Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

mazzetti-loris0di Loris Mazzetti - 1° giugno 2013
In questo strano Paese, dove tutto viene dimenticato, i media, quelli che ultimamente hanno raccontato di mafie solo davanti al morto o nelle ricorrenze delle stragi, hanno improvvisamente riacceso le luci su Cosa nostra. È accaduto lunedì scorso per l’apertura del processo sulla Trattativa tra Stato e mafia. La Repubblica, che per un anno è intervenuta sulla Trattativa soltanto a difesa di Napolitano per accusare i pm di Palermo di averlo intercettato con Mancino, e che aveva liquidato con tre righe le prime minacce mafiose al pm Nino Di Matteo, sul processo ha dedicato ben due pagine. Di Matteo, il magistrato che oltre alla Trattativa segue il processo all’ex comandante dei Ros Mori per il mancato arresto di Provenzano, ha ben presente le parole del boss pentito Salvatore Cancemi (fu nominato da Riina reggente della cosca di Porta Nuova, era colui che supervisionò il commando che uccise il giudice Falcone, la moglie e la scorta): “Se Cosa nostra non avesse avuto dasempre gli agganci con lo Stato, se non avesse intrattenuto e mantenuto rapporti con la politica e con le istituzioni, sarebbe stata debellata in pochissimo tempo come qualsiasi altra banda di criminali comuni”.

Sul tema è accaduto un fatto, clamorosamente sottovalutato da tutti: l’outing di Bruno Vespa a Servizio pubblico che avrebbe dovuto far scalpore perché è il giornalista più vicino al potere. Vespa disse in diretta tv che Valpreda era il colpevole e non l’accusato della strage di Piazza Fontana; definì, allora direttore del Tg1, la Dc il suo editore di riferimento (anche lui ebbe il suo “edittino bulgarino”); è da sempre il prezioso “sarto tv” di Berlusconi; Porta a Porta era stata definita da Andreotti la terza “Camera”. Vespa ha detto da Santoro che nel 1993, dopo le stragi, ebbe una conversazione con Vincenzo Parisi, allora capo della Polizia ed ex servizi segreti, che gli procurò qualche disagio nella sua ferrea fiducia negli organismi dello Stato. Parisi gli disse che le stragi del 1992 “stabilizzarono”, mentre quelle del 1993 “erano pericolose”. Questo racconto su Parisi (che fu contattato dal ministro Mannino, nel mirino della mafia, per cercare un dialogo con Cosa nostra), apre un mondo sul rapporto tra mafia e pezzi dello Stato: le stragiiniziarono nel 1947 con Portella delle Ginestra e non nel 1992; poi ci furono gli anni della strategia della tensione; la P2 di Gelli ma anche di Berlusconi; senza trascurare Gladio che in Sicilia aveva come riferimento il mafioso Vito Ciancimino.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos