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cordero-franco-webdi Franco Cordero - 29 giugno 2012
Nella monarchia inglese e francese vediamo come il re fosse carismaticamente giudice e i suoi consiglieri in tale materia diventino titolari d' uffici più o meno indipendenti (i servizi cortigianeschi sono fenomeno degenerativo imputabile alla debole natura umana).

Sul continente borghesi addottorati in diritto romano forniscono i quadri d'una noblesse de robe (la toga) professionalmente qualificata. In Inghilterra ancora Edoardo I e II emettono sentenze, poi questa prerogativa va in desuetudine: dal tardo XV secolo eventi simili sanno d' anomalo; secondo i panegiristi dell' assolutista Giacomo I, Sua Maestà può troncare qualunque giudizio ("Rege inconsulto"), ma nessuno li prende sul serio. Correndo l' anno 1608, questo Stuart, famoso demonologo, pretende d' interloquire in una causa e sir Edward Cook, parruccone conformista, glielo contesta riguardosamente notando come i meccanismi legali inglesi siano "artificial reason" praticabile dai soli intenditori (la questione stava altrove: se, conoscendo o no la common law, potesse mettere becco nel King' s Bench; era in ballo la divisione dei poteri). Nominati dal monarca, i giudici restano in carica "during the royal pleasure": solo i baroni dello Scacchiere sono inamovibili "quamdiu se bene gesserint" (finché non sopravvengano cause d' una dimissione disciplinare); e dal 1648 tale status compete a tutti. In Francia viene formandosi un sistema a maglie fitte: i parlamenti della capitale e province sono corti sovrane nelle rispettive circoscrizioni; i seggi, venduti dalla Corona, costituiscono un bene patrimoniale, alienabile e trasmissibile in via ereditaria, con requisiti d' idoneità personale. Ma l' antico carisma regale non è estinto. Fino alla rivoluzione sopravvive una "justice retenue": il re può impadronirsi d'ogni caso; quando voglia, li trasloca davantia tribunali suoi;o vi nomina dei commissari, stabilendo la misura dei relativi poteri; o liquida affari pendenti mediante lettres de grâce, il cui contrario è l' ordine d' una misura detentiva senza processo. Residui verbali trapelano dallo Statuto Albertino, art. 68: "La giustizia emana dal re; in suo nome l' amministrano giudici da lui istituiti". Ha oscure origini francesi il pubblico ministero: regnando Filippo il Bello, un' ordinanza 1302 contempla i procureurs du roi: attori penali, esercitano le poursuites ossia instaurano i processi; che siano funzionari ubbidienti, consta dal nome; li chiamano "uomini del re"; da notare come nei parlamenti tali uffici non fossero venali. In Italia il pubblico ministero appare nella legge 13 novembre 1859 n. 3781, "rappresentante del potere esecutivo presso l' autorità giudiziaria": il ministro lo dirige, nomina, promuove, dimette; le corti non hanno poteri disciplinari nei suoi confronti; se qualcosa non va, "rimostrino" al guardasigilli (art. 158); e gode d' una carriera distinta da quella dei giudici, assai più aperta, ma l' art. 154 ammette transiti nei rispettivi quadri; i vertici togati vengono dall' apparato requirente. Ancora nel regio decreto 14 dicembre 1921 n. 1978 impersona il potere esecutivo: idea poco congeniale a uno Stato soidisant liberale; così passa all' ordinamento giudiziario fascista (art. 69 regio decreto 30 gennaio 1941 n. 12); diretto dal ministro, esercita "le funzioni che la legge gli assegna". Nell' Italia 2012 la "justiceretenue" è memoria fossile: il monopolio giurisdizionale appartiene a un corpo la cui autonomia è garantita dall' autogoverno e l' identico status compete al pubblico ministero, ma sappiamo da Freud come il tempo non viga nell' Es, regno delle pulsioni; interessi, abitudini, memoria collettiva formano livelli profondi su cui le norme talvolta scivolano. Gl' interessati le eludono nelle pieghe d' una lingua sonora, enfatica, vacua, dove le parole nascondono la cosa. Abbiamo l' esempio sotto gli occhi. Pendono ipotesi gravissime: che vent' anni fa persone d' alto rango trattassero con i superiori più o meno cogniti della galassia mafiosa; e abbiano concluso un accordo (in Francia se ne stipulavano trare e ugonotti: XVI secolo, anni sessanta e settanta). Fosse vero, saremmo uno Stato dall' identità equi voca, a due teste: riconosciuta quale partner d' un negoziato, la misteriosa Connection diventa soggetto palese della prassi sinora combattuta, almeno a parole; «convivere con la mafia», predicava un disinvolto ministro forzaitaliota. Poche settimane fa, la Cassazione ha annullato la condanna d' uno stretto sodale d' Arcore: veniva in questione l' idea del concorso esterno in associazione mafiosa; qualcuno vi crede ancora? Forse distiamo poco dalla situazione dei Paesi nei quali il narcotraffico costituisce potere forte, quindi autorità effettiva. È materia capitale stabilire cosa sia accaduto e fin dove l' ipotetico accordo fosse penalmente lecito.
Pubblici ministeri palermitani indagano su una persona d' alto rango, illo tempore seconda carica dello Stato, ministro dell' Interno, vicepresidente del Csm: l' accusano d' avere dichiarato il falso occultando fatti su cui l' ascoltavano quale possibile testimone. Posizione scomoda: vuol evitare confronti pericolosi; lamenta indagini «non coordinate» (vi cooperano tre procure); e sarebbe un sollievo passare in mani meno grifagne. Giochi ogni carta difensiva, è suo diritto. L' anomalia sta nei canali: confuti gli avversari o mandi doléances alla procura nazionale antimafia o, se crede, al procuratore generale presso la Cassazione, possibile promotore d' inchieste disciplinari; no, discorre fitto con i consiglieri del Quirinale invocando aiuto. Il tutto viene fuori perché i suoi telefoni erano sotto legittimo controllo. È una gaffe per quei consiglieri avere accettato il dialogo: appelli simili non meritano ascolto; né sta nel decorosamente sostenibile pretendere o pensare che il Capo dello Stato funga da organo censorio d' atti giudiziari, ora sollecitando, ora inibendo, come se il pubblico ministero rappresentasse ancora l' esecutivo e in via Arenula sedessero Alfredo Rocco o Dino Grandi. Che sia una gaffe, lo provano festosi commenti dal côté berlusconiano, fulmineo nell' auspicare larghe intese: le intercettazioni turbano delicati equilibri; affossiamole.

Tratto da: La Repubblica

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