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ingroia-antonio-web40-c-reutersdi Liana Milella - 10 aprile 2013
È solo su Ingroia che questo Csm riesce a trovare l’unanimità. Unanimi nel criticare la sua scelta di scendere in politica e pronunciare quel contestatissimo “Io ci sto”. Unanimi nel decidere che l’unico posto dove può andare, una volta sconfitto alle elezioni, è la gelida Aosta, e neppure con un posto di pubblico ministero, che pure ci sarebbe stato, ma come giudice fuori ruolo. Unanimi anche nel condividere le azioni disciplinari che piovono sulla testa di Ingroia, “reo” di aver criticato la Consulta sul caso Stato-mafia e di aver contestato un giudice della Cassazione per Dell’Utri. Deve starsene zitto Ingroia perché – come dicono qui al Csm – ha già fatto troppi danni alla magistratura.

È in questo mood che, già da giorni, era nell’aria il no a metterlo in aspettativa per consentirgli di andare a dirigere l’Equitalia siciliana. Non ci sarebbe “un interesse dell’amministrazione della giustizia” a fargli ricoprire quel ruolo da magistrato, anche se in aspettativa. E quale interesse c’è nel consentire che magistrati fuori ruolo vadano nei misteri e nelle Authority o nelle commissioni parlamentari? Contro Ingroia si citano i precedenti di altri magistrati cui quell’autorizzazione è stata negata, un modo per coprirsi le spalle e non assumersi la responsabilità di una decisione che, se fosse stata positiva, avrebbe consentito a Ingroia di fare quello per cui è tagliato, l’investigatore e l’inquirente, anziché il giudice fuori ruolo.
Ma al Csm, come tra gli ancora colleghi, c’è astio nei suoi confronti, potremmo dire che non c’è neppure la serenità necessaria per assumere una decisione equanime. C’è solo voglia di attaccarlo e dire che ha sbagliato, perché doveva rimanersene a Palermo a fare il procuratore aggiunto, e soprattutto senza aprire bocca.
È singolare quello che avviene nella magistratura. Si avverte la paura diffusa di esagerare, la voglia di non andare oltre le righe. Succede così che Magistratura democratica vuole esprimere solidarietà al collega Nino Di Matteo minacciato dalla mafia e si produce in un comunicato in cui non c’è neppure il suo nome. Eppure sarebbe facile criticare il Guardasigilli Severino che, pur in presenza della minaccia mafiosa, ritiene che l’azione disciplinare contro Di Matteo solo per un’intervista debba comunque andare avanti.
In compenso, sempre al Csm, i componenti si dividono sul caso Laudati e ben tre consiglieri in commissione pensano davvero che il tuttora procuratore di Bari possa trasferirsi in un incarico prestigioso come quello di componente della Superprocura antimafia, una postazione strategica che ha accesso a tutte le inchieste di mafia in Italia. Non pare proprio che un procuratore sotto inchiesta per abuso d’ufficio e favoreggiamento possa ricoprire un ruolo così delicato. Né è cogente l’assunto che in quell’ufficio c’è già stato per molti anni.
Ma se il clima è questo, e visto che Ingroia ha una prorompente voglia di fare politica, e vista la considerazione che di lui hanno i colleghi – “Ingroia non rappresenta il mio modello di magistrato” dice in plenum Pepe di Magistratura indipendente – forse sarebbe il caso per lui di dare definitivamente l’addio alla toga.

Tratto da: milella.blogautore.repubblica.it

Foto © Reuters

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