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messina denaro identikitdi Giacomo Di Girolamo
Come si diventa boss
Matteo Messina Denaro non ha avuto bisogno di diventare “boss” di Cosa nostra. Lo è sempre stato. Sin da piccolo si sapeva che lui era l’erede di Francesco Messina Denaro - don Ciccio -  suo padre, potente alleato di Totò Riina e nuovo capo della mafia in provincia di Trapani (4 mandamenti, 17 famiglie) dopo che la sua famiglia insieme alla famiglia mazarese di Mariano Agate aiutò i Corleonesi a sterminare tutti i loro avversari all’interno di Cosa nostra (tra i quali la famiglia alcamese dei Rimi e quella trapanese dei Minore).
Francesco Messina Denaro, con il figlio Matteo svolgeva ufficialmente l'occupazione di fattore presso le tenute agricole della famiglia D'Alì Staiti, proprietari della Banca Sicula di Trapani (in quegli anni il più importante istituto di credito privato siciliano) e delle saline fra Trapani e Marsala. Francesco Messina Denaro fu ritrovato cadavere, stroncato da un infarto, nel 1998, nelle campagne di Castelvetrano. Era latitante da otto anni. Il suo corpo fu ritrovato già vestito, pronto per il funerale.
Il giovane Matteo impara prestissimo a sparare e a guidare la famiglia.   A sedici anni, scrive al preside della sua scuola, il Commerciale “Ferrigno” di Castelvetrano per comunicargli che si ritira. A diciotto, si presenta in un altro istituto, a Marsala, e chiede di fare da privato l’esame per il quinto anno. Viene ammesso con tutti sei, a settembre. Ma a scuola ci resta solo pochi mesi. A dicembre, si ritira. E’ il 1982, Matteo Messina Denaro ha già sparato e ucciso. Il primo omicidio per cui viene sospettato è dell’agosto di quell’anno: Cosa nostra decide di punire in modo esemplare un piccolo rapinatore che faceva assalti in banca senza autorizzazione. E’ l’inizio di una escalation di delitti.

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E Totò Riina disse: "È il mio gioiello"
A diciotto anni è già coinvolto a pieno titolo nella guerra di mafia voluta da suo padre, partecipa a decine di omicidi a Partanna, Alcamo, Marsala,  tanto che Totò Riina, che di Francesco Messina Denaro è intimo amico, lo chiama “il mio gioiello”. «Questo figlio lo ha dato a me per farne quello che dovevo fare», ricordava Riina qualche mese fa, intercettato in carcere.
Talmente stretto è il rapporto con Riina che spesso il “Capo dei Capi” sceglie proprio Castelvetrano o Mazara del Vallo per nascondersi. Il giovane Matteo gli fa da autista, lo porta a fare giri in barca, sbriga per lui il lavoro sporco. Quando Totò Riina ha un problema, nascondere i tesori della famiglia, Matteo Messina Denaro si rivolge ad un amico gioielliere, Francesco Geraci, che gli mette a disposizione un caveau sotto la sua gioielleria, al quale si accedeva da un ascensore segreto. Il giovane Matteo è coinvolto nella “super Cosa” di Riina, un gruppo ristretto di fidati boss con i quali vengono prese le decisioni più delicate. Quando Riina decide di assassinare Giovanni Falcone, il  grande nemico di Cosa nostra, manda proprio Matteo Messina Denaro ad ucciderlo, a Roma, dove il giudice lavorava. Matteo pedina Falcone per giorni. Ma nell’Ottobre del 1991, quando il gruppo di fuoco guidato dal boss di Castelvetrano è pronto all’esecuzione (un colpo alla nuca del giudice, mentre sta cenando in una trattoria all’aperto, come fa ogni sera), Riina lo richiama indietro: ha deciso che Falcone deve essere ucciso in un attentato spettacolare, che dimostri la forza di Cosa nostra al mondo intero, un “attentatuni”. E purtroppo ci riuscirà: il 23 Maggio del 1992 il giudice Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, gli agenti della scorta moriranno in una strage a Capaci, con una bomba piazzata sotto l’autostrada. Stessa sorte toccherà poi a Paolo Borsellino, cento giorni più tardi, il 19 Luglio, in Via D’Amelio, a Palermo.
Lo Stato decide di fare davvero la guerra a Cosa nostra. Per Matteo Messina Denaro i giorni si fanno sempre più brevi, veloci. A Settembre decide di uccidere uno dei suoi nemici più ostinati: il vice questore Rino Germanà. Ma l’attentato non riesce: Germanà si salva dal commando dei killer guidati da Messina Denaro in un inseguimento sul lungomare di Mazara del Vallo. Ferito di striscio alla testa, Germanà riuscì a salvarsi scappando in spiaggia, confondendosi tra i bagnanti, e poi a mare. E la leggenda vuole che la mattina in cui è stato arrestato, il 15 Gennaio del 1993, Totò Riina fosse proprio con Matteo Messina Denaro, che è scampato per un pelo all’arresto. Ed è stato Matteo a trafugare tutto l’archivio di Riina dal covo palermitano di Via Bernini.
Poi, la latitanza, che comincia all’indomani della strage dei Georgofili, a Firenze, il 27 Maggio 1993. Cosa Nostra ha deciso di attaccare il cuore dell’Italia, i suoi beni culturali più preziosi, portando la guerra fuori dalla Sicilia. Matteo Messina Denaro è tra coloro che approvano questa nuova strategia stragista. Dal 2 Giugno del 1993 si rendere irreperibile e invisibile.

L'invisibile
Dal 1993, quando comincia la sua latitanza, Matteo Messina Denaro è un vero e proprio fantasma. Di lui ci sono pochissime tracce, perché negli anni Matteo è sempre diventato più abile nel ridurre al nulla i contatti con i suoi uomini, perfezionando il sistema dei “pizzini”, e passando molto tempo della sua latitanza all’estero, probabilmente nel Nord Africa. A questo si deve aggiungere anche il fatto che Matteo Messina Denaro, come Totò Riina e Bernardo Provenzano prima di lui, gode di una serie di coperture “istituzionali”: politici, imprenditori, anche uomini dello Stato.
L’alone di mistero che oggi sta intorno alla sua figura non fa che alimentare il “mito” che molti hanno di lui. Vale per tutti quanto ha detto un ex consigliere comunale di Castelvetrano, Calogero Giambalvo: quest’uomo, un uomo delle istituzioni, è stato intercettato mentre al telefono si vantava di aver incontrato e abbracciato,  piangendo, il boss latitante, durante una battuta di caccia a Castelvetrano.
La cosa bella è che poi Giambalvo, processato per mafia, ha negato tutto. E ha detto di essere inventato l’incontro com Messina Denaro “per darsi un tono”. E il fatto che un politico oggi a Castelvetrano, senta il bisogno di vantarsi di aver visto Messina Denaro per “accreditarsi”, la dice lunga…
Lo Stato sta cercando di fare terra bruciata intorno al boss: tutti i suoi parenti sono stati arrestati e condannati, e sono stati sequestrati beni per miliardi di euro.  Ma il potere di Diabolik non sembra neanche essere scalfito.
Eppure,  oggi Matteo Messina Denaro non può contare sulla sorella Patrizia, sui cognati Vincenzo Panicola e Gaspare Como, sui beni della potente famiglia alleata dei Guattadauro di Palermo, e sul “nipote prediletto”, Francesco Guttadauro.
E’ tra i criminali più ricercati dalle polizie di tutto il mondo, ai primi posti nella speciale classifica di Forbes dedicata ai latitanti appartenenti al gotha del crimine planetario, dove il primo in assoluto era - fino alla sua uccisione -  Osama Bin Laden. Mica uno qualsiasi. C’è anche una taglia di un milione e mezzo di euro.  Nel 2009 la polizia scientifica di Roma è riuscita a ricostruire il suo profilo genetico analizzando i capelli dei suoi fratelli.
Le indagini hanno evidenziato che il capomafia ha effettuato diversi viaggi all’estero, con falsi documenti. Il latitante ha allargato i propri affari in molti Paesi. Gli investigatori hanno accertato che il boss si è recato in Austria, Svizzera, Grecia, Spagna e Tunisia. Cosa nostra trapanese avrebbe allargato i propri interessi anche in Venezuela, dove in passato sono stati arrestati due latitanti legati a Messina Denaro, si tratta di Vincenzo Spezia e Francesco Termine. E proprio in Venezuela gli investigatori fanno emergere che vi risiede un gruppo di trapanesi che hanno storici rapporti con il latitante.

Mafie da un'idea di Attilio Bolzoni

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