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di-matteo-c-giorgio-barbagallo-2015-ctL'intervista
di Giuseppe Lo Bianco - 8 maggio 2015
Palermo. Di mattina, nell’aula bunker, il pm Nino Di Matteo non ha rivolto domande al pentito Vito Galatolo che, “in diretta” ha raccontato i dettagli del progetto di attentato nei suoi confronti. Di pomeriggio, nel suo ufficio, il magistrato è ancora provato: “Non posso nascondere che anche se già conoscevo questi particolari, sentire ripetere i dettagli di un piano di morte che dicono essere tuttora attuale, non lascia indifferenti da un punto di vista umano”. Prigioniero dei vari volti dello Stato che palesano ragione e ottusità, Nino Di Matteo è nel mirino della mafia, di pezzi deviati dello Stato, boicottato dal Csm ed il suo libro Collusi (Bur), scritto con il giornalista Salvo Palazzolo, è accolto con scherno dal “padre nobile” del Pd, il senatore Emanuele Macaluso.

Dottor Di Matteo, il bomb jammer è arrivato, ma l'ultimo ostacolo sembra la burocrazia...
Su questo non posso dire nulla.

Galatolo parla di un artificiere “al quale non fare domande”, di altri elementi che lo hanno convinto che dietro la lettera di Messina Denaro ci fosse l'ombra antica ma sempre attuale del “cuore nero dello Stato”. E un collaboratore di giustizia che si sarebbe prestato ad attirarla in un tranello. Che cosa ha provato ascoltando quelle parole?
Non voglio scendere nello specifico della vicenda per ovvie ragioni che mi hanno indotto a non condurre l’esame del Galatolo, ed anche perché ci sono indagini di Caltanissetta in corso. Galatolo ha detto di avere letto nella lettera di Messina Denaro la stessa espressione che Graviano gli aveva detto prima della strage di via D’Amelio. Non spetta a me trarre conclusioni, però ai tanti che dicono che oggi non è più ipotizzabile una strategia di attacco allo stato come nel ’92 vorrei tanto che avessero ragione, ma prima dovrebbero dimostrare l'assoluta falsità e inverosimiglianza . Purtroppo non credo che questo si possa dimostrare.

Che cosa l'ha colpita di più in questo momento difficile?
A fronte di un rischio che dicono non essere limitato solo a Cosa Nostra mi ha amareggiato l’indifferenza di tanti, addirittura quasi lo scherno di alcuni.

Per recensire, senza leggerlo, il suo libro il senatore Macaluso ha sdoganato la parola “cazzo” nei testi di giudiziari come Zavattini alla radio circa 40 anni fa. C'era bisogno, ha scritto, che ce lo venisse a raccontare Di Matteo il rapporto mafia-politica?
Non voglio scendere in polemica con il senatore Macaluso e non commento la sua recensione che è fatta, lo dice lui, senza aver letto il libro ma credo che per il rapporto che aveva con Pio La Torre, potrebbe oggi essere d’accordo con me sul fatto che l’antimafia, anche quella dei partiti che si dicono eredi del Pci di La Torre, non sia stata ispirata dai criteri di coraggio, di linearità e di denuncia di quel partito.

Il professor Fiandaca vuole le sue scuse dopo che lei, lo scorso anno, ha definito le sue tesi “negazioniste e giustificazioniste”...
Ho rispetto per tutte le tesi, ma ritengo non di non avere nulla di cui chiedere scusa. In quel convegno avevo solo fatto rilevare un dato contenuto nella sentenza di Firenze, i magistrati che si occupano di quel processo non hanno conseguito alcun vantaggio di carriera.

Nel suo libro parla anche della bocciatura del Csm. Come l'ha spiegata a suo figlio?
Della vicenda non posso parlare, i legali stanno preparando il ricorso che sento il dovere di fare, al di là delle aspettative che posso nutrire, perché è un caso in cui nell’autogoverno della magistratura prevalgono criteri che dovrebbero essere al di fuori del Csm, e cioè l’appartenenza correntizia, o in certi casi, spero, ma non sono convinto, non nel mio, il criterio di avere dato fastidio a determinati ambienti politici.

Perché questo libro?
Per riflettere su mafia e corruzione, che sono facce della stessa medaglia. Mi è parso di notare che in una parte della società a vari livelli si stia diffondendo un fastidio preconcetto nei confronti dell’antimafia che ha la pretesa di guardare in due direzioni: quella del rapporto con il potere pulito e dell’approfondimento di stragi e omicidi eccellenti, che, forse per rassicurare l’opinione pubblica, si vorrebbero archiviati dalla storia.

Dottor Di Matteo, chi glielo fa fare?
Razionalmente non lo so, intimamente so che è il lavoro che mi piace fare e che vorrei continuare a fare.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano dell'8 maggio 2015

Foto © Giorgio Barbagallo

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