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bolzoni-attilio-webCosì diventò una teste chiave: “Fu lui arivelarmi della trattativa Stato-mafia”
di ATTILIO BOLZONI - 6 maggio 2013
LA LORO vita era cambiata una notte di trentatré anni fa. Dopo l’uccisione di un capitano dei carabinieri furono trascinati nell’inferno di Palermo, lui a rischiare ogni giorno la pelle e lei a resistere e a sostenerlo appena un passo dietro. In silenzio, con discrezione. E anche dopo, dopo la bomba del 19 luglio del 1992. È sempre stata lì a proteggere i suoi figli e sempre in cerca della verità. A modo suo, con riserbo, con una dignità tutta siciliana. Così se n’è andata, in punta di piedi, la signora Agnese, vedova del procuratore Paolo Borsellino, donna apparentemente minuta e fragile, in realtà donna fortissima che mai — mai per un solo momento — si è fermata per tentare di dare un volto agli assassini di suo marito. In quest’Italia, non li ha mai trovati.

Aveva 71 anni Agnese Piraino Leto. Era molto malata. Viveva ancora nella vecchia casa di via Cilea — la zona dei palazzoni di Palermo — dove al tempo abitava con suo marito e Lucia e Manfredi e Fiammetta, i loro figli. La porta del salone sempre chiusa, dall’altra parte lo studio di Paolo Borsellino custodito come una reliquia. Le foto di famiglia, i calendari dell’Arma dei carabinieri, gli articoli di giornale gelosamente conservati, gli appunti. Paolo Borsellino e Agnese si era conosciuti nel 1967. Un incontro casuale in uno studio notarile, Paolo giovane pretore a Mazara del Vallo, Agnese figlia del presidente del Tribunale di Palermo. Un anno dopo, sposi.
L’ultima sua apparizione in pubblico molti mesi fa, a ottobre. Un messaggio semplice: «Questa città deve resuscitare, deve ancora resuscitare». L’estate prima, il 19 luglio, per la malattia non era riuscita a partecipare al giorno della memoria, il ventesimo anniversario dalla strage.
Non ce l’ha fatta nemmeno ad arrivare nei giorni scorsi a Caltanissetta,
dove si sta celebrando l’ultimo dei quattro processi agli assassini di Borsellino, un dibattimento intorno ai misteri del massacro, primo quello della scomparsa dell’agenda rossa del procuratore. Aveva raccontato un paio di anni fa ai magistrati inquirenti: «Paolo mi accennò che c’era una trattativa tra la mafia e lo Stato... fu dopo la strage di Capaci». E aveva anche ricordato che suo marito, alla vigilia di quel 19 luglio, le rivelò che suo marito aveva saputo di un alto ufficiale dei reparti speciali dei carabinieri — il generale Antonino Subranni — «che era punciuto», cioè affiliato a Cosa Nostra. Testimonianze che sono entrate nelle inchieste sulle stragi Falcone e Borsellino e nel processo sulla trattativa che è appena iniziato a Palermo.
Interrogata in gran segreto, Agnese Borsellino non ha mai voluto commentare (neanche quando le sue dichiarazioni sono diventate pubbliche) ciò che aveva riferito ai magistrati. Nel suo stile, ha sempre preferito la riservatezza. Come ha fatto per una vita intera. Da quando, quella notte di maggio del 1980, tre sicari di mafia uccisero a Monreale il capitano dei carabinieri Emanuele Basile e da quel momento la tranquilla esistenza borghese di una famiglia palermitana fu sconvolta per sempre. Cominciarono le minacce. E inizò una vita blindata che si è conclusa dodici anni dopo in via Mariano D’Amelio.
Prima la paura di vivere in una città assediata come Palermo, poi il tormento di non avere giustizia. Appena ventiquattro ore prima dell’autobomba di via Mariano D’Amelio, Paolo Borsellino prese per mano la moglie e la portò in riva al mare. Era il 18 luglio del 1992. Le disse: «Non sarà la mafia ad uccidermi ma saranno altri. E questo accadrà perché c’è qualcuno che lo permetterà. E fra quel qualcuno, ci sono anche miei colleghi».
La notizia della sua scomparsa è stata annunciata con un post su Facebook da Salvatore Borsellino, il fratello di Paolo. Due righe: «È morta Agnese. È andata a raggiungere Paolo. Adesso saprà la verità sulla sua morte». I funerali oggi, nella chiesetta di Santa Luisa di Marillac. La stessa dove è stato dato l’ultimo saluto al procuratore Borsellino.

Tratto da: La Repubblica

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