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Intervista al pm Nicola Gratteri
di Luca De Carolis - 9 agosto 2013
Non accetto questa norma per principio. In questo modo si trasmette alla gente il messaggio che tutto si aggiusta, e che alla fine le istituzioni sono sempre disposte a cedere qualcosa”. Nicola Gratteri (foto), procuratore aggiunto a Reggio Calabria, commenta così l’articolo 1 del dl che ha convertito in legge il decreto “svuota carceri” del governo, approvato ieri in Senato. La norma modifica l’articolo 280 del codice di procedura penale, cancellando la possibilità di disporre la custodia cautelare in carcere per diversi reati, molti dei quali tipici delle inchieste sulle mafie: dal favoreggiamento personale alle false informazioni al pm, sino alla malversazione ai danni dello Stato. Il Fatto aveva intervistato sul tema il procuratore di Palermo Nino Di Matteo, a detta del quale la norma “spunta le armi contro le mafie”. Ieri, la replica di Donatella Ferranti (Pd), presidente della commissione Giustizia della Camera: “Il decreto non spunterà le armi agli inquirenti. Escludere la custodia cautelare in carcere per i reati al di sotto di una certa soglia non significa impedire la detenzione, semplicemente vuol dire spostarla su altre forme come i domiciliari”.

Procuratore, il governo restringe il campo della custodia cautelare. Preoccupato?
Guardi, lo trovo un provvedimento diseducativo. Per l’ennesima volta, si mette nella testa della gente un tarlo pericoloso: ossia che alla fine c’è sempre uno sconto per chi ha commesso reati, c’è sempre una scappatoia. Ed è un segnale molto negativo.

Dalla maggioranza replicano: la custodia in carcere per certi reati verrà solo spostata sui domiciliari.
Mi dovrebbero spiegare dove troveranno gli uomini per controllarli, i detenuti messi ai domiciliari. Con l’organico attuale, gli agenti possono fare massimo un controllo ogni 24 ore. Sfido chiunque a dimostrare il contrario. E poi domiciliari e carcere sono due cose molto diverse.

Ma questa norma quanto può incidere sul sovraffollamento delle carceri?
Di certo non si risolve il problema spostando di un anno in avanti la soglia per la custodia cautelare. Serve ben altro.

Per esempio?
Innanzitutto, bisogna sottoscrivere trattati bilaterali con i Paesi stranieri, Romania, Albania, Tunisia e altri, per far sì che i detenuti di quei Paesi arrestati in Italia scontino la pena in patria. Le spese della detenzione verrebbero comunque sostenuti dal nostro Paese, ma ci guadagneremmo ugualmente, perché il costo della vita in quelle nazioni è molto inferiore. Avrebbero dovuto lavorare in questa soluzione subito dopo l’indulto (del 2006, ndr), invece di perdere tempo prezioso.

Altri passi da fare?
Abbiamo nelle nostre carceri migliaia di tossicodipendenti, in gran parte giovani, che per procurarsi la droga rubano o commettono rapine. Costringiamoli ad andare nelle comunità terapeutiche: le statistiche dicono che 4 ragazzi su 10 smettono con la droga dopo il periodo in comunità.

Ma come costringerli?
Gli va posto l’aut aut: “Se vuoi evitare il carcere, devi andare in comunità. E se evadi dal centro di recupero, vai in galera, senza più alternative”. Poi c’è un problema che riguarda i detenuti sottoposti al 41-bis (carcere duro per i mafiosi, ndr).

Prego.
Attualmente, i mafiosi passano il tempo in carcere guardando la televisione. Io penso invece che, come per i tossicodipendenti il lavoro è lo strumento base che viene praticato nelle comunità di recupero, lo stesso dovrebbe avvenire per tutti i detenuti. Bisogna farli lavorare, così da instradarli in un percorso di reinserimento sociale. Ovviamente i mafiosi non possono essere impiegati nell’aggiustare aiuole nel centro delle città: ci sarebbero rischi enormi per la sicurezza. Mandiamoli piuttosto nelle spiagge o sui monti, a ripulire.

Il governo punta molto sul piano carceri, che prevede la costruzione di nuovi istituti.
Io dico che prima di costruirne di nuove vanno riaperte quelle vecchie. Riapriamo l’Asinara e Pianosa, e mandiamoci i detenuti sottoposti al 41 bis.

Riaprirli pare nei piani del commissario straordinario per le Infrastutture carcerarie.
Io aspetto sempre i fatti. E comunque, nel carcere di Sassari aperto un paio di settimane fa, la sezione per i 41 bis non viene ancora adoperata. Per costruire nuovi istituti ci vogliono anni. Partiamo da quelli già esistenti, faremo molto prima.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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