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travaglio-marco-web28di Marco Travaglio - 12 giugno 2013
Afuria di revisionismi e negazionismi sulla trattativa, finirà che dovremo dimostrare l’esistenza della mafia (su quella dello Stato è inutile perder tempo). È per questo che ci occupiamo spesso di alcuni minori del giornalismo, che parlano di tutto senza sapere nulla, come Claudio Cerasa: per dare un’idea di com’è ridotta l’informazione in Italia, e del perché. Ieri l’orecchiante del Foglio, non contento di essersi bevuto la scombiccherata autodifesa del generale Mori, è arrivato a scrivere che “la trattativa Stato-mafia è una boiata pazzesca”. E il guaio è che potrebbe persino essere in buona fede: gli hanno raccontato che la trattativa è “la versione di un pm” (Ingroia, che per giunta “si è candidato alle elezioni”) e “di un pataccaro” (Ciancimino jr.), fortunatamente “fatta a pezzi” da Giovanni Fiandaca, “uno dei più autorevoli studiosi di diritto penale”. Dunque, a seguire il suo ragionamento (si fa per dire), se un pm si candida alle elezioni, le sue indagini precedenti sono patacche.

Cioè: siccome Ferdinando Imposimato indagò sul caso Moro e poi fu eletto senatore, allora le Br sono innocenti e Moro non fu rapito né ucciso: anzi, pare sia ancora vivo. Purtroppo, a giudicare la fondatezza di un’indagine non sono né i Cerasa né i Fiandaca: è il Gup. E il gup Morosini ha confermato la fondatezza dell’indagine sulla trattativa, rinviando a giudizio tutti gli imputati. Ma tutto questo Cerasa non lo sa. Il processo di Palermo non deve dimostrare la trattativa, già accertata da due sentenze definitive della Cassazione e da quella della Corte d’Assise di Firenze sul boss Tagliavia; bensì l’eventuale colpevolezza di 10 imputati. Ma tutto questo Cerasa non lo sa.   È così disinformato sui fatti da scrivere che, siccome Mori e De Caprio del Ros sono stati assolti dall’accusa di aver favorito la mafia, può darsi che il covo di Riina l’abbiano perquisito, o che la colpa sia di Caselli che non gliel’ordinò. Non sa che persino Mori ammette il mancato blitz, ma soprattutto lo dice il Tribunale. L’ordine Caselli lo diede, poi lo revocò perché Mori e De Caprio chiesero un rinvio: ma “sul presupposto indefettibile che fosse proseguito il servizio di video-sorveglianza”, che invece fu subito ritirato; e “l’omessa perquisizione e la disattivazione del dispositivo di controllo” all’insaputa dei pm è “elemento certamente idoneo all’insorgere di una responsabilità disciplinare” dei due ufficiali. Ma tutto questo Cerasa non lo sa. Quanto al papello – farfuglia – “è una fotocopia di cui non esistono accertamenti storici definitivi... portato da un testimone che si chiama Ciancimino”. E chi doveva portarlo, visto che il postino di Riina, Antonino Cinà, lo consegnò a lui? Il documento è una copia perché l’originale fu consegnato da don Vito agli uomini dello Stato, che lo fecero sparire. L’autenticità del documento non è una diceria di Ingroia e Ciancimino: è la conclusione cui è giunta la polizia Scientifica, che ha accertato la datazione della carta e del toner agli anni 90 e l’assenza di ogni possibilità di manomissione (tipo collage o Photoshop). Ma tutto questo Cerasa non lo sa: “La Scientifica ha sì periziato l’autenticità del papello ma senza riuscire a confermane l’autenticità”. Non è meraviglioso? C’è pure il “contropapello” scritto da Vito Ciancimino d’intesa con Provenzano per addolcire il papello di Riina (altra fotocopia autentica, con grafia di don Vito). Ma tutto questo Cerasa non lo sa. Resta poi da spiegare perché, quando Brusca parla per primo del papello nel '96, Mori corra dai giudici a confermare “la trattativa” (la chiama proprio così). E perché, se Riina non scrisse il papello e don Vito non lo consegnò a chi di dovere, i governi dal '93 a oggi lo realizzarono punto per punto, smantellando 41-bis, supercarceri, ergastolo, pentiti e depotenziando la custodia cautelare e il sequestro dei beni. Eppure, che si sappia, Riina, Provenzano e Ciancimino non hanno mai governato. Nostradamus, a quei tre, gli fa una pippa.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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