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tona-giovanbattistadi Giovanbattista Tona - 19 marzo 2012
Cara Signora Agnese, ho seguito sempre, con la discrezione imposta dalla Sua discrezione, il Suo difficile cammino tra le sofferenze che la accompagnano e che l'hanno messa a dura prova dal 19 luglio 1992 fino ad oggi.
Nei racconti degli amici comuni e di Suo figlio Manfredi ho imparato a riconoscere uno stile sobrio e determinato, impregnato di forza e dignità, che ha caratterizzato il modo con il quale una donna grande, come Lei, ha affrontato il lutto, le delusioni, gli ostacoli e oggi la malattia.
Dinanzi ad una vita, come la Sua, che pratica quotidianamente il consapevole dominio del dolore dell'anima e del corpo, non si può che contemplare e riflettere.
Vi è invece chi sproloquia e insulta.

Chi lo fa ha offeso non solo Lei, ma tutti coloro i quali in Lei vedono un esempio sul quale proiettare i propri sentimenti più nobili e uno stimolo per imparare ad affrontare le prove della vita.
Sono tanti i modi con i quali il Suo dolore e quello della Sua famiglia è stato insultato in questi anni; e ad ognuna di queste offese corrisponde una vergogna per il nostro Paese.
Quando ci fu chi ostacolò Paolo Borsellino nelle sue ultime attività di indagine, utilizzando le più varie scuse, e ci fu chi non lo protesse adeguatamente
Quando alcuni cominciarono a dimenticare i fatti che sapevano e che avrebbero dovuto raccontare ai magistrati, mentre altri curarono invece che ai magistrati i fatti li raccontassero coloro che non li sapevano e ai quali qualcuno li aveva suggeriti.
Quando dinanzi alle prime incertezze che i falsi pentiti mostravano nei processi, ci fu chi ne contestò l'attendibilità e usò argomenti altrettanto falsi o addirittura inutili, forse perchè comunque non voleva che emergesse la verità.
Quando, dinanzi alla possibilità di capire davvero come erano andate le cose, ci fu chi si scandalizzò perché i magistrati continuavano ad indagare su fatti tanto vecchi e sui quali non vi sarebbe stato più nulla da scoprire.
E adesso non sembra che sia finita, carissima signora Agnese.
Ora pare che sui magistrati che hanno lavorato ancora sulla strage di via D'Amelio ci sia bisogno di vigilanza; a cosa serva questa vigilanza in realtà ancora non lo possiamo sapere. Forse per verificare che siano state rispettate le regole e che non si sia usciti dal seminato. Ma chi ha tracciato il seminato? Si vedrà.
Ripensando a tutte queste cose, io capisco il Suo sfogo, quel grido che tanto mi ha inquietato e che proclamava la sua vergogna di essere italiana.
Lo capisco meglio, però, se lo unisco alle parole di speranza che Le ho sentito pronunciare in questi giorni; e Le confesso che mi riempie di orgoglio il fatto che Lei ha associato questa sua speranza all'operato dei magistrati di Caltanissetta, sui quali evidentemente Lei prima di altri ha vigilato, formandosene una rassicurante opinione.
Perchè Lei possa essere orgogliosa di essere italiana, bisogna che veda davanti a sé uomini dello Stato che non La offendano o che non La facciano vergognare.
In passato evidentemente non le sarà capitato spesso.
Oggi spero che non sia così.
Vorrei ripeterLe le parole che l'ANM di Caltanissetta scrisse l'anno scorso in occasione dell'anniversario della strage di via D'Amelio:
“Borsellino e gli uomini della sua scorta non ci hanno consegnato un nobile esempio da additare ai nostri figli, ma ci hanno consegnato la responsabilità di spiegare loro cosa è successo in quegli anni e perchè certe mostruosità sono potute accadere.
E su come spiegheremo ai nostri figli queste cose non  potremo avere sconti; a loro, ai figli dei nostri figli e via via alle generazioni successive non interesserà se e quante persone sono state indagate, quante arrestate, quante condannate; non vorranno conoscere quali più suggestive ricostruzioni sono state offerte con successo in libri, convegni o articoli di giornale.
Loro vorranno dati certi, specifici, concreti, pezzi robusti di quella verità che tutti dicono di volere ma che in molti sono riusciti ad occultare o mistificare.
E certamente preferirebbero una verità insufficiente ma certa ad una ricostruzione completa ma debole; perchè ad una parte di verità è possibile nel tempo aggiungere un'altra parte di verità, mentre con un coacervo di dati certi, suggestioni, ipotesi, menzogne ed omissioni non si costruisce nulla e si costringe chi viene dopo a distruggere e a ricominciare.”
In queste parole è racchiuso tutto il senso dell'impegno dei magistrati nisseni che lavorano ancora sulla strage di via D'Amelio; un impegno che richiede sobrietà ed equilibrio, ma anche schiena dritta e passione per la verità.
Per cercare la verità bisogna certamente rispettare le regole; ma le regole si possono rispettare anche senza voler cercare la verità.
E' per questo che mi sento di chiederLe di rinnovare la Sua speranza per dare forza a chi vuole servire questo Stato, applicando le regole e cercando la verità; anche sapendo che se questa verità sarà difficile da accettare, qualcuno esprimerà tutta la sua inquietudine chiedendo di verificare se siano state rispettate le regole.
Mi permetterà adesso di valicare i confini di ogni discrezione e di salutarLa con un abbraccio affettuoso.
Giovanbattista Tona

Tratto da: facebook.com

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