stesse ore, Andreotti scandisce a Montecitorio il discorso di fine mandato per il suo governo e la legislatura. Un’epoca si chiude. La Camera ha appena fatto in tempo ad approvare la legge che istituisce la Procura nazionale antimafia, la «Superprocura» che Falcone ha immaginato e finalmente realizzato, per la cui guida è ora il candidato naturale.

lassedio falconeDa qui parte il racconto di Bianconi. Il verdetto della Cassazione sarà una vittoria per Falcone, che chiama subito due alleati, Piero Vigna e Paolo Borselllino. Poi brinda con un gruppo di amici: Pietro Grasso, Giannicola Sinisi, Livia Pomodoro, Liliana Ferraro. E li avverte: «Il difficile viene adesso. Perché ci sarà una reazione».

Il giorno dopo, in Sicilia, Totò Riina incontra Mariano Agate, capo del mandamento di Mazara del Vallo, a casa di un altro mafioso, Mimmo Biondino. Nasce così la trama che porterà all’assassinio di Falcone, poi a quello di Borsellino, quindi alla stagione del terrore mafioso, delle bombe di Roma, di Firenze, di Milano.

Nello stesso tempo, altri uomini tessono un’altra trama, per impedire a Falcone di diventare superprocuratore antimafia. Qualcosa del genere era già accaduta quattro anni prima: Antonino Caponnetto aveva lasciato Palermo dopo aver ricevuto assicurazione che il suo erede sarebbe stato Falcone; ma il Csm si era spaccato e aveva deciso infine di premiare Antonino Meli, «quasi del tutto a digiuno di processi di mafia, ma entrato in magistratura sedici anni prima di Falcone» annota Bianconi. Che riferisce il commento di Falcone: «Mi avete crocefisso. Perché mi avete inchiodato come bersaglio. Ora possono eseguire senza problemi la sentenza di morte già decretata da tempo, perché hanno avuto la dimostrazione che non mi vogliono neanche i miei, cioè i magistrati». Subito dopo, quando il governo deve indicare il nuovo alto commissario antimafia, non sceglie Falcone ma Domenico Sica, che l’autore definisce «pubblico ministero romano noto per le sue inchieste sul terrorismo e le trame più disparate, tra P2 e servizi segreti “deviati”, tenute aperte — all’apparenza — più per condizionare qualche potere che per arrivare a risultati concreti». Poi viene la bomba contro Falcone nella villa affittata all’Addaura, che non scoppia, ma scatena feroci ironie. Intervistato in tv da Corrado Augias, lui ammonisce: «Abbiamo tanti segnali che ci fanno temere che possano accadere delle cose spiacevoli nel prossimo futuro. Di più non posso dire».

All’anagrafe di Palermo, la data di nascita di Giovanni Falcone fu registrata il 20 maggio 1939. Ma in famiglia s’è sempre saputo che era venuto al mondo due giorni prima. Ed è il 18 maggio 1992, un lunedì, a Palermo, prima di partire per Roma, che Falcone brinda con Borsellino. «Caro Giovanni, mi hai fregato. Tu sei riuscito a superare i 52 anni. Complimenti, ti invidio molto. Io non so se ci riuscirò» gli dice l’amico. Le ultime pagine del libro, quelle in cui tutto precipita, non si possono sintetizzare. Si possono, si devono leggere, rabbrividendo, piangendo, riflettendo su quanto possa essere generoso e crudele, eroico e vigliacco questo nostro Paese.

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Foto di copertina: Anna Falcone, sorella di Giovanni, con un ritratto del fratello e della moglie saluta in lacrime un corteo (© Ansa/ Ciro Fusco)

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