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ciotti-luigi-web6di Luigi Ciotti - 25 maggio 2013
«Era uno che non si era incanalato, che faceva di testa sua»; «Predicava, predicava, prendeva ragazzini e li toglieva dalla strada... Martellava e rompeva le scatole». Queste parole di Gaspare Spatuzza e di Giovanni Drago, mafiosi divenuti collaboratori di giustizia, basterebbero a spiegare, nella loro rozza schiettezza, perché don Pino Puglisi è stato ucciso. Ma sono molto lontane dal dire chi davvero fosse don Pino Puglisi. Come tutte le persone restie a fare della propria coscienza un luogo di eterna mediazione e contrattazione, Puglisi imprimeva a tutto ciò che faceva il senso della ricerca e del bisogno di verità. Se era un «rompiscatole», era perché le scatole le rompeva innanzitutto a se stesso, perché non si accontentava di «fare», ma voleva fare bene, con rigore, coerenza e serietà. Il primo aspetto che salta agli occhi è quello dell'educatore. Don Puglisi aveva un talento raro nell'educare. Il che significa che il suo insegnamento era fondato sull'ascolto e sul comportamento, più che sulle parole. Non gli interessava tanto trasmettere nozioni, quanto che le persone diventassero capaci di scegliere con coscienza e responsabilità. Ossia che fossero libere.

Che tutto ciò portasse a esiti diversi dall'abbracciare la fede, non era affatto per don Puglisi segno di sconfitta... Molti hanno cercato di dare una definizione all'attività pastorale di don Pino. Voglio sottolineare come la definizione «prete antimafia» sia sbagliata non solo perché ogni definizione, sia pure attribuita con le migliori intenzioni, impoverisce la complessità di una vita. Ma perché Puglisi aveva capito che il problema non è tanto la mafia come organizzazione criminale (se così fosse basterebbero la magistratura e le forze di polizia) quanto la mafiosità, il mare dentro cui nuota il pesce mafioso. L'assassinio di don Pino Puglisi ci ricorda che sconfiggeremo le mafie solo quando saremo capaci di fare pulizia attorno e dentro di noi, quando supereremo gli egoismi, i favoritismi, i privilegi e l'inevitabile corruzione che questo modo d'intendere la vita porta con sé. Solo quando avremo il coraggio di riconoscere anche le nostre responsabilità non solo dirette ma indirette, riferibili a quel peccato di omissione che consiste nell'interpretare in modo restrittivo e formale il nostro ruolo di cittadini. In tal senso la beatificazione di don Pino Puglisi è, paradossalmente, una «spina nel fianco» per tutti noi.

Tratto da: Il Corriere della Sera

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