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sciascia leonardo c ansadi Nando dalla Chiesa
Plato amicus sed magis amica veritas. Perciò devo replicare all’articolo scritto ieri per il “Corriere” da Felice Cavallaro in occasione del trentennale della celebre polemica di Sciascia sui professionisti dell’antimafia. Sciascia fu profeta, dice Cavallaro. Perché vide prima di altri i profittatori del marchio “antimafia”. E cita subito il caso della magistrata Saguto. In realtà a finire nella pubblica disistima pur esponendo quel marchio erano già stati in tanti. Altri magistrati (quelli che isolarono il procuratore Costa, per esempio) o membri vanagloriosi della commissione parlamentare antimafia. Il fatto è che nulla può essere raccontato senza il contesto. La polemica nacque nel pieno del maxi-processo e aveva un solo bersaglio nominativo: Paolo Borsellino. Cavallaro dice che non è vero, che l’accusa era diretta al Csm, “colpevole” di avere nominato Borsellino procuratore capo di Marsala contravvenendo al (pessimo) costume di usare l’anzianità di servizio invece della competenza o dell’esperienza sul campo.
No, il bersaglio, era proprio Borsellino. Era lui il profittatore dei nuovi orientamenti del Csm. L’unica (e vera) profezia che fece Sciascia in quell’articolo fu la seguente: “I lettori, comunque, prendano atto che nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso”. La carriera di Borsellino l’abbiamo poi conosciuta tutti. Cinque anni dopo saltò per aria in brandelli. Prima però egli fece in tempo a dichiarare nell’ultimo discorso pubblico, ricordando Falcone, che “Giovanni ha incominciato a morire con quell’articolo sui professionisti dell’antimafia”. Già, perché proprio per evitare che potesse fare carriera anche lui come Borsellino, il Csm bocciò Falcone tornando (e fu esattamente l’effetto Sciascia) al principio dell’anzianità. Questa è la storia vera. Ma sentire una volta il rimorso verso Borsellino no, eh?
(10 gennaio 2017)

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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