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ingroia c matteo gozzi 6di Antonio Ingroia
Nel 2015 la Procura di Palermo mi informa che, a causa del rigetto da parte del Gip di una prima richiesta di archiviazione, sta indagando, anche su di me, per 75 assunzioni che avevo effettuato oltre un anno prima nella società partecipata di cui ero e sono ancora attualmente amministratore unico, Sicilia e-Servizi, che si occupa dell'informatica regionale siciliana.

Il Gip, dietro una nuova richiesta di archiviazione della Procura, in questi giorni ha definitivamente archiviato la mia posizione e quella di tutti gli altri indagati coinvolti, dal presidente della regione a sei assessori che all'epoca componevano la sua giunta.

All'epoca, la notizia che fossi indagato rimbalzò su quasi tutti i giornali, anche di rilievo nazionale, mentre della notizia di archiviazione ho letto solo su un paio di quotidiani regionali, sul Fatto e, clamorosamente, sull'edizione online del Giornale, nonostante la notizia sia rimbalzata sul web e sui social e sia stata battuta da alcune agenzie di stampa nazionali.

Ritengo quindi doveroso spiegare in poche righe cosa è successo, perché fui indagato e perché, come era ovvio e doveroso, la mia posizione è stata archiviata. Quando sono stato nominato prima commissario liquidatore e poi amministratore unico della società che amministro, la Regione aveva appena scelto di rinunciare alla forma della società mista per tornare a una governance interamente pubblica. Aveva trascurato, però, il fatto che Sicilia e-Servizi aveva appena una decina di dipendenti e che il core business era tutto nelle mani dell'ormai ex socio privato il quale, una volta estromesso dalla gestione, licenziò in tronco i 75 dipendenti (per lo più tecnici e ingegneri) che si occupavano dell'informatica siciliana.

Era chiaro che con una decina di dipendenti era totalmente impossibile far funzionare la complessa macchina dell'informatica regionale siciliana che si occupa, tanto per dirne una, degli stipendi di tutti i regionali, ma soprattutto di servizi essenziali per i siciliani come il Centro unico delle prenotazioni ospedaliere (il cosiddetto C.u.p.) e il pronto intervento del 118, oggi digitale.

Dunque, appena insediatomi, mi sono ritrovato con questa emergenza da risolvere e non avevo scelta: avviai immediatamente l'iter per riassumere i 75 licenziati, non prima però di avere avvisato la Giunta regionale, che investì della cosa l'Avvocatura dello Stato. Sicché, sulla base del parere favorevole dell'Avvocatura e della conseguente delibera di giunta, procedetti alla riassunzione di tutti i lavoratori licenziati, dapprima prudenzialmente con un contratto a tempo determinato di 18 mesi per avere poi il tempo di valutare la fattibilità di un'assunzione a tempo indeterminato, ben sapendo che in quel momento le assunzioni nella pubblica amministrazione regionale erano bloccate, ma vi erano dubbi sull'applicabilità del divieto di assunzioni anche alla nostra società. In ogni caso, in quel momento c'era un interesse di pubblica utilità prevalente, cosa che hanno riconosciuto anche la Procura e il Tribunale di Palermo nel provvedimento di archiviazione reso noto ieri.

Per maggiore cautela, i 75 assunti furono sottoposti a un esame ulteriore da parte di una commissione indipendente da me nominata che valutò curricula e professionalità. Al termine di questo ulteriore esame, 16 dipendenti su 75 non superarono il periodo di prova, tra questi anche qualche parente di noti mafiosi. Intanto, un fin troppo solerte sostituto procuratore della Corte dei Conti, legato, sia da affinità parentali che da passati incarichi consulenziali, a uno dei difensori dell'ex senatore Dell'Utri, come noto, da me fatto condannare per concorso esterno in associazione mafiosa e oggi perciò in carcere dopo la condanna definitiva, pensò bene nell'aprile 2014 di accusarmi di un presunto danno erariale di due milioni di euro per effetto di quelle assunzioni, secondo lui non consentite, ignorando del tutto l'evidenza che i danni sarebbero stati assai più gravi, ben superiori alle centinaia di milioni, per non considerare i rischi incalcolabili per l'incolumità pubblica e la salute pubblica dei siciliani, che si sarebbero certamente determinati, se non avessi fatto quella scelta, unica possibile per impedire la paralisi dell'attività informatica.

L'apertura del procedimento contabile da parte della Procura della Corte dei Conti, dunque, determinò l'atto dovuto, da parte della Procura di Palermo, di aprire anche un fascicolo penale per abuso d'ufficio. Dopo le indagini, per ben due volte la Procura ha chiesto l'archiviazione e per due volte il Gip ha chiesto un supplemento di istruttoria. Finalmente, alla terza richiesta di archiviazione, dopo le più approfondite indagini possibili, è arrivata l'archiviazione.

Non vi fu abuso d'ufficio. Non vi fu alcun fine per assicurare vantaggi a chicchessia, ma solo la doverosa tutela dell'interesse dei siciliani a scongiurare la paralisi informatica della Sicilia e dei suoi servizi essenziali dipendenti dall'informatica. Una scelta obbligata, avallata dall'avvocatura dello stato, dalla giunta regionale, e ora dalla magistratura del lavoro di Palermo che, nel frattempo, ha accolto il ricorso di alcuni dei dipendenti che non avevano superato il periodo di prova, affermando che i lavoratori andavano da noi riassunti, tutti e in blocco, sia perché il divieto di assunzioni non operava per Sicilia e-Servizi, sia perché i lavoratori già licenziati dall'ex-socio privato andavano comunque tutti riassunti per espletare il medesimo servizio. Assunzioni, dunque, non solo legittime, ma obbligatorie. E che hanno consentito di assicurare servizi pubblici essenziali per i siciliani e di evitare un disastro per la regione siciliana.

Ora anche la Procura di Palermo ed il Tribunale di Palermo riconoscono finalmente la legittimità di quelle assunzioni e la correttezza del mio operato anche perché, nel frattempo, ho assicurato un forte taglio delle spese della società: sotto la mia gestione, eliminando sprechi e clientele, sono state abbattute, a parità di servizi, quasi dell'80%, con risparmi di decine e decine di milioni l'anno, per un totale - finora - di una cinquantina di milioni di euro circa.

Ma sono passati anni dall'apertura di quell'inchiesta, strombazzata da tanti giornali e siti di informazione, nazionali e locali. E in questi anni in tanti, soprattutto gli interessati avversari della mia opera di pulizia, legalità e trasparenza hanno strumentalizzato in modo odioso questa vicenda con poche voci controcorrente. So che in tanti oggi dovrebbero chiedermi scusa, ma so anche che non lo faranno. Sento, però, io il dovere di dare atto e merito alla magistratura palermitana tutta, e alla procura in particolare, di avere svolto tutti i più minuziosi approfondimenti istruttori perché non rimanesse alcuna ombra su questa vicenda.

Giustizia è fatta. Ma perché giustizia sia davvero fatta, l'informazione dovrebbe essere completa, perché in questi giorni, complice la sonnolenza dell'informazione agostana, sono ben poche le testate che ne hanno dato notizia ai loro lettori, ai quali avevano invece dato, con ampio spazio e titoli strillati, la notizia dell'apertura dell'indagine.

Tratto da: huffingtonpost.it

Foto © Matteo Gozzi

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