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caselli-gian-carlo-web8di Gian Carlo Caselli - 5 aprile 2013
Una lettera anonima, che stando alle cronache nessuno (proprio nessuno) può permettersi di sottovalutare, ha sganciato su Palermo tensioni e veleni che richiamano la cupa stagione del 1992. Si prefigura un ritorno al terrorismo stragista e tra gli obiettivi indicati vi sono due magistrati: il pm di Palermo Nino Di Matteo e un collega di Caltanissetta, che le ultime notizie (apprese mentre scrivo) indicano in Nico Gozzo. Avendo lavorato a Palermo, dove avevo chiesto io stesso di essere trasferito subito dopo le stragi del 1992, so bene che cosa significa vivere avendo intorno il limaccioso mondo di quanti temono la rottura di antichi equilibri e perciò non gradiscono che si provi a far luce sui misteriosi e inquietanti rapporti della criminalità mafiosa col mondo della politica e con centri di potere extra-istituzionale.

SO BENE quanta importanza abbia – in tale situazione – non sentirsi isolati, contare anzi su forme sincere di solidarietà per poter liberamente proseguire la propria attività di magistrati seri in quanto rispettosi delle regole ma intraprendenti, cioè animati dalla responsabilità dei risultati invece che essere semplici burocrati. Per cui, di fronte alle gravi minacce contenute nell’anonimo, da proiettare sulle delicatissime e complesse attività investigativo-giudiziarie che vari magistrati siciliani stanno conducendo (Di Matteo e Gozzo in particolare, il primo titolare dell’indagine sulle “trattative”, il secondo intestatario dell’inchiesta sulla morte di Paolo Borsellino e relativi depistaggi), mi sarei francamente aspettato una qualche robusta reazione di sdegno e al tempo stesso di appoggio: dell’Associazione nazionale magistrati o di un ministro competente in materia di sicurezza o giustizia, oppure da parte del Consiglio superiore della magistratura (magari per bocca di quel suo componente di diritto che è il Procuratore generale della Cassazione, lo stesso che pochi giorni fa ha esercitato proprio contro Di Matteo un’azione disciplinare che su questo giornale ho definito di tipo kafkiano).
Invece, per quanto mi risulta e sono in grado di sapere, silenzio pressoché completo su tutti i versanti istituzionali. Un silenzio davvero difficile da comprendere. Spero proprio che le cose cambino in fretta, e che Di Matteo e i suoi colleghi possano respirare un’aria diversa: di concordia granitica sugli obiettivi antimafia, senza affievolimenti, senza che alcune posizioni possano anche solo sembrare infiacchite. Non discuto certo le intenzioni di chicchessia, ma è importante che si cancelli ogni sensazione, per quanto sbagliata, che tra coloro che sono alleati possa invece serpeggiare la tentazione di infoltire le file dei neutrali.
Vero è che l’emergenza stanca e dopo un po’ attenua le emozioni. Ma guai a consentire che possa risultarne favorita – di fatto – l’opposizione all’applicazione diffusa e intransigente delle regole di giustizia. Che non abbiano a riprodursi certe logiche che contribuirono alla vergognosa “bocciatura” di Giovanni Falcone come successore di Nino Caponnetto a capo del “pool” dell’ufficio istruzione, quando un consigliere del Csm, nella solennità dell’aula di Palazzo dei Marescialli, ebbe a dire che “un’eventuale scelta a favore di Falcone (poteva) essere interpretata come una sorta di dichiarazione di stato di emergenza degli uffici giudiziari di Palermo”. Perché se l’emergenza c’è non si deve aver paura di prenderne atto, altrimenti i magistrati, invece di essere difesi e sostenuti, si ritrovano amaramente soli.

LA SFIDUCIA nello Stato, purtroppo, è in pericoloso incremento e facilita il riemergere di vecchi atteggiamenti culturali, tipici della mai sconfitta “borghesia mafiosa”, nonché la stanchezza disillusa della società civile, che tende a rinchiudersi in se stessa, se non anche ad abbandonarsi alla rassegnazione e all’indifferenza. Ecco perché è necessario che coloro che hanno responsabilità istituzionali facciano sentire al più presto la loro voce, alta e forte. Altrimenti i “corvi” potrebbero continuare a manifestarsi e le nebbie dei sospetti ingiustificati potrebbero infittirsi. Ieri con Falcone, oggi con Di Matteo e i suoi colleghi.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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