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tescaroli-luca-webdi Luca Tescaroli* - 29 marzo 2013
Ai Bardellino – appartenenti a una nota famiglia camorrista – è stato sequestrato e poi confiscato in via definitiva un immobile a San Cipriano d’Aversa, i cui appartamenti da tempo erano affittati alla base della Marina statunitense per gli ufficiali e il loro personale. Dopo il sequestro, i responsabili della base Usa non hanno voluto proseguire il rapporto con l’amministratore giudiziario, una volta scaduti i contratti, perché hanno sostenuto che la nuova proprietà non fosse funzionale alle esigenze di manutenzione: ritenendo quindi che lo Stato non fosse affidabile in quel territorio. Agli stessi Bardellino è stato sequestrato e poi confiscato il bar Zeus di Scauri di Minturno. I proprietari delle mura, con l’arrivo dell’amministratore giudiziario, hanno iniziato a pretendere il pagamento puntuale del canone, cosa non fatta in precedenza: i clienti del bar sono stati dirottati altrove e l’esercizio ha dovuto chiudere.

QUESTI FATTI offrono lo spunto per una riflessione: una struttura straniera, insediata da anni in quei territori, ha percepito che il rappresentante dello Stato italiano non può essere efficiente come il mafioso e in quanto lo Stato ha dimostrato la sua incapacità, ancora una volta, a gestire un’impresa in terra di mafia. È lo specchio di una realtà preoccupante, che dimostra plasticamente, per un verso, la sconfitta dello Stato. Credo sia giunto il tempo di ripensare al modello di gestione dei beni sequestrati e confiscati nell’ambito di procedimenti per misure di prevenzione patrimoniali, previsto dal “codice delle leggi antimafia” approvato col decreto legislativo 6.9.2011 n. 159. L’ingresso dello Stato nei beni, nell’impresa e nell’azienda mafiosa, tramitel’amministratore giudiziario e, dopo la confisca definitiva, l’Agenzia nazionale dei beni confiscati, dovrebbe produrre effetti positivi. Il lavoro nero può essere fatto emergere, in quanto l’amministratore si può far carico di pagare gli oneri contributivi e previdenziali per i dipendenti che avevano vissuto nell’ombra, senz'alcuna garanzia né tutela. I fornitori e gli acquirenti possono uscire dal giogo mafioso e contrattare liberamente i prezzi. Il mafioso – che assicura efficienti manutenzioni grazie a imprenditori vicini, ha un’enorme disponibilità di denaro a costo zero e usa la forza intimidatoria e la violenza – è garanzia di equilibrio economico e di solvibilità per le banche e i fornitori, ai quali impone il prezzo di mercato e obbliga esercizi commerciali ad acquistare da lui con la minaccia di ritorsioni sino all’incendio dell’attività e all’omicidio. Dunque il suo interesse è che l’iniziativa imprenditoriale statale fallisca, perché ciò rafforza il suo potere dimostrando che solo la presenza mafiosa produce ricchezza e occupazione.
CHE FARE allora per raggiungere l’obiettivo della valorizzazione dei beni sequestrati, del mantenimento dell’impresa, della non dispersione dell’occupazione? Innanzitutto, l’Agenzia nazionale dei beni confiscati dovrebbe trasformarsi da un centro eminentemente burocratico, qual è oggi, in una holding propulsiva, capace di coordinare le esigenze delle varie imprese confiscate in modo da far incontrare domanda e offerta, assicurando una gestione consortile e non parcellizzata delle aziende oggetto di misura di prevenzione patrimoniale. Dovrebbe verificare costantemente se possano esserci tra le stesse rapporti commerciali per dar vita a un sostegno reciproco tra le imprese per sopperire al fisiologico sviamento della clientela da parte del mafioso dopo il sequestro. Attraverso la stipula tra l’Agenzia e organi rappresentativi di strutture bancarie, ad esempio l’ABI, per individuare banche virtuose che impediscano il ritiro del credito. E, ancora, attraverso lo sgravio contributivo, anche temporaneo, per le imprese sequestrate e confiscate, che fanno emergere il lavoro nero, sul modello di quanto è di recente avvenuto con la modifica del novembre scorso dell’articolo 51 del “codice antimafia”, con cui si è prevista l’esenzione degli immobili dalle imposte, tasse e tributi durante la vigenza dei provvedimenti di sequestro e confisca. Lo Stato può ben rinunciare al gettito fiscale, che potrà indirettamente recuperare come conseguenza della creazione di condizioni per nuovi insediamenti produttivi nelle regioni del Sud.

* sostituto procuratore presso la Procura di Roma

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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