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csm-webIl botta e risposta tra la VII Commissione del Csm e Marco Travaglio
di
VII Commissione del Consiglio Superiore della Magistratura - 10 maggio 2014
Su alcuni quotidiani del 6, 7 e 8 maggio sono stati pubblicati articoli secondo i quali una recente circolare del consiglio comporterebbe “l’azzeramento del pool antimafia di Palermo”. La notizia è destituita di ogni fondamento. La disciplina della composizione della direzione distrettuale antimafia e dell’assegnazione dei procedimenti aventi ad oggetto delitti di criminalità organizzata di tipo mafioso è dettata prima di tutto dalla legge, che risale al 1991. È la legge che prevede che i procedimenti per i delitti di criminalità organizzata di tipo mafioso siano assegnati solo ai magistrati componenti della direzione antimafia, salvo casi eccezionali. E ancora è la legge, precisamente l’ordinamento giudiziario, che fissa un limite di permanenza nella direzione distrettuale antimafia, determinato dal Consiglio nel massimo consentito di dieci anni. Lo stesso termine è previsto, in base alla legge, per ogni altro gruppo specializzato sia in materia civile che penale, sia per i giudicanti che per i requirenti. Per quanto riguarda l’assegnazione dei procedimenti in tema di mafia, le circolari del Consiglio, sin dal 1994, hanno sempre previsto, in conformità alla norma di legge, come eccezionale l'assegnazione a magistrati non facenti parte della direzione distrettuale antimafia e l’ultima risoluzione consiliare del 5 marzo 2014 si è limitata a specificare i criteri per determinare tali casi eccezionali, individuandoli nella esigenza di apporti professionali diversi da quelli propri dei magistrati della direzione distrettuale antimafia ovvero nella esigenza di perequazione dei carichi di lavoro.

Per quanto riguarda il limite temporale di permanenza nella direzione distrettuale antimafia, la circolare vigente - va rimarcato, non modificata sul punto - prevede non solo una gradualità nell'uscita dei magistrati dalla direzione distrettuale, ma anche la possibilità che il magistrato in uscita possa concludere i procedimenti in precedenza assegnatigli. Tale disciplina vuole evitare pregiudizi alla continuità dell’azione investigativa e nel contempo i molteplici rischi legati alla concentrazione dei procedimenti della DDA in capo a pochi specialisti.   

VII Commissione del Consiglio Superiore della Magistratura

COMPONENTI
Presidente CASELLA GIUSEPPINA
VicePresidente ZANON NICOLO'
Componente ALBERTONI ETTORE ADALBERTO
Componente BORRACCETTI VITTORIO
Componente LIGUORI ALBERTO
Componente RACANELLI ANGELANTONIO

MAGISTRATI SEGRETARI
MICCOLI GRAZIA
GIORGI MARIA SILVIA
CIMMINO ALESSANDRO
DE SENSI BALDOVINO

Direttore di segreteria
Dott.ssa COLANTONIO GIOIA

Capisco l’imbarazzo della VII Commissione del Csm per gli effetti devastanti provocati dalla sua circolare del 5 marzo scorso, ma sono costretto a confermare tutto ciò che abbiamo scritto. Prima di quella circolare, i procuratori capi potevano “applicare” pm estromessi dalle Dda (a causa della demenziale regola dei 10 anni contenuta nell’Ordinamento giudiziario del 2007), in virtù della loro competenza sui fatti oggetto di nuove indagini nate da fascicoli pregressi a loro affidati. Ora non possono più farlo, perché dal 5 marzo vale soltanto la “competenza giuridica sul titolo di reato” e non più sui “fatti”. Il risultato è l’azzeramento della memoria storica dei pool specializzati, anche in materia di criminalità organizzata, e l’estromissione dei magistrati più competenti. A cominciare dalle nuove indagini sulla trattativa Stato-mafia. Complimenti vivissimi a chi ha concepito questo obbrobrio.    

Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano, 10 maggio 2014)

Tratto da:
19luglio1992.com

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