Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

morosini-piergiorgio-big0L'intervento del componente del Csm in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario a Palermo
di Piergiorgio Morosini - 24 gennaio 2015
Signor Presidente, Signor Procuratore generale, Ecc.za rev.ma, Signori colleghi della Corte e degli altri uffici del distretto; Signori magistrati onorari; Signor Presidente del Consiglio dell’ordine degli avvocati; Signori funzionari ed impiegati degli uffici giudiziari; Signori ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria; Autorità tutte, Cittadine e cittadini presenti

1. Facendo tesoro di autorevoli contributi sul rapporto tra società e istituzioni, qualche settimana fa il prof. Glauco Giostra dalle colonne del Corriere della Sera ricordava come nelle società occidentali, orfane dei fondamentali riferimenti ideologici e religiosi, disorientate e deprivate della forza aggregante della tradizione, la giurisdizione venga percepita come uno degli ultimi fattori di coesione, come forse l’unica autorità cui affidare la risoluzione di contrasti e di problemi. Vivremmo, insomma, in una sorta di democrazia giudiziaria. E d’altronde, basta scorrere i repertori del distretto di Palermo degli ultimi anni sui procedimenti pendenti o definiti, per comprendere la mutata natura delle domande di giustizia. Singoli e associazioni ormai si rivolgono alla giurisdizione anche per verificare la compatibilità ambientale della industrializzazione, il rispetto del metodo democratico nelle consultazioni elettorali, la razionale distribuzione delle risorse pubbliche. Funzioni essenziali, demandate sempre più di frequente a procure e tribunali; mentre tradizionalmente di competenza di altre istituzioni, sulla carta in grado di garantirne preventivamente la conformità alla legge.
Eppure, nonostante le “grandi attese” di tanti cittadini, troppo spesso la giustizia appare inadeguata, diseguale, lontana. Se ci basiamo sulla composizione demografica del carcere, agli “ultimi” (gli invisibili, gli immigrati, i disoccupati, gli emarginati) la legge sembra riservare solo il volto duro della pretesa; mentre a chi detiene il potere politico-istituzionale o economico spesso, troppo spesso, volontariamente o involontariamente, direttamente o indirettamente, mostra il volto del “privilegio”. E poi ci sono tutti gli altri, “quelli che stanno in mezzo”. Che riescono a far valere il proprio diritto se “sopravvivono” a quella selezione naturale che, in una sorta di “darwinismo giudiziario”, consente a pochi provvisti di particolari risorse, economiche e psicologiche, di superare il lunghissimo percorso a ostacoli di un processo. La sproporzione di scala tra attese e realtà è il cuore della “questione giustizia”. Un qualcosa che riguarda la credibilità della giurisdizione, di cui ogni attore istituzionale dotato di senso di responsabilità  si deve fare carico. Perché si tratta di un insidioso agente corrosivo delle basi democratiche del paese; soprattutto in latitudini dove la presenza mafiosa fa sentire tutto il suo peso.

2.Delle “attese di giustizia” e delle potenziali delusioni di tanti cittadini, noi magistrati per primi dobbiamo essere pienamente consapevoli e rispondere con la massima attenzione nei gesti quotidiani anche i più normali e ripetitivi (l’attenzione ai testi, il rapporto con gli avvocati e con il personale di cancelleria, il modo di organizzare il nostro lavoro, di comunicare la nostra attività); dobbiamo avere la capacità di “ascoltare ogni interlocutore prima di assumere la decisione. E nessuno può girarsi dall’altra parte, o “gettare la spugna”, rassegnandosi ad una gestione burocratica del ruolo giudiziario, anche se oggi è diventato davvero difficile amministrare giustizia in maniera efficace e dignitosa. E qui, mi rivolgo soprattutto ai nostri principali interlocutori istituzionali (ossia il ministro della giustizia, la politica), non per recitare una lamentela, ma per informare su come si vive negli uffici giudiziari. Non c’è riunione organizzativa negli uffici che non incominci con l’elenco degli impiegati amministrativi che lasciano il servizio e che non saranno rimpiazzati; e che non prosegua con individuazione di carenze di fondi per riqualificazione del personale o per il lavoro straordinario; e che non si concluda con la ricerca di soluzioni che tengano in piedi, spesso con “spago e chiodi”, la struttura organizzativa e permettano di fronteggiare numeri insopportabili che rischiano di snaturare la funzione del giudice e del pubblico ministero.
Di questo dobbiamo essere consapevoli. Che non vuol dire chiedere più soldi. Conosciamo la condizione delle casse pubbliche. Ma significa collaborazione istituzionale del ministero della Giustizia per una più razionale allocazione delle risorse. Penso, ad esempio, alla pianta organica del Tribunale del lavoro di Palermo. Se i singoli giudici, ogni anno scrivono il triplo di sentenze degli omologhi magistrati del lavoro di tante altre realtà giudiziarie, e questo accade regolarmente da due lustri, si deve intervenire ridistribuendo le risorse (non solo i magistrati, anche il personale di cancelleria e i locali ove svolgere le attività). E penso al processo civile telematico, vera riforma strutturale che può agevolare l’accesso alla giustizia e recuperare risorse, ma che può davvero funzionare solo se il personale è adeguatamente formato e se anche i magistrati possono godere di una capillare assistenza tecnica. In questo senso il tavolo paritetico tra CSM e Ministero allestito nel novembre scorso rappresenta un primo passo avanti che possiamo definire “promettente”.

3. Il CSM, in particolare, deve fare la sua parte, sulla base di un imperativo: la non dispersione delle professionalità e dell’impegno di tante persone che operano nella giurisdizione. Perché il servizio giustizia dipende moltissimo dalle motivazioni e dall’impegno civile di ognuno di noi. Per questo il CSM deve realizzare un sistema che non si preoccupa solo di "contare" ciò che produciamo ma che si sforza di "pesarlo" per migliorarne la qualità. Deve intervenire più efficacemente sulle condotte opache -purtroppo ci sono anche quelle- che pesano sulla credibilità del sistema. Deve aggiornare l'interpretazione del ruolo di chi dirige gli uffici, selezionando con trasparenza e tempestività soggetti in grado di elaborare progetti che coniugano efficienza e indipendenza con le risorse disponibili. Persone co-responsabili dei successi ma anche delle criticità non risolte dei magistrati che coordinano. E’ la grande sfida dei prossimi mesi.

4. Ma impegno e motivazione di chi opera nella giurisdizione dipendono anche dal clima generale nelle istituzioni. Venticinque anni di crisi nel rapporto tra magistratura e politica hanno lasciato il segno. Forse chi ancora promuove le campagne di delegittimazione dei magistrati, o si lascia andare a infelici battute ad effetto sulla loro produttività, non si rende conto di indebolire complessivamente la tutela dei diritti. E mi chiedo se certi atteggiamenti siano davvero utili a chi nutre la sacrosanta ambizione di aprire una stagione di riforme. Da componente del CSM, nel rivendicare la piena autonomia dalla politica, penso non si debba mai rinunciare a un dialogo franco ed equilibrato con parlamento e governo; e sono consapevole del compito non facile del legislatore, perché non sfugge che nelle attuali società pluralistiche e multiculturali, con un quadro politico spesso frammentario, è difficile identificare “valori condivisi” su cui costruire un impianto globale, nuovi codici coerenti e aggiornati.
Ma di riforme organiche, c’è grande bisogno sia nel civile sia nel penale.

5.A)Sul versante della giustizia civile, vanno apprezzate le iniziative legislative del Ministro tendenti a risolvere il problema dell’arretrato civile, vero e proprio “piombo nelle ali” per il funzionamento del servizio. E’ incoraggiante l’idea di “sperimentare” mezzi alternativi al processo, quali ad es. la “negoziazione assistita obbligatoria”, purchè non se ne abusi. In tempi di crisi economica e di evidenti disegualianze sociali, i “lodi privati” espongono moltissimo i soggetti deboli delle controversie (es. lavoratori). Va scongiurato il pericolo di una giurisdizione inghiottita da logiche di mercato che premierebbe sempre e solo le parti “più forti”.
E poi, le riforme del processo civile per decreto-legge ribadiscono un trend decennale di misure frammentarie. I tribunali ce lo dicono. Tutto questo può produrre improprie interferenze tra diversi istituti e quindi difficoltà ermeneutiche, anche sotto il profilo della successione delle leggi del tempo. Fattori in grado di generare ulteriore contenzioso e ritardi nella definizione dei procedimenti, a danno dei cittadini-utenti.
B) Sulla Giustizia penale, ci sono stati negli ultimi mesi alcuni segnali positivi, anche dal punto di vista culturale e di sistema. Penso alle misure contro il sovraffollamento carcerario. Uscire da una logica “carcero-centrica” sia sulle pene che sulle misure cautelari, dopo anni di pacchetti sicurezza che si muovevano in direzione “ostinata e contraria”, è un segnale importante. In carcere bisogna andarci solo per i reati più gravi, anche per rendere le strutture penitenziarie più umane, come ci impongono le sentenze della C.E.D.U .
Il risultato passa anche per sanzioni e misure alternative che coinvolgono il privato sociale e le p.a.. Su tale versante sarà decisivo l’impulso, da parte del Ministero, nel coinvolgimento effettivo delle p.a. alla riforma del sistema. Perché una “messa alla prova” estesa ai maggiorenni funziona, solo se può contare su una effettiva collaborazione degli enti preposti al controllo nella realizzazione della “prova”.
Ma le spinte riformatrici devono soprattutto combattere gli “sfregi alla giustizia” che si consumano nei processi per corruzione, frode fiscale, criminalità economica. Più che i proclami dopo qualche eclatante assoluzione, occorre approvare OGGI una riforma credibile della prescrizione. Dopo la sentenza di primo grado, il reato non si deve più prescrivere. Perché in un paese civile è intollerabile  che un processo per furto nel supermercato si definisca in otto mesi mentre si prescrive una corruzione in atti giudiziari, magari “gettando alle ortiche” anni di duro impegno di magistrati e polizia giudiziaria. E tutti sappiamo che le vigenti norme sulla prescrizione sono un invito a condotte meramente dilatorie per non pervenire ad una decisione nel merito.
E poi bisogna rispettare le convenzioni internazionali sottoscritte anche dall’Italia. Penso alla estensione della disciplina dei collaboratori di giustizia e al cosiddetto test di integrità ai reati contro la p.a. (Strasburgo, 1999). Certe misure possono spezzare le alleanze omertose su cui si reggono sistemi criminali, a presenza mafiosa, che ingrassano col saccheggio di risorse nella sanità, nella edilizia pubblica e privata, nello smaltimento dei rifiuti, nelle energie alternative, come dimostrano anche procedimenti penali di questo distretto.

6. Ma, in ultimo, consentitemi una doverosa considerazione sulla stagione delle riforme costituzionali. Vi sono progetti che hanno l’ambizione di modificare la Costituzione, ridisegnando la fisionomia dei rapporti tra le istituzioni. Alcuni sono solo annunciati. Altri in gestazione. Ci chiediamo quale sarà il destino degli organi cosiddetti di garanzia e quindi della magistratura in nel futuro assetto tra diversi organi costituzionali. Per la magistratura ci sono “temi sensibili”: gli annunci sul nuovo sistema elettorale del CSM e sul disciplinare dei magistrati; la riforma della responsabilità civile per atto giudiziario dannoso. Le soluzioni che verranno adottate finiranno per delineare lo statuto del magistrato e della giurisdizione, come abbiamo scritto nel recente parere del CSM. Se da una parte va apprezzata la soluzione del  d.d.l sulla responsabilità civile che ha escluso la possibilità della azione diretta nei confronti del magistrato; dall’altra il testo uscito dal Senato presenta ancora “pesanti ombre” sulla salvaguardia dell’attività interpretativa e di valutazione del fatto e delle prove. Le disposizioni sulle misure cautelari personali e reali possono indurre timidezze e conformismi a danno dei soggetti deboli del processo e del contrasto alla criminalità dei potenti.  Senza contare gli effetti della abolizione del “filtro” sui carichi di lavoro.
Ma preoccupa più in generale la nuova grammatica del dibattito pubblico sulla giustizia molto concentrata su espressioni come: “controllo dei costi”, “indicatori di rendimento”, “smaltimento flussi”, “produttività”. Con il corollario di soluzioni su ferie, pensionamento, stipendi dei magistrati. Sia chiaro, sono cose importanti. Attengono alle attese dei cittadini, alla cultura della organizzazione, ai bilanci dello stato, ai sacrifici in un momento difficile che tutti siamo chiamati a fare. Ma questo non può tradursi nel fatto che la giurisdizione venga  trattata come una azienda. Non vorremmo che una certa grammatica ci abituasse ad un modello di giudice conformista, “tutto statistiche” e “combinato disposto”, intellettualmente disimpegnato e sostanzialmente “senza una anima”. Sarebbe la fine della giustizia, perché dietro ogni processo (dietro ogni fascicolo) c’è comunque il destino di donne e uomini in carne e ossa, non solo con i loro patrimoni ma spesso con i loro affetti, il loro onore, le loro scelte esistenziali. E questo non può essere mai dimenticato da tutti coloro a cui, da diverse postazioni istituzionali, è affidato il funzionamento di un sistema che ha come finalità la tutela di beni fondamentali per i singoli e per la collettività.

ARTICOLI CORRELATI

Scarpinato: "Impotenza contro colletti bianchi genera sfiducia"

Anno Giudiziario a Palermo tra polemiche e riforma della giustizia

"Impotenza contro colletti bianchi genera sfiducia"

"Troppa scorta per i pm inquirenti. Così si isola la giudicante"

Anno giudiziario 2015: i veleni della magistratura

Anno giudiziario a Palermo, “Cosa nostra ancora potente”

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos