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eternitcasale-webdi Santo Della Volpe - 5 giugno 2013
Giustizia è fatta, per l’Eternit. Ma per ora è solo una grande vittoria dei principi, che pure sono importanti. I 18 anni di carcere ,2 in più rispetto al primo grado,inflitti dalla Corte d’Appello di Torino a Stephan Schmidheiny, ribaltano finalmente un assioma ritenuto vincente per più di un secolo. Perchè la Corte ha finalmente affermato il principio che la vita umana e la dignità delle persone rappresentano un valore assoluto più importante di ogni altro tipo di interesse; il disastro ambientale è un reato perché porta morti e vittime, che sono da condannare pesantemente, non da sopportare come una componente inevitabile dello sviluppo economico. Ed anche  i risarcimenti che l’Eternit dovrà pagare, 92 milioni di Euro, dei quali sono importanti i più di 30 milioni al Comune di Casale Monferrato ed altri 20 alla Regione Piemonte (che ora dovranno definire le bonifiche necessarie dei siti contaminati dalle fibre di amianto), sono un importante riconoscimento di una battaglia del diritto alla vita e dei principi fondamentali alla salute nei luoghi di lavoro e di vita delle persone, che non ha eguali nella storia,italiana (sicuramente) ed anche mondiale.

Come ha detto il procuratore aggiunto Guariniello questa sentenza è «un inno alla vita. È un sogno di giustizia che si avvera. Speriamo che si avveri anche a Taranto (riferendosi al caso Ilva, ndr) e in tutti i Paesi del mondo in cui si continua a usare l’amianto». Poi ha aggiunto: “Non è che uno sia mai contento delle sentenze di condanna ma questa è un grande messaggio lanciato al nostro Paese e ai Paesi di tutto il mondo”. Infatti a Casale Monferrato, si sono già riunite le associazioni contro l’amianto di Francia ,Belgio, Svizzera, Brasile ed altri paesi sudamericani, per concordare l’uso di questa sentenza nei loro paesi, dove l’Eternit e le micidiali fibre di amianto, non solo si usano, ma si continuano a produrre. In particolare nei paesi emergenti, come India e Cina, ma anche nel civilissimo Canada, le multinazionali dell’amianto, potenti anche nei media e nell’informazione, continuano a lavorare ed a fare profitti, sulla spalle della gente ignara delle conseguenze di questa micidiale fibra. “Perché non posso pensare ad una vera giustizia sino a quando ci saranno persone nel mondo, ignoranti come lo eravamo noi, che continuano a lavorare e respirare amianto per colpa dei silenzi dell’Eternit” dice la signora Romana Blasotti Pavesi, presidente dell’Associazione  famigliari Vittime dell’Amianto di Casale Monferrato. Che aggiunge,con la sua forza che le deriva dall’aver avuto ben 5 tra marito, figlie,sorelle ed altri familiari morti per tumore da amianto: ”Ora l’importante è che  questo signore che è stato condannato paghi. Forse non andrà mai in carcere, ma almeno paghi perché quei 92 milioni di Euro devono servire per la bonifica e per la ricerca medica. Questa è la vera condanna che vogliamo sia rispettata: paghino con i soldi accumulati sulla pelle delle vittime perché non ci siano più vittime”.

Perché ormai la vera scommessa è questa: nella sede dell’AFEVA, l’Associazione dei familiari delle vittime di Casale Monferrato, l’armadio-archivio non ha più posto. Le cartelline con i fascicoli e la storia delle vittime (di color bianco per gli ex lavoratori, rosse per gli abitanti di Casale Monferrato, Giallo per i nuovi ammalati) hanno ormai riempito tutti gli spazi: per i 200 nuovi casi che saranno portati da Guariniello e dal suo team di magistrati nel processo Eternit Bis che arriverà alla fase preliminare già questo fine anno, si è dovuto prendere un armadio nuovo. I morti aumentano: ”già nel 1996, quando è morto mio marito”dice la signora Assunta Ferraris, ”ci sembrava orribile che si verificassero 20 nuovi casi di tumore all’anno, nella sola Casale Monferrato. Ora siamo arrivati a 50 casi l’anno ed il numero aumenterà,sino al 2020. E muoiono persone sempre più giovani”. Infatti l’ultima persona morta, Paola Chiabrera, aveva solo 36 anni. Aveva saputo d’essere malata di mesotelioma pleurico la sera del 13 maggio 2012,appena tornata da Torino,dove aveva assistito alla lettura della sentenza di primo grado per l’Eternit. E’ morta senza esser riuscita a sentire la sentenza d’appello, il 7 aprile scorso. Era una delle tante giovani vittime del “polverino”, come veniva chiamata la polvere d’amianto distribuita negli anni ’70 alla cittadinanza di Casale Monferrato per gli usi più disparati, dalla pavimentazione dei cortili, all’isolamento termico dei tetti. Ci giocavano i bambini su quelle montagne di polvere soffice come borotalco. Era veleno puro:lo sapevano i dirigenti Eternit,ma lo distribuivano gratuitamente, per non smaltirlo in modo controllato e sicuro. Lo dice la sentenza di condanna,di primo e secondo grado.

Per questo è importante la bonifica e la ricerca medica: perché altre persone si ammaleranno,altre fibre sono in incubazione nei polmoni e nella pleura di ignari cittadini di Casale Monferrato. Ed allora è importante che anche le case farmaceutiche favoriscano la ricerca per arrivare a delle cure che non siano solo palliativi del dolore, ma che possano impedire la morte. E’ un investimento sociale: non si possono guardare solo i profitti della distribuzione di farmaci. I soldi delle provvisionali e delle cause civili debbono essere recuperati dal magnate svizzero

Stephan Schmidheiny ed indirizzati a sostegno di questa finalità,per salvare vite umane.

Purtroppo però, dietro l’angolo della sentenza  Corte d’Appello, c’è la beffa in agguato: perché morto il barone belga De Cartier (primo proprietario dell’Eternit), portando con sé nella tomba molti risarcimenti per le vittime precedenti il 1976,usciti così dal processo, il miliardario svizzero Schmidheiny è rimasto l’unico ad essere condannato a quei risarcimenti. Ma il magnate dell’amianto vive ora in Guatemala, si è riciclato in improbabili industrie verdi della “green economy”, ha le sue società in Svizzera  ed ha sempre snobbato il processo di Torino.”Quasi volesse sfidare tutti dicendo, provate a venirmi a prendere i soldi” dice Bruno Pesce, storico coordinatore dei familiari delle vittime. Tant’è vero che, in attesa dell’Appello, aveva evitato di pagare le provvisionali decise in primo grado, facendo offerte molto basse ai familiari delle vittime per farli uscire dal processo, ma sempre tramite i suoi avvocati e con offerte quasi ridicole, dato che si trattava di morti per un tumore o l’asbestosi provocati dalla fibra di cui per anni ha impedito la conoscenza della pericolosità. Ora, se la Cassazione dovesse rendere definitiva questa sentenza, si aprirà la partita del recupero di queste somme e dell’eventuale estradizione del magnate svizzero. Che non metterà sicuramente piede in Italia di sua volontà; ma che cercherà anche di impedire che i suoi soldi,così guadagnati e ben localizzati in  banche coperte dal segreto, finiscano ai destinatari decisi dai tribunali italiani.

Ecco dunque l’appello delle Associazioni delle vittime da amianto: che sia lo Stato italiano a scende in campo, che si faccia garante, usando i trattati e la sua forza politica in campo internazionale, per costringere gli Stati che ospitano i soldi di Schmidheiny a collaborare con le autorità italiane.

E’ per la giustizia di migliaia di vittime,che magari non sono illustri studiosi,imputati eccellenti o terroristi in libertà all’estero: ci si muova anche per loro, persone umili, lavoratori che hanno perso la vita per colpe riconosciute da tribunali italiani, non da ideologiche posizioni più o meno preconcette.
E’  la Giustizia, la più normale ma difficile da applicare: altrimenti anche la storica sentenza di Torino rischia di diventare una beffa per le vittime.

Tratto da: articolo21.org

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