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de-gennaro-gianni0di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza - 23 febbraio 2013
Quella relazione della Dia del 10 agosto ‘93 colpì per la lucidità dell’analisi e la quantità di notizie ottenute da fonti “fiduciarie” nelle carceri: non a caso il ministro dell’Interno Nicola Mancino la spedì a Luciano Violante, presidente dell’Antimafia, in forma riservata. Ma per Gianni De Gennaro, allora vice direttore, oggi non è neanche “un’ipotesi investigativa”, soltanto un elenco di “valutazioni e sentimenti comuni degli addetti ai lavori”. Eppure in quella relazione compare, a distanza di pochi giorni dalle bombe di Roma e Milano, la parola “trattativa”: quasi una diagnosi in tempo reale, al punto che la distinzione tra analisi e ipotesi investigativa, obietta il gup Piergiorgio Morosini, è una sottile linea di confine”.

MA NON È il solo buco di memoria: la deposizione del numero uno dell’intelligence antimafia italiana, all’udienza sulla trattativa mafia-Stato del 12 febbraio scorso a Rebibbia, è un lungo viaggio nel-l’oblio di una stagione indimenticabile, rivendicata nei suoi successi militari, ma cancellata, invece, nelle intuizioni più efficaci: quelle sulla presenza di uno scenario criminale così potente da costringere lo Stato a scendere a patti non solo con Cosa Nostra ma anche, come si legge nel rapporto della Dia, con “altre forze criminali” che dimostrano “una dimestichezza con le dinamiche del terrorismo e della comunicazione”. Dei tasselli di quel puzzle investigativo oggi De Gennaro non ricorda nulla: l’ipotesi di un piano destabilizzante dietro lo stragismo ‘92-93 lanciata dall’ex capo della Polizia Vincenzo Parisi? “Parisi avrà avuto le sue informazioni, io di più non ricordo”. Il pericolo di attentati ad altri politici dopo l’uccisione di Lima? “Non me lo ricordo”. Il mancato attentato a Mannino? “Non ricordo, ricordo di Andò”. La segnalazione sui lanciamissili in Calabria? “Non so se erano informazioni fiduciarie o documentarie, non lo ricordo”. La trattativa del Ros con don Vito? “Mai saputo”. E le due anime istituzionali sul 41 bis? “Ricordo una discussione teorica, ma non chi la fece”. È stato il collaboratore più stretto di Giovanni Falcone, ma oggi il prefetto De Gennaro offre al giudice ripetute amnesie e qualche reminiscenza, come egli stesso dice, “sbiadita”: e ora che è stata depositata la trascrizione di quella lunga deposizione davanti al gup Piergiorgio Morosini, si scopre che De Gennaro non ricorda neppure chi stilò la relazione della Dia: “È un documento che non è firmato, frutto di un lavoro dell’ufficio… ma non ho mai disconosciuto l’assunzione di responsabilità del mio ufficio. Ho partecipato… non a tutte, ad alcune riunioni, a quelle più significative”. E quando Morosini lo sollecita: “Sembra che voi parliate ad altri poli istituzionali …”, De Gennaro risponde con un vaghissimo: “Mah”. Non ricorda i nomi delle fonti nelle carceri, non ricorda i commenti alle revoche di Conso dei 334 provvedimenti di 41 bis, nè la proposta del direttore del Dap di ridurre del 10 per cento i mafiosi al carcere duro. E mentre Borsellino, prima di morire, in un’intervista disse che “Riina e Provenzano erano come due pugili sul ring” (e persino Mancino ha ammesso di avere saputo della spaccatura tra i due boss), De Gennaro ripete il suo refrain di smemorato: “Per quelli che erano i miei ricordi, Riina e Provenzano erano la stessa cosa, erano il vertice… dell’organizzazione mafiosa”.   

SULLA TRATTATIVA
, poi, è tabula rasa. Di Vito Ciancimino e dei suoi contatti con Mori non seppe nulla, neanche dopo che i carabinieri avevano informato Liliana Ferraro, direttore degli Affari Penali e, quindi, il guardasigilli Claudio Martelli, e nonostante la legge obbligasse gli altri corpi investigativi ad aggiornare la Dia: “Lo spirito della legge era questo – riconosce De Gennaro –, ma in una prima fase, almeno quella che io ho vissuto, la Dia si pose come un'ulteriore struttura investigativa, a fianco di quelle che operavano”. Chiede allora il pm Nino Di Matteo: “Ma venne a sapere che Martelli si era lamentato dell’iniziativa del Ros? “Con me no; me ne ricorderei”. “Insomma non vi avvertiva nessuno” chiosa Morosini. “Assolutamente no”, ripete De Gennaro. “Era un po’ il fallimento degli obiettivi della Dia”, insiste Morosini. E il prefetto ammette: “Bè, era un avvio”. Nessuno stupore da parte di De Gennaro, che è stato anche direttore del Dis, il Dipartimento per la sicurezza, per la presenza in via Ughetti di alcuni 007 nella palazzina palermitana dove gli stragisti di Capaci Antonino Gioè e Gioacchino La Barbera avevano un covo. “Non ho un ricordo precisissimo – dice - ma se non ricordo male fu accertato poi che forse ci abitava lì qualche funzionario dei servizi o andava a trovare qualcuno. Mi ricordo che… c'era stata una sorta di segnalazione…”. “Una segnalazione formale?” chiede Morosini. E De Gennaro: “Beh, è una di quelle cose che si riferiscono al vicedirettore...”. Morosini: “In camera caritatis, insomma”. De Gennaro: “Sì”.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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