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liguria-cartina-effdi Nicola Tranfaglia - 25 luglio 2015
Francesco Fazzari, indicato dalla Direzione antimafia della corte di Appello di Torino come il “braccio economico delle cosche calabresi in Piemonte e in Liguria”, e trapiantato a Borghetto Santo Spirito, confessa alle forze dell'ordine: “Mi sono rifiutato di uccidere e intorno a me hanno fatto terra bruciata. Non l'ho fatto lo stesso e quando, una volta tornati in Liguria a Borghetto Santo Spirito, da mio padre ho saputo che l'uomo era stato ucciso lo stesso. Mio padre mi ha messo una pistola tra le mani dicendo: 'La pala l'hanno pagata! Se entra in cava qualcuno che non conosci, non devi far altro che ammazzarlo e sotterrarlo da qualche parte!'”
Rolando è il figlio "dissidente" di Francesco Fazzari, emigrato in Liguria in giovane età e considerato dagli investigatori della Dia un “incaricato di investire e riciclare il denaro provento delle attività illecite”. “Io non so - ha detto Francesco - se mio padre è stato battezzato con i sacri rituali mafiosi ma mio fratello Filippo lo è stato. E' stato mio zio Salvatore, il fratello di mio padre a dirmelo. Comunque gli amici di mio padre erano quasi tutti pregiudicati e venivano a casa a mangiare e passare le loro serate”. Il nome della famiglia Fazzari ricorre più volte nelle relazioni della commissione parlamentare antimafia e quando nel 2009 Francesco muore, gli uomini della squadra mobile di Savona si appostano per osservare chi partecipa al suo funerale e studiare gli assetti della 'ndrangheta nel Ponente ligure.

A Borghetto Santo Spirito il nome della famiglia Fazzari è nota per la "Cava dei veleni", una discarica da 25mila tonnellate di rifiuti pericolosi, chiusi in 12.500 bidoni che costò allo Stato 21 milioni di euro per la bonifica.
Per quella vicenda venne condannato in secondo grado un altro figlio di Francesco, Filippo, che vive oggi come latitante in Spagna mentre le altre due figlie, Rita e Giulia, continuano oggi a occuparsi di cave con l'aiuto di Carmelo Guillace, marito di Giulia.
Quest'ultimo è stato arrestato nel marzo scorso per usura con la condanna conseguente a tre anni e un mese agli arresti domiciliari in Calabria. Secondo il rapporto redatto nel 2011 dall'ex prefetto di Genova, Francesco Antonio Musolino, Gullace sarebbe il referente per il Nord Ovest della cosca Raso-Gullace-Albanese. Negli anni ottanta venne prosciolto dall'accusa di duplice omicidio nell'ambito della faida con i Facchineri e quella di aver partecipato al rapimento di Marco Gatta. Più di recente il suo nome è comparso in un'inchiesta lombarda,quella che ha coinvolto l'ex assessore regionale alla casa Domenico Zambetti. In una conversazione intercettata, l'imprenditore dell'oro Eugenio Costantino annovera Ninetto Gullace, insieme con il boss Pino D'Agostino, Peppe Ferraro e Micu Barbaro “fra i grandi della 'ndrangheta, gente che fanno tremare i boss più forti”.
Ma ancora una volta elementi come questi non bastano a far capire alla pubblica opinione e alla maggioranza degli italiani il pericolo crescente della infiltrazione delle associazioni mafiose nell'economia nazionale. Purtroppo.

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