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battaglia letizia mareUna “pasionaria” con la sua Palermo cucita sulla pelle
di Attilio Bolzoni
Non solo mafia. La vita della fotoreporter è legata a doppio filo con le sorti della sua città: dall’editoria alla politica, all’esperienza di amministratore “verde”

Per come la conosco, credo che provi ormai un certo fastidio quando le dicono che è una «grande fotografa». Letizia è molto di più. Letizia è Letizia. Se poi la dobbiamo raccontare nella sua città, la mia paura è quella di scivolare nel prevedibile, di provare a descriverla come è stata sempre rappresentata, magnificamente, ma non abbastanza.
Palermo è dentro di lei e lei è dentro Palermo. Letizia è Palermo, prima e dopo. Letizia insieme alle sue tre figlie e ai suoi cinque nipoti, ai suoi amori, ai suoi amici, ai suoi capelli rossi, ai suoi zoccoli, alle sue gonne colorate, alle sue sigarette, al suo cane Pippo che le azzanna le scarpe. Letizia è sottosopra, non c’è mai un principio e una fine con lei, perché rimescola, rovista fra ricordi e sentimenti. Forse oggi, che ha una certa età, mi sembra più tenera. O, forse, più tenera lo è stata sempre.
Una volta le ho chiesto perché si è sposata a sedici anni e mi ha risposto: «Come perché? Perché qui a Palermo ho incontrato un uomo che mi amava e mi offriva il mondo». Un’altra volta le ho chiesto quando ha conosciuto per la prima volta Pasolini e mi ha detto: «L’anno era il 1971, ma io ce l’avevo già dentro da molto tempo».
Provateci voi a passare un pomeriggio con Letizia, a casa sua. Prima del caffè: «Alla mia età posso non avere pudori: io sono una maestra di fotografia». Dopo il caffè: «Io non sono una fotografa, la fotografia è solo una parte di me».
Una parte che io ho conosciuto alla fine degli Anni Settanta in una traversa di via Mariano Stabile, via Meccio, davanti a una trattoria che si chiamava “Il Grattacielo” ma che noi cronisti dell’Ora preferivamo chiamare - per uno, uno solo, dei camerieri che era sproporzionatamente grosso - “i Pacchioni”. In via Meccio c’era la camera oscura di Letizia. Con lei c’era il suo compagno Franco Zecchin, fotografo di gran classe anche lui, e c’era Natale Gaggioli, uno della vecchia scuola che aiutava loro due a resistere ai ritmi brutali della cronaca di un quotidiano della sera.
Battaglia. In quel nome c’era già il suo destino.
Pochi sanno che da bambina non ha vissuto qui, in Sicilia. In tempo di guerra era a Civitavecchia, suo padre era un marittimo. Bombardamenti. «Ho negli occhi ancora l’immagine della nostra casa sventrata e quella di un cane che trascinava, chissà dove, la manica di una giacca con dentro il braccio di qualcuno».
Torna in Sicilia che è ancora piccola, fa le elementari. Alle Ancelle tutte le altre portano i guanti bianchi e imparano a fare inchini, Letizia si sente fuori posto con la divisa che gli dà la scuola («Le altre l’avevano su misura, cucita dalla sarta»), conosce la borghesia palermitana di quei tempi ed lì che diventa Letizia. Dolce e disperata, appassionata, ribelle. Viva.
Palermo l’ha attraversata da viva. Anche nei suoi giorni più crudeli. Sempre. Palermo è la sua pelle.
Dopo le stragi se n’è andata - del 19 luglio, di via D’Amelio, non ha foto sue, non ce l’ha fatta a stare lì come le altre volte - a Parigi. Passava le sue giornate seduta a un tavolino in uno di quei bistrot che riempiono le piazze, in silenzio. Dopo un po’ è tornata. Prima e dopo, intorno c’è sempre la sua Palermo. La casa editrice “Edizioni della Battaglia” del 1992 - fra gli autori Roberto Alajmo, Michele Perriera, Roberta Torre, Anselmo Calaciura - la rivista Mezzocielo fondata l’anno prima con Carla Aleo Nero, Silvia Ferraris, Simona Mafai e Rosanna Pirajno, il femminismo. E la politica. E che politica! Nel suo stile. Siamo in piena «rivoluzione» palermitana, la città che comincia a cambiare con il suo sindaco, con Luca Orlando che la vuole al fianco come assessore al Verde in una di quelle giunte «colorate» che facevano tremare i Palazzi romani della seconda metà degli Anni Ottanta. Letizia assessore: «E’ stato il periodo più bello della mia vita, più bello della fotografia, mi sentivo cittadina e quindi più che solo una fotografa. Ma io non facevo politica, io amministravo, facevo cose concrete, vedevo un angolo sporco e facevo sistemare una pianta». E qualche anno dopo, Letizia alla Regione siciliana: «Esperienza inutile, non facevo niente, non mi facevano sapere niente». Quando era deputata tutti la chiamavano «onorevole», lei alzava il dito medio della mano destra e rispondeva: tié, onorevole dillo a chi sai tu. Ma ve l’immaginate Letizia in mezzo a quella fauna? Ve l’immaginate Letizia là dentro, fra quei 90, con la sua passione, la sua cultura, la sua generosità, la sua pulizia?
Appena ieri l’altro ha detto a tutti - conferenza stampa al Teatro Massimo - che non è più una fotografa e non vuole più fotografare. Qualche giorno prima mi parlava delle bambine che rincorre. «Le cerco, ce ne sono bellissime, in loro mi ritrovo io bambina e le fotografo». Per la grande mostra dedicata a lei e che si aprirà domani ai Cantieri Culturali della Zisa, mi hanno chiesto un pensiero su Letizia. Certi pensieri vengono senza pensare: «Letizia, sei stata tu a prenderti da sola il mondo o è stato il mondo a prendere te? Ma poco importa».

Tratto da: La Repubblica del 4 marzo 2016

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