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tribunale caltanissetta web0Dalle stragi a Montante: la Procura di Caltanissetta tra emergenze e rischio chiusura
di Giovanni Bianconi
Caltanissetta. Con l’indagine sull’imprenditore Antonello Montante, il presidente di Confindustria Sicilia accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, gli inquirenti sono entrati nel cuore dell’antimafia: accertamenti complessi su uno dei simboli della battaglia contro alla «dittatura del racket»; sospettato di fare il doppiogioco. Poi c’è l’inchiesta, ugualmente clamorosa, su un altro capitolo del contrasto giudiziario alle cosche: l’ipotesi di corruzione per i giudici di Palermo che confiscavano i beni sequestrati ai boss, la ex presidente Silvana Saguto e qualche suo collega.
E ancora: circa 400 fascicoli che riguardano (come indagati o parti offese) magistrati del distretto palermitano, che richiedono attenzione e scrupolo nelle decisioni. Da ultimo, ma non certo per l’importanza, c’è «l’ordinaria amministrazione» sui reati comuni, la criminalità a Gela e la mafia: le tradizionali famiglie di Cosa nostra che governano il territorio suddiviso in quattro «mandamenti», alle quali si aggiungono gli «stiddari» che rispondono a regole proprie.

Ma soprattutto, fra le inchieste di mafia, c’è il lavoro continuo sulle stragi del 1992 in cui morirono Giovanni Falcone e sua moglie (recentissimo l’ordine di arresto per il superlatitante Matteo Messina Denaro), Paolo Borsellino e gli agenti delle scorte. Indagini ancora aperte e dibattimenti da sostenere in aula. A parte gli imputati rinviati a giudizio, restano da svelare i misteri legati agli eventuali mandanti o concorrenti «esterni» (di recente rilanciati dal presidente del Senato Piero Grasso), che si sommano ai depistaggi che fecero condannare (per la strage di via D’Amelio) un certo numero di mafiosi innocenti; l’attentato fallito dell’Addaura contro Falcone nel 1989, con eventuali complicità nelle istituzioni, tanto da tirare in ballo il cosiddetto «mostro» legato ai servizi segreti che i magistrati palermitani stanno inseguendo per l’omicidio dell’agente di polizia Nino Agostino; un delitto che qualcuno ritiene collegato all’Addaura, e in tal caso sarebbe una nuova indagine da fare qui.
Tutta questa mole di lavoro - molto pesante per qualità, oltre che per quantità - grava su un piccolo ufficio giudiziario, la Procura di Caltanissetta, da sette mesi senza capo (il procuratore Sergio Lari è passato alla Procura generale, scoperta da un anno), due procuratori aggiunti (Lia Sava, attuale «reggente», e Gabriele Paci) e dieci sostituti (ma una è incinta, se n’è andata a ottobre e non si sa quando tornerà). Dunque in servizio c’è una pattuglia di 9 pubblici ministeri, su un organico di 16: poco più della metà. Di cui uno, la titolare dell’inchiesta sulla corruzione dei giudici, dall’estate scorsa lavora a tempo pieno su quel fascicolo (ha dovuto ascoltare oltre 100 testimoni), aveva chiesto e ottenuto il trasferimento a Palermo ma «per spirito di servizio» ha revocato la domanda. Di fronte a una simile emergenza, il pg Lari ha chiesto al Csm di procedere a due applicazioni extra-distrettuali, pm che dovrebbero arrivare da altre sedi per dare una mano ai colleghi. Ma soldi per gli incentivi non ce ne sono, dunque chi verrà dovrà decurtare dallo stipendio le spese per trasferte e la vita fuori sede.
Nel frattempo, a Roma è stato varato un piano per sopprimere il distretto di corte d’appello a Caltanissetta, da accorpare a Palermo, facendo così scomparire la Procura antimafia. In un territorio dove — ha ricordato Lari all’inaugurazione dell’anno giudiziario, di fronte al vice-presidente del Csm Legnini e al capo di gabinetto del ministero della Giustizia, Melillo — negli ultimi dieci anni sono state inquisite per mafia 9.320 persone, si gestiscono 130 pentiti e 50 detenuti sottoposti al carcere duro. Insieme alla Procura distrettuale chiuderebbero i battenti, denuncia Lari, importanti «presidi di legalità» come gli uffici della Dia, lo Sco della polizia e i Ros dei carabinieri. «Verrebbe meno — aggiunge il componente del Csm Piergiorgio Morosini — la giustizia di prossimità, importante pure per l’antimafia, con inquirenti presenti e attivi sul territorio». Che ora vanno avanti. Con molta fatica, ma vanno avanti.

Tratto da: Il Corriere della Sera del 9 febbraio 2016

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