Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

cucchi-genitoridi Antonio Ingroia - 5 novembre 2014
Cinque anni e due processi non sono stati sufficienti perché lo Stato rendesse giustizia a Stefano Cucchi e alla sua famiglia, perché ricostruisse i fatti e stabilisse le responsabilità di una morte terribile, inaccettabile, oltraggiosa. Nessun colpevole, questa la sentenza della Corte d’Assise d’appello di Roma. Non i sei medici condannati in primo grado per omicidio colposo, non i tre infermieri e i tre agenti della polizia penitenziaria che invece in primo grado erano stati prosciolti: tutti assolti “perché il fatto non sussiste”. Nel rispetto della sentenza, di cui leggeremo le motivazioni quando saranno rese note, un fatto è certo: Stefano Cucchi è morto in strutture dello Stato, mentre era nella responsabilità di organi dello Stato e non è morto di morte naturale, ma lo Stato non sa dire chi lo ha ucciso, chi non ha impedito che morisse in quel modo atroce.

Chiamato ad accertare la verità su una morte assurda, lo Stato, quello che dovrebbe essere uno Stato di diritto, alza le mani, non trova il coraggio per andare sino in fondo e, riparandosi dietro all’insufficienza di prove, invece di assumersi le proprie responsabilità dà l’insopportabile sensazione di autoassolversi. Eppure le immagini tremende di Stefano, il suo volto tumefatto, i traumi, le vertebre rotte, le mancate cure, lo stato di incredibile disidratazione e denutrizione, il suo corpo ridotto quasi a uno scheletro esigono risposte. Chi lo aveva ridotto in quel modo? Chi lo ha lasciato morire in solitudine, dopo sei giorni di agonia, senza assicurargli l’assistenza dovuta? Uno Stato di diritto non può negare l’evidenza, non può assolutamente sottrarsi a queste domande. Uno Stato di diritto deve dare risposte, deve accertare le responsabilità, deve spiegare com’è potuto accadere quello che non sarebbe mai dovuto accadere, deve perseguire i colpevoli, a meno che non voglia davvero farci credere che Stefano si sia pestato da solo, che la sua morte sia stata in realtà un suicidio.

Con un’ostinazione e una forza ammirevoli, la famiglia Cucchi, a cui va tutta la mia solidarietà, ha annunciato che ricorrerà in Cassazione presentando nuovi elementi. Io sempre sostenuto e cercato di supportare, in tutti i modi, la loro inascoltata pretesa di giustizia, perfino cercando di portare in Parlamento l’appassionata e coraggiosa Ilaria Cucchi, perché in Parlamento meglio potesse essere sostenuta la sua, la loro, battaglia. Ora la procura di Roma si è detta pronta a riaprire le indagini, la speranza è che le risposte attese da cinque anni arrivino, in colpevole ritardo ma arrivino.

C’è assoluto bisogno di verità, in questa vicenda come in tante altre. E invece l’Italia non perde occasione per confermarsi una democrazia drammaticamente imperfetta, in cui la verità fa paura. Fa paura la verità sulla trattativa tra Stato e mafia, per cui non si perde occasione per tentare di affossare il processo di Palermo, fa paura la verità sul caso di Attilio Manca, un delitto di mafia passato per morte da overdose, fa paura la verità nel caso Cucchi. Vicende lontanissime, assolutamente non comparabili, ma con uno stesso denominatore comune: quando lo Stato si trova a processare un pezzo di se stesso sembra paralizzarsi, diventa incapace di ricercare e individuare le responsabilità. Prevale l’omertà corporativa, quella di una certa casta politica nel caso della trattativa, quella di pezzi dello Stato nel caso Cucchi.

La storia giudiziaria del nostro Paese non smentisce quasi mai questo dato e allora vien da chiedersi quale tutela e quale protezione può fornire uno Stato che non sa prima di tutto essere rigoroso con se stesso e dar prova di oggettività, trasparenza e rigore in primis verso chi lo rappresenta. Basta con questa intollerabile inerzia: bisogna rompere il muro di gomma contro cui sistematicamente rimbalza chi cerca la verità, bisogna spezzare l’omertà e il corporativismo che troppo spesso impedisce di fare giustizia. Chi sbaglia deve pagare e se a sbagliare è lo Stato non può fare eccezione.

Ultima notazione sul governo. Avrei apprezzato se almeno il ministro della Giustizia avesse fatto sentire la propria voce sul caso Cucchi, se il ministro dell’Interno avesse preso posizione sulle indecenti parole del segretario generale del sindacato di polizia Sap. Al momento in cui scrivo non ho sentito niente, ed anche questa è in qualche modo una sconfitta dello Stato. Uno Stato forte con i deboli e debole con i forti, uno Stato che troppo spesso non sa fare o non vuole fare giustizia. Voglio allora ricordare la terribile foto di Stefano Cucchi pestato a sangue come un atto di accusa contro uno Stato assassino, uno Stato che l’altro Stato, lo Stato-Giustizia, deve avere la forza ed il coraggio di processare e condannare.

Tratto da: lultimaribattuta.it

In foto: Stefano Cucchi insieme ai genitori

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos