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teresi-vittorio-web1di Vittorio Teresi - 20 luglio 2013
La prima cosa che mi viene da dire  e' che detesto continuare a vivere in un paese in cui è necessario predisporre rigide misure di sicurezza e di protezione nei confronti di magistrati che continuano a fare unicamente e correttamente il proprio dovere, ricercando la verità, su fatti complessi, delicati e gravi che incidono su vicende politiche del nostro recente passato ed i cui effetti continuano a dispiegarsi sulle vicende politiche attuali.

Sono altrettanto stanco di vivere in un paese in cui alcuni magistrati che si occupano di un processo, delicato, difficile, carico di code polemiche, continuano ad essere presi di mira da un doppio fuoco di attacchi strumentali ed intimidatori.
Lettere anonime, che con occhiuta attenzione disvelano i presunti punti deboli di quel sistema di protezione che lo Stato ha predisposto attorno a quei magistrati, strani ed inquietanti episodi di introduzione nelle case di altri di quei magistrati, visite marcatamente provocatorie e intimidatorie, in esito alle quali non viene rubato nulla di prezioso, ma viene sottratta una chiavetta USB, contenente documenti personali.

Articoli e saggi, interviste e dichiarazioni, più o meno dotti, ma tutti sinistramente tempestivi, per fare da cornice alle udienze del processo della c.d. "Trattativa Stato-mafia". Che cosa sta succedendo?

Dal mio punto di vista posso soltanto assicurarvi che i colleghi che lavorano insieme a me per portare a termine quel processo e quelli che, prima di me hanno iniziato quel lavoro, particolarmente difficile ed impegnativo, lo fanno e lo hanno fatto solo in nome di un irrinunciabile desiderio di verità, forse anche per un tacito patto di attaccamento e di amicizia verso coloro che sono morti per mano non solo mafiosa.

Io non ho alcun merito in questo processo, mi sono soltanto assunto l'onere di cercare di coordinare e coadiuvare i colleghi in ogni fase del processo, nella speranza di riuscire a riportarlo  nel suo alveo naturale, quello dell'aula di giustizia. Nel confronto con le controparti. Cercare di portare il processo fuori dalle secche delle polemiche e delle supponenti prese di posizione di chi crede di avere già in tasca tutte le risposte, prima e a prescindere dal contraddittorio tra le parti. Prima della conoscenza che noi cercheremo di portare ai Giudici.
È ormai diventato insopportabile leggere, ascoltare, vedere le prese di posizione di chi non conosce nulla del processo eppure crede di potere dire una parola definitiva su di esso, al solo scopo di orientare, anzi di disorientare, l'opinione pubblica e non solo quella meno attrezzata dal punto di vista della cultura giuridica, ma anche quella dei c.d. Addetti ai lavori. Si stanno formando due schiere, due movimenti di pensiero: quelli favorevoli e quelli contrari al processo. Ma se provassimo semplicemente a seguire le fasi dibattimentali, a commentare, criticare ma soprattutto a conoscere prima di parlare, non faremmo tutti un buon servizio alla diffusione della conoscenza di un fatto così complesso?

Mi sorge il dubbio che tutti gli odierni ed improvvisati commentatori del processo si siano fermati al titolo. Quello di cui ci stiamo occupando è ormai universalmente noto come il processo della "trattativa" , si tratta di una mera etichetta, di una semplificazione giornalistica, dalla quale difficilmente ormai riusciremo a liberarci. Ritengo però che sia venuto il momento per tentare di affibbiare al processo una nuova etichetta, quello di cui stiamo parlando è in verità il processo del ricatto. Quando ci si è posto il problema di dare veste giuridica alle emergenze raccolte nel corso delle indagini preliminari era emerso con chiarezza che gli autori delle pressioni esercitate nei confronti delle istituzioni, consumavano  un vero e proprio ricatto, una sorta di estorsione, nella quale l'elemento della violenza e delle minacce era portato mediante l'omicidio di Lima e le bombe esplose nel 93. Proprio per questa ragione la fattispecie contestata e stata quella del reato di cui all'art. 338 CP.
Se anche i più attenti commentatori, i più accreditati professori si fossero degnati di leggere attentamente non avrebbero mai posto il quesito se è legittimo o meno da parte dello Stato trattare con la mafia. Avrebbero dovuto piuttosto porsi il problema della rilevanza penale del ricatto allo Stato portato da alcuni rappresentanti di esso in concorso con i mafiosi. Ecco il tema del processo. Da oggi mi auguro che la semplificazione mediatica lo etichetti come il processo del ricatto allo Stato.
Ma purtroppo temo che al di la delle etichette, esista una larga fetta di pensatori (mi chiedo quanto liberi) che comunque lo si chiami quel processo non lo vogliono, sono contrari al fatto stesso che esso venga celebrato.

Ricordo bene i benpensanti che accusarono la Procura di Palermo perché il processo Andreotti non si doveva neppure celebrare, così il processo Mannino, non ho mai capito il perché. È indubbio che da quei processi sono venuti fuori elementi di conoscenza essenziali per l'analisi della nostra storia recente, per capire i meccanismi di politicizzazione della mafia e della dipendenza della politica dalla stessa mafia.

Oggi siamo allo stesso punto di allora, pensatori, giuristi, costituzionalisti preferirebbero che gli odierni imputati di quel processo non fossero stati tratti a giudizio, prima si additavano  i pubblici ministeri, come dei visionari con velleitarie mire di protagonismo o addirittura affetti da ansie eversive.
Dopo il rinvio a giudizio gli attacchi si sono spostati verso il Giudice che ha letto nelle conclusioni dei PM una costruzione giuridica apprezzabile e suscettibile di un confronto pubblico governato dalle rigide regole del processo penale.
Prego tutti costoro di fermarsi!!

Altri Giudici oggi sono chiamati a valutare il complesso probatorio portato a fondamento delle incriminazioni, prego di lasciare lavorare quei giudici. Tanto ormai nessuno potrà sottrarre loro quel giudizio, la questione della competenza e' ormai definitivamente consolidata, la competenza e' di Palermo e della Corte di Assise, Punto.
dobbiamo solo decidere se quei Giudici devono lavorare serenamente o se invece dovranno fare i conti con le più scomposte, disinformate, strumentali prese di posizione di chi si vorrà ergere a difensore di non meglio precisati interessi superiori dello Stato.
Allora mi chiedo:
Esiste una soglia di verità accertabile? Esiste un limite oltre il quale l'autorità giudiziaria si deve fermare in nome di una ragion di stato mai espressamente richiamata, ma sempre sottilmente ed implicitamente  evocata?
Ormai non più, si rassegnino i professori, quel processo si sta facendo e si continuerà a fare, sino alla sua naturale conclusione, qualunque cosa possa accadere.
Il processo si farà, lo porteremo a conclusione oltre gli attacchi, oltre le prese di posizione, oltre le provocazioni,oltre  le intrusioni nelle nostre case, oltre le lettere anonime e le notizie, per quanto allarmanti esse potranno essere.
Ormai sappiamo da dove vengono, li staneremo.
Siamo perfettamente consapevoli che gli attacchi proseguiranno, diventeranno forse piu pesanti, inquietanti, il clima si fara' piu' fosco ma il processo, comunque, sarà portato a conclusione. Chi non lo vuole si rassegni.

* Intervento di Vittorio Teresi, procuratore aggiunto di Palermo, al convegno “Paolo Borsellino: la mafia mi ucciderà ma saranno altri a volerlo”

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