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ingroia-antonio-web11di Antonio Ingroia - 18 dicembre 2012
In tanti ormai pensano che il Diario dal Guatemala sia un pretesto per parlare d’Italia, magari di politica. E invece, questa volta parlerò solo della mia attuale esperienza in Guatemala. Non solo per chiarire meglio la portata e il significato dell’attività qui della Cicig, l’organizzazione Onu dove ora lavoro, ma anche perché è meglio farlo entro fine settimana quando sembra accadrà di tutto, visto che per il 21 dicembre qui, secondo un’oscura profezia Maya, è attesa la fine del mondo, e in Italia la fine del governo Monti e della legislatura. Curiosa coincidenza, no?

Ebbene, il senso dell’operazione Onu in Guatemala va ben al di là delle sorti di questo incantevole Paese. Non si tratta soltanto di contribuire al decremento dell’impunità di delitti, giunto al 98% dei casi, aiutando le istituzioni locali a contrastare il narcotraffico e le altre strutture criminali presenti sul territorio e ramificate anche all’interno delle istituzioni statali. La sfida è molto più ambiziosa e strategica. È un atto di forza della comunità internazionale sulla sovranità nazionale. Contro i sistemi criminali internazionali, che relazionano organizzazioni illecite di diverse e ben lontane realtà territoriali, l’approccio nazionale è perdente. Fu questa l’intuizione di Giovanni Falcone, quando comprese che le indagini antimafia da Palermo non potevano fronteggiare un fenomeno nazionale e internazionale e si rese conto che occorreva organizzare strutture giudiziarie antimafia di più ampio respiro.

DI QUI LA SUA idea della Procura nazionale antimafia, struttura di coordinamento centrale delle procure distrettuali disseminate sul territorio. E dell’intuizione di Falcone ha fatto tesoro l’Unione europea istituendo Eurojust, un organismo europeo che fa da stimolo e agevolazione della collaborazione fra le autorità giudiziarie nazionali quando si ha a che fare con la grande criminalità transnazionale. E non c’è dubbio che l’azione di Eurojust ha contribuito a rendere più efficace l’azione dell’antimafia europea, seppur necessiti di rafforzamenti e adeguamenti. Su questa stessa strada bisogna andare ancora più avanti. Non solo a livello europeo, ma anche globale, intercontinentale. Se è sullo scenario internazionale che si misura l’efficienza delle reti criminali, gravi e colpevoli sono i ritardi dell’antimafia. Urgente accrescere la sensibilizzazione dell’opinione pubblica internazionale e l’efficienza delle istituzioni sovranazionali, che devono essere capaci di intervenire sugli Stati nazionali. L’ideale sarebbe pensare a organismi giudiziario-investigativi permanenti di coordinamento, non solo a livello continentale, ma anche intercontinentale, sul modello della Procura nazionale antimafia italiana e di Eurojust, così favorendo l’indispensabile collaborazione fra le magistrature europee e quelle di oltreoceano. Una sorta di procura mondiale antimafia.

Non solo. Se si vuole dare un senso più profondo all’esperi-mento realizzato con la Cicig in Guatemala, unico caso al mondo di una task force giudiziario-investigativa inviata dalle Nazioni Unite in un Paese dalla legalità difficile, bisogna verificare le chance di proiettare questo esperimento a livello globale e in modo permanente. Credo, cioè, che si debba cominciare a pensare a un’attività di più efficace e stringente monitoraggio da parte delle Nazioni Unite nei confronti dei Paesi con diffuse presenze di criminalità organizzata, che possa poi determinare, in casi comprovati di grave debolezza istituzionale nazionale e di diffusa impunità, forti interventi della comunità internazionale, eventualmente anche inviando vere e proprie task force giudiziario-investigative sul modello della Cicig in Guatemala. A volte, penso che qualcosa del genere ci vorrebbe anche per l’Italia. Se la classe dirigente di un Paese non riesce a liberarsi dei suoi vincoli con le mafie e con la corruzione, o i cittadini si liberano di quella classe dirigente, o serve la comunità internazionale...

P.S. Siccome mentre scrivo questo pezzo è uscita la notizia della mia domanda di aspettativa al Csm per motivi elettorali, tengo a precisare che, come ho più volte dichiarato e scritto anche su queste colonne, io non ho nessuna brama di seggi elettorali. In Guatemala sto bene in un lavoro che mi impegna molto. E non intendo indossare casacche di partito, né di colorare la mia toga di rosso o di arancione. Sono convinto, però, del fatto che in questo momento difficile e cruciale il nostro Paese ha bisogno di atti di coraggio e di responsabilità da parte dei non professionisti della politica che diano il contributo che possono. È con questo spirito che ho sottoscritto, assieme agli altri promotori dell'iniziativa, il manifesto “Io ci sto” in 10 punti che è stato oggi diffuso per invitare all'assemblea di venerdì prossimo a Roma la società civile e le componenti sane della politica che si ritrovano su questi punti. Torno dal Guatemala proprio il 21, e dirò all'assemblea cosa intendo fare. E come ritengo di realizzare meglio questo mio impegno per una politica nuova: se in Italia o ancora dal Guatemala. Ma l'imminente chiusura del Csm per le festività natalizie, e l'accelerazione verso le elezioni anticipate, mi hanno indotto a fare in anticipo una richiesta cautelativa di aspettativa per motivi elettorali, che non avrei avuto più il tempo di fare alla riapertura del Csm una volta sciolta la mia riserva. Fino ad oggi non ho ancora deciso. Venerdì, in Italia, spiegherò meglio qual è il mio pensiero e quali sono i miei progetti. Tutto qui.

Tratto da: ilfattoquotidiano.it

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