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ciotti-libera-1di Gian Carlo Caselli - 30 marzo 2014
Luca Rastello ha scritto per Chiare-lettere un libro cattivo (I buoni) contro Luigi Ciotti. Un attacco spietato alla persona, al suo pensiero e alle sue opere. Praticamente non si salva nulla. Dilagano ovunque nequizie e ipocrisia. In realtà, proprio l’ipocrisia è il difetto del libro. Si premette che “è corretto considerare le vicende narrate nel romanzo come immaginarie”, ma il velo farisaico di un nome fittizio (don Silvano) serve a niente. Il prete “santo”, laureato “in scienze confuse”, che da bambino “per difendere uno compagno lanciò in faccia alla maestra un portapenne”, per qualunque lettore che non sia del tutto scemo non può che essere ed è certamente Luigi Ciotti.

Del quale mi onoro di essere amico e sarà per questo che fatico a comprendere come dallo scritto di Rastello possa straripare una tempesta di livore così violenta. Ipotizzo un risentimento personale profondo, tant’è che la narrazione si conclude con l’uccisione di un collaboratore di Ciotti e la feroce aggressione di un altro ad opera di uno psicopatico ammalato, che poi si costituisce convinto di poter attirare nella sua cella quel “sacerdote della strada “che certamente non si negherà a “un prigioniero moribondo che ha chiesto come ultima grazia di incontrarlo”. La condanna a carico di Ciotti, nella “logica narrativa” delle “vicende immaginarie”, è forse la pena di morte?

QUASI MEZZO secolo di vita del “Gruppo Abele” e quasi vent’anni di “Libera” di fatto spariscono sotto le macerie di un assortimento di orride nefandezze che sarebbero la regola, fino a creare “un dio che chiamano legalità”, il “loro vitello d’oro” che “dona carriere e onori”, mentre “molti crimini sono migliori di questa legalità” e “molti criminali sono migliori dei suoi sacerdoti”. Sarà pure un romanzo, ma francamente sconcertano abbordaggi così prevenuti di percorsi che certamente possono aver avuto momenti difficili, ma che in una valutazione complessiva non possono essere liquidati con arrogante presunzione.

Rastello sa scrivere bene, ma questa volta le pagine del libro – come dire – sembrano sfuggirgli di mano e trasformarsi in una sorta di manganello da teppisti prodighi di scomuniche che preludono a roghi purificatori (lo psicopatico che chiude il romanzo). La storia del “Gruppo Abele” e di “Libera” è storia – per tutti – di un impegno costante, faticoso, intelligente e produttivo. Su vari versanti: accoglienza e ascolto delle persone in difficoltà; cultura (Università della strada, Centro studi, Casa editrice , percorsi di legalità nelle scuole); mobilitazione politica su temi “sensibili” per i diritti e la giustizia sociale (dalla droga alla corruzione); cooperative sociali di lavoro; iniziative all’estero. Come capo della procura di Palermo dopo le stragi del ’92, posso testimoniare l’importanza decisiva che “Libera” ha avuto nel contrasto alla criminalità organizzata . Che tutti dicono non essere delegabile esclusivamente a polizia e magistratura; ma poi nessuno faceva niente, mentre proprio “Libera” ha aperto la strada dell’antimafia sociale e dei diritti, indispensabile già trent’anni fa per Carlo Alberto dalla Chiesa: “Assicuriamo ai cittadini i loro elementari diritti; togliamo alla mafia il potere di trasformarli in favori; facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati” (frase definita nel libro come una delle citazioni preferite di don Silvano/Ciotti; ed è vero, ma il riferimento a Ciotti nel libro diventa anche fonte di dileggio).

IL MILIONE di firme che provocò l’approvazione della legge del 1996 per la destinazione ad attività socialmente utili dei beni confiscati ai mafiosi ; l’organizzazione di cooperative di giovani che coraggiosamente lavorano a questi beni, producendo ad esempio olio, pasta e vino che sono diventati un vero e proprio baluardo contro i ricatti e le umiliazioni dei mafiosi; il costante e concreto sostegno alle vittime di mafia; la straordinaria partecipazione annuale alla “Giornata della memoria e dell’impegno”, culminata il 21 marzo scorso con la suggestiva “consacrazione” di “Libera” da parte di papa Francesco: ecco un’imponente sequenza di prove che vanno nella direzione di un bilancio fortemente positivo. Svilire tutte queste esperienze a “Grande Rete Giovanile” che crea un’“ambiente ormonale”, consentendo di “accumulare un capitale di figa”, è volgare e squallido. E soprattutto ingiusto.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 30 marzo 2014

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