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borsellino-salvatore-web12di Francesco Trotta - 19 gennaio 2014
Nel giorno del 74esimo compleanno di Paolo Borsellino (Palermo 19 gennaio 1940 – Palermo 19 luglio 1992), il fratello Salvatore ci racconta la vita del giudice, dall’adolescenza fino alla morte, e spiega le dinamiche della trattativa Stato-mafia, con cui Cosa Nostra, attraverso le condizioni dettate, voleva ottenere anche la revisione del “Maxi-processo” e l’attenuazione del regime carcerario duro, a cui Paolo si oppose a costo della vita.

Salvatore Borsellino, qual è il ricordo che ha di Paolo come fratello?
Paolo era di soli due anni più grande di me, fino all’Università abbiamo frequentato la stessa scuola elementare, la stessa scuola media, lo stesso liceo classico, sempre nella stessa sezione e con gli stessi professori, ma lui era sempre due anni avanti e così io sono stato sempre preceduto dalla sua fama di studente che eccelleva in tutto. Avrei potuto non studiare tanto, ma come fratello di Paolo dovevo essere bravo per forza, avevo la strada preparata. Quando si trattò d’iscriverci all’università lui scelse Giurisprudenza, io mi iscrissi ad Ingegneria per liberarmi dalla sua tutela, perché le materie scientifiche erano le uniche in cui riuscivo meglio di mio fratello.
D’altra parte nostro padre morì presto, a soli 52 anni, quando Paolo aveva 21 anni e da allora dovette assumere in qualche maniera il ruolo di capofamiglia. I miei ricordi di Paolo sono legati soprattutto al periodo della nostra giovinezza, gli stessi giochi, gli stessi amici, la stessa formazione dovuta non soltanto alla scuola ma soprattutto al fatto che nostra madre ci faceva leggere di tutto, Steinbeck, Hemingway, Cronin, Thomas Mann, Pirandello, Čechov…, non c’era libro che già prima dei venti anni non avessimo letto. Poi io, dopo la laurea, andai via da Palermo e i ricordi del Paolo-uomo sono più sporadici e più “pubblici”, ma Paolo, più che un magistrato era un uomo, un uomo sempre pronto a capire prima che a giudicare e sempre pronto all’ironia, anche su se stesso.

Cosa spinse Paolo a scegliere la carriera di magistrato? Fu mai pentito di questa scelta?

Nella sua ultima lettera, scritta alle cinque del mattino del 19 luglio, il giorno in cui fu ucciso, per rispondere alle domande dei ragazzi di un liceo, Paolo scrive che avrebbe voluto fare il professore universitario, che la sua passione era il diritto civile, ma per intraprendere quella carriera ci volevano “santi in paradiso” e allora si determinò a fare il concorso in magistratura che vinse diventando un dei più giovani magistrati d’Italia. Si occupò fino ai suoi quarant’anni di giustizia civile, non penale. Fu Rocco Chinnici a chiamarlo a far parte del primo embrione di Pool antimafia, insieme a Giovanni Falcone e quello segnò la sua strada. Non si pentì mai della sua scelta, neanche quando sapeva che portarla avanti sino in in fondo significava affrontare la morte.

Paolo, insieme a Giovanni Falcone e ad altri integerrimi magistrati, riuscì ad assestare il primo duro colpo alla Cosa Nostra dei corleonesi. Poi la situazione mutò talmente in fretta che non subito si capì quello che stava succedendo (Paolo invece l’aveva capito!). Mi riferisco alla trattativa Stato-mafia. Che idea si è fatto di questa trattativa?
Io sono stato uno dei primi a dire che Paolo fu ucciso perché aveva saputo della trattativa Stato-mafia e a questo si era opposto con tutte le sue forze tanto che, per potere continuare a portarla avanti, hanno dovuto dare il via libera alla mafia per eliminarlo. Paolo ritengo abbia avuto la certezza dell’esistenza di questa trattativa il 1° luglio, nello studio del ministro Nicola Mancino che era stato frettolosamente sostituito come ministro dell’interno a Scotti. Il fatto che Mancino continui pervicacemente a negare quell’incontro, tanto da arrivare a sostenere l’assurdo di non conoscere fisicamente Paolo Borsellino, ne è un sintomo evidente. Sull’agenda grigia di Paolo, al 1° luglio, è invece, dalla stessa mano di Paolo, annotato quel nome: Mancino. Per questa trattativa, per salvare la vita di alcuni potenti ed ex ministri democristiani che la mafia riteneva non avessero rispettato i patti ed aveva condannato a morte, è stata sacrificata la vita di un grande magistrato e fedele servitore dello Stato come Paolo Borsellino.

Come mai per molti anni la trattativa era qualcosa di “presunto”, che solo in pochi avevano il coraggio di nominare, mentre ora, persino l’ex ministro Beppe Pisanu ha ammesso che ci fu?

Sulla trattativa, dopo le stragi del ’92 e del ’93, queste ultime poste in essere dalla criminalità organizzata per spingere ed alzare il prezzo della trattativa stessa, è calata una congiura del silenzio che è durata per un ventennio. Solo quando un mafioso diventato collaboratore di Giustizia, Spatuzza, e Massimo Ciancimino, figlio del politico mafioso Vito, hanno cominciato a rivelarne gli aspetti, e grazie al coraggio di pochi magistrati che stanno rischiando la vita per portare avanti le indagini e il processo, questa congiura del silenzio ha cominciato ad incrinarsi ed alcuni dei suoi protagonisti hanno cominciato a fare delle ammissioni.

Quanto conta in questo contesto il potere di certi personaggi in questa vicenda? E che tipo di potere è?
Il potere di certi personaggi è basato sul ricatto, sia la sinistra che la destra sono coinvolti nelle due trattative che si sono succedute ed accavallate, la prima con i vecchi centri di potere, la seconda con quelli che si erano delineati come poteri emergenti. I ricatti incrociati legati a queste due trattative hanno mantenuto ed assicurato questa congiura del silenzio. Le responsabilità di chi ha ostacolato le indagini e ordito il depistaggio sulla strage di via D’Amelio verranno alla luce dai processi di Palermo e di Caltanissetta.

Oggi c’è Antonino Di Matteo e ci sono le minacce di Totò Riina. Ma lo Stato dov’è?
Anche Di Matteo è Stato, la parte sana dello Stato, di cui anche la società civile fa parte e sta con Di Matteo; la parte deviata dello Stato, quella che sta dietro la trattativa, sta dietro le minacce di Riina o ad esse sono rivolte i messaggi criptati lanciati da Riina.
La Giustizia, alla fine, ne sono certo vincerà e sarà affermata quella Verità che noi conosciamo.

Lei è riuscito a riportare l’attenzione sull’Agenda Rossa, misteriosamente svanita, e ha creato l’omonimo movimento che ogni anno, il 19 luglio, anima Palermo. Che è effetto fa tutto questo?
L’Agenda Rossa  doveva sparire, la strage di via D’Amelio è stata ordita anche per quello, uccidere Paolo senza fare sparire la sua agenda non sarebbe servito a nulla. Il Movimento delle Agende Rosse nasce per pretendere Verità e Giustizia e sono soprattutto i giovani che lo compongono ad animarlo. La manifestazione del 19 luglio in via D’Amelio a Palermo ne è il punto focale, nasce per impedire agli avvoltoi di tornare nel luogo della strage, per impedire la deposizione ipocrita di fiori da parte di rappresentanti di quelle stesse istituzioni che hanno voluto la trattativa, l’hanno portata avanti sacrificando la vita di tanti fedeli servitori dello Stato e che di quella trattativa ancora oggi continuano a pagare le cambiali.

Lei ha visto lo Stato da vicino. Suo fratello la mafia. Chi fa più paura?
La mafia aveva condannato a morte Paolo e quella condanna prima o poi l’ avrebbe eseguita, lo Stato deviato ha richiesto che quella condanna venisse eseguita solo 57 giorni dopo la strage di Capaci. Paolo combatteva la mafia e conosceva le possibili conseguenze della sua lotta, ma chi lo ha ucciso o ne ha preteso l’assassinio sono stati pezzi di quello Stato a cui aveva giurato fedeltà e che avrebbe dovuto lottare al suo fianco. Chi fa più paura? Il nemico o i traditori? Il nemico lo combatti e da esso puoi difenderti, il traditore ti colpisce alle spalle.

Chiudiamo con i giovani. Cosa direbbe ad un ragazzo che vorrebbe intraprendere la carriera di magistrato perché sa chi è Paolo Borsellino?

Direi che non è soltanto facendo il magistrato che si può combattere la mafia, la criminalità organizzata, ma se si è fatta quella scelta, in questo nostro disgraziato Paese, bisogna mettere in conto che i tuoi peggiori nemici potrebbero annidarsi in quello stesso Stato che giurerai di servire.

Francesco Trotta per ArtCorsoComo

Tratto da: 19luglio1992.com

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