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dalla-chiesa-nando-c-sickydi Salvatore Malagò - 19 agosto 2014
Una relazione, la quinta, del Comitato antimafia milanese (di cui pubblichiamo qui sopra uno stralcio) ha avuto come reazione attacchi pesanti al suo presidente, il sociologo Nando dalla Chiesa (in foto), accusato di essere “anticalabrese”. Di seguito, la lettera scritta dal presidente della Commissione anti-‘ndrangheta della Regione Calabria.
L’ultimo polverone giornalistico della Regione Calabria riguarda Nando dalla Chiesa, attaccato duramente da un giornale locale dopo la pubblicazione della quinta relazione del Comitato antimafia milanese. E non solo lui. Anche Simona dalla Chiesa, rea di essere la sorella di Nando, è finita nel calderone di polemiche dopo l’articolo di un foglio locale. Alla faccia del garantismo. Come Dalla Chiesa, anche Gratteri è stato più volte attaccato.

E prim’ancora il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Cafiero De Raho. Cosa si contesta ai due magistrati? Di essere minacciosamente autoritari, di desiderare un giornalismo ubbidiente, esente da critiche nei confronti dell’operato dei magistrati. Non credo sia così. Ho visto piuttosto gli sproni a prendere posizione, a decidersi da che parte stare, l’allarme per interstizi e oscure aderenze, l’invito accorato a non sottovalutare l’orlo dell’abisso in cui la Calabria si trova da tempo. Nando dalla Chiesa poi sarebbe diventato una specie di Lombroso che stigmatizza nella relazione del comitato antimafia tutti i calabresi come ‘ndranghetisti. Qualcuno, nel lamentare una scarsa reattività nei confronti dello stigma, ha proposto di permutare la parola “ebreo” con “calabrese”. Allora ho chiesto conforto alla mia amica Marina Machì, con studi sorboniani, la quale mi raccontava che il professor Macherey usava sostituire con rara efficacia didattica “forchetta e coltello” ai concetti di “Natura e Storia”. Esecrabile quel “Calabresi” ghettizzati come gli ebrei e Nando dalla Chiesa diffamatore da portare in tribunale dal delegato di Confindustria Calabria per l’Expo? Prontamente si è accodato anche un assessore regionale di Forza Italia che evidentemente preferisce la retorica del calabrese laborioso e onesto. Vogliamo il diffamatore Dalla Chiesa in tribunale. E già, anche questo succede in Calabria. Per mia formazione culturale continuo a auspicare gli scandali e preferirli alla vanità dei troppo facilmente e ipocritamente indignabili. “È necessario che avvengano gli scandali, ma guai a quell’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!”. E lo scandalo, in questo caso, è la ‘ndrangheta e la colpa non è certo di chi ne denuncia la potenza e la ramificazione. Nando dalla Chiesa è persona informata sui fatti ed è pure molto preciso quando scrive di “personaggi calabresi i cui cognomi o le cui località di origine o residenza ricorrono influentemente nella fittissima rete di relazioni su cui si costruiscono i legami di ‘lealtà’ (di parentela e di compaesanità) che alimentano le ‘ndrine”. La questione m’interroga pesantemente e personalmente.
E nonostante mi sia impegnato in numerose azioni di contrasto (compendiate in Quasi cento un volumetto che sto presentando anche nei più piccoli comuni calabresi), sto discutendo con gli amici lettori/elettori se sia il caso di ricandidarmi alle prossime regionali, anche solo per continuare una battaglia di legalità dagli esiti contraddittori: plauso e approvazione di facciata, dispositivi inapplicati. Inorridisco piuttosto per le campagne d’immagine, per le facili consolazioni. Personalmente, coi sette colpi di pistola indirizzati al portone del mio ufficio, non mi presterò a operazioni di facciata che utilizzino l’immagine di persona perbene e di uomo delle istituzioni. Mi sia consentito di ricordare tra l’altro che, sempre all’inizio di questa consiliatura, cercai (ottenendolo) l’incontro con la commissione affari istituzionali della Regione Lombardia al fine di presentificare, chiaro-chiaro, quanto Gratteri e altri valenti magistrati sapevano da tempo: vale a dire che la ‘ndrangheta non era più un affare solo calabrese. Infine, uno come il professor Dalla Chiesa non è tacciabile di derive lombrosiane. Sa benissimo che non tutti i calabresi sono ‘ndranghetisti o collusi o correi. E non mi risulta alcuna insurrezione popolare dei siciliani per i racconti e le analisi spietate di “Buttanissima Sicilia” di Pietrangelo Buttafuoco.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 19 agosto 2014

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