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caselli-gian-carlo-webColloquio con Gian Carlo Caselli di Rossella Guadagnini - 24 gennaio 2012
“Sabotaggio istituzionale, giustizia à la carte, amnesie patologiche, codice etico del Pleistocene”. Di cosa parliamo, quando parliamo di legalità? Risponde un magistrato da sempre in prima linea, avanzando una ‘modesta proposta’ di riforma da attuare subito e a costo zero.




Nessuno è più uguale degli altri. “Il problema della legalità in Italia non è nato con Silvio Berlusconi e non si esaurisce con la sua vicenda politica”. A dirlo è Gian Carlo Caselli, procuratore capo a Torino. “Da noi la pretesa di non subire il rigore delle leggi è diffusa e resistente, eppure la legalità costituzionale è inseparabile dalla democrazia. Spetta agli uomini liberi difenderla”. Lo spiega con la consapevolezza di chi si è sentito accusare, di volta in volta, di essere “il servo sciocco di Dalla Chiesa” contro il terrorismo, “comunista” e “toga rossa” contro la mafia e “mafioso” contro le bombe carta delle frange estremiste in Val di Susa. Incontriamo il magistrato a Roma, dove si trova per presentare il suo ultimo libro, “Assalto alla giustizia”, appena pubblicato da Melampo editore, in cui documenta con passione, dati alla mano, il “sabotaggio istituzionale” ai danni della giustizia effettuato nell’ultimo ventennio da rappresentanti di governo e di partito.

Caselli, l’assalto alla giustizia è terminato con la fine del precedente governo oppure continua?
L’assalto alla giustizia in Italia inizia nel 1994, si sviluppa nel corso di tutti questi anni, diffondendo tossine così in profondo nel tessuto sociale, che a me sembra evidente come il vulnus della delegittimazione del controllo di legalità non scompaia con l’uscita di scena, ammesso che sia la vera uscita di scena, del suo alfiere principale. E’ un vulnus radicato nell’Italia di oggi: ormai nessuna forza politica resiste a una specie di ‘attrazione fatale’: quando la magistratura indaga su problemi di pubblica amministrazione, malaffare, deviazioni del potere, la tentazione è sempre quella di evocare un fantomatico scontro tra ‘politica e magistratura’. Mentre non c’è stato e non c’è tuttora nessuno scontro. Ma solo una magistratura che adempie al suo dovere incrociando determinati interessi; i rappresentanti di questi interessi non ci stanno e, dunque, evocano lo scontro per meglio difendersi. C’e’ un’idea terribilmente italiana di una giustizia à la carte, valida per gli altri ma mai per sé, così diffusa ormai, che sarebbe illusorio pensare possa svanire soltanto perché è caduto un governo e se n’è fatto un altro. L’assalto alla giustizia comincia nel ’94, ma non è finito. I suoi effetti rovinosi possono protrarsi per lunghissimo tempo. L’importanza di ‘fare memoria’ consiste proprio in questo: che quanto ancora permane di illegale e illegittimo possa essere meglio conosciuto, circoscritto e, se possibile, impedito.

A febbraio saranno vent’anni da Mani Pulite. Cos’è cambiato rispetto a oggi?
Poco. Molto poco. Il primato della politica è fuori discussione: in democrazia, in una democrazia ordinata, spetta solo ed esclusivamente alla politica compiere le scelte di governo. Fermo questo primato, ferma la sovranità della politica, buona politica è quella che sa trarre spunti di riflessione e d’intervento da tutto ciò che è utile, comprese le inchieste giudiziarie. Abbiamo avuto in questi 20 anni un’infinità di inchieste sulla corruzione, sulle collusioni tra mafia e politica, mille spunti per intervenire con nuovi controlli, leggi più incisive. Non è successo praticamente niente. Al punto che nel ’99 è stata approvata dalla Comunità Europea una direttiva contro la corruzione, sottoscritta anche dal nostro Paese. Mentre gli altri Stati l’hanno introdotta nel proprio ordinamento nazionale, noi non l’abbiamo ancora ratificata; e, dal ’99 ad oggi, si sono succedute al governo forze politiche di diverso colore. E’ una normativa importante perché punisce la corruzione tra privati, la corruzione che si sostanzia in favori, promesse, non soltanto in denaro, che prevede la confisca dei beni illecitamente acquisiti dai corrotti, tutti interventi efficaci. Perché non è stata ratificata? Non tocca a me dare la risposta. Ma devo constatare che non è cambiato molto. Anzi, non si fa neanche quello che sarebbe facile fare, ratificando questa convenzione. Qui dovrei sconfinare nel campo della politica, che non è il mio. Allo stesso tempo registro che poco si è fatto sul versante delle collusioni tra alcuni pezzi della politica e la mafia. Anche qui mentre i successi pertinenti alla cattura dei mafiosi si susseguono ininterrotti, non altrettanta continuità e determinazione c’è quanto al contrasto delle collusioni e delle complicità che riguardano pezzi della politica, con esempi recentissimi e clamorosi sotto gli occhi di tutti.

Tema all’ordine del giorno, la riforma della giustizia: quali le emergenze?
L’emergenza delle emergenze è la durata interminabile, vergognosa, dei processi. Qualcosa si potrebbe fare, anche a costo zero e subito. Per esempio, modificare il regime della prescrizione, interromperla a un certo punto, non lasciarla decorrere indefinitamente come accade oggi: questo punto può essere quando si esercita l’azione penale, quando arriva la sentenza di primo grado o quando arriva quella d’appello. In secondo luogo, si potrebbe modificare il sistema delle notifiche, ora una specie di gioco dell’oca che determina appesantimenti, nullità, rinvii, incredibili ritardi. Poi introdurre l’archiviazione per irrilevanza del fatto, già prevista per la materia di competenza del giudice di pace, che andrebbe estesa a tutta la giustizia. Quando la persona offesa non ha nessun interesse a che si faccia il processo e il fatto risulti di particolare tenuità, si dovrebbe prevedere l’archiviazione per manifesta irrilevanza del fatto, realizzando enormi risparmi e deflazionando il carico di lavoro delle procure, col risultato di contribuire a un’accelerazione dei termini del processo. Sarebbe auspicabile una massiccia depenalizzazione di tutte le contravvenzioni e i delitti puniti con la sola multa, ovvero con pena alternativa. Occorrerebbe intervenire sulla legge che impone la rotazione nei gruppi di lavoro delle procure dopo 10 anni di permanenza in uno di essi. Basti pensare a quello di Torino, che fa capo a Raffaelle Guariniello, noto per i successi ottenuti nella tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, che subirà pesanti conseguenze a causa del trasferimento di sei pm su nove. Come si vede si tratta di riforme che potrebbero realizzarsi con notevoli benefici per la funzionalità e l’efficienza del servizio giustizia.

Situazione delle carceri e proposta di amnistia: che ne pensa?
Ho letto il programma che il ministro Paola Severino ha presentato pochi giorni fa alla commissione Giustizia della Camera. Non tocca a me dare pagelle. Il ministro ha detto: “Questo governo non durerà in carica oltre l’aprile del 2013, quindi abbiamo poco tempo”. Illusorio e inutile formulare programmi ambiziosi, stiamo coi piedi per terra e cerchiamo di fare alcune cose secondo i parametri dell’efficienza e del risparmio. E ha indicato tre punti di intervento: le carceri, la riforma del processo civile e la revisione delle circoscrizioni giudiziarie. Sulle carceri l’impegno si è già tradotto nella nuova norma, che prevede la possibilità di espiare la pena, non più per i 12 ma per i 18 mesi residui per certi tipi di condannati, agli arresti domiciliari. Certo sulle carceri bisogna fare molto di più. Le situazioni di sovraffollamento sono tali e tante che la loro invivibilità rasenta la violazione di diritti che non possono essere sacrificati per nessuno. La mia opinione è che bisogna seriamente riflettere e, magari, ripensare le politiche ispirate a criteri prevalentemente, se non esclusivamente, repressivi in materia d’immigrazione. Non hanno funzionato: hanno soltanto riempito le carceri, rendendole ingestibili e, paradossalmente, creando ulteriori problemi per la sicurezza. Meglio allora ripensare le politiche d’intervento sul piano delle tossicodipendenze e dell’immigrazione. La repressione è stata, ed è ancora adesso, l’unica scelta. Occorre però non farne un tabù e allestire piuttosto un tavolo di confronto che coinvolga tutti i saperi, tutte le esperienze. La proposta di amnistia è invece questione squisitamente politica, tanto che ci vuole una maggioranza qualificatissima. Non credo possa essere questa la soluzione dei problemi, semmai è un tampone provvisorio. Oltretutto appare difficilmente praticabile anche perché questa maggioranza qualificatissima non sembra essere all’orizzonte.

Il governo tecnico rappresenta, a suo avviso, un’opportunità?
Sono tre anni che la gravità delle crisi economica viene, se non nascosta, annacquata, perché il nostro ex presidente del Consiglio doveva prima risolvere i suoi problemi giudiziari. Qualcosa per uscirne bisogna fare. Io sono a reddito fisso e come tutti coloro che sono a reddito fisso subisco conseguenze pesanti per le iniziative del nuovo governo. Però non vedo, da parte di chi critica questo esecutivo, alternative in termini di progetto e proposte che siano davvero praticabili, con delle prospettive concrete. E’ una medicina amara, molto amara, ma che si spera possa guarirci. D’altra parte questa medicina, oggi come oggi, è sostenuta dalla maggioranza del Paese. Poi magari ci sono voci critiche fuori dal Parlamento, ma fin qui mi pare che tutti siano d’accordo sulla necessità di questa medicina, criticata e criticabilissima. Ma la risposta sta nel fatto che questo governo ha una maggioranza che è così ampia anche perché altre soluzioni non ce ne sono.

Apre il nuovo anno giudiziario: come sarà il 2012 della giustizia?
L’anomalia italiana rispetto ad altre democrazie occidentali consiste in questo: soltanto nel nostro Paese il magistrato che fa il suo dovere e che, facendo il suo dovere, incrocia un politico nell’ipotesi d’accusa responsabile di corruzione o collusione con la mafia, deve mettere in conto che sarà aggredito, fatto oggetto di un assalto. Perché c’e’ qualcuno che si sente più uguale degli altri e non vuole assoggettarsi al controllo di legalità. Di queste anomalie ho parlato partecipando all’inaugurazione dell’anno giudiziario nel 2011. Nessun leader democratico al mondo ha mai osato sostenere che per fare il lavoro dei magistrati “bisogna essere malati di mente”; l’ex presidente Berlusconi lo ha sostenuto. Nessun leader democratico al mondo ha mai osato parlare di complotto ordito ai suoi danni, ancorché inquisito. Non so ancora se quest’anno parteciperò. Ma, nel caso, dirò proprio questo: guardate che non è finita. Sono cambiate alcune cose, ma le tossine sono ancora diffuse e quindi bisogna vigilare, far in modo da circoscriverne il più possibile gli effetti nefasti e ricordarsi quel che è stato. Il nostro è un Paese che soffre di amnesia patologica.

In Italia sembra smarrito un senso morale, che non sia qualcosa a uso e consumo delle ‘anime belle’. Come si fa a ridare un codice etico al public service?
E’ una grande responsabilità a carico di informazione, media, famiglia e scuola. Non si può presentare tutto ciò che accade come fosse un’ordinarietà cui assuefarsi e, dunque, rassegnarsi. Come mai in Germania il ministro della Difesa von Guttemberg si dimette (nel marzo 2011 n.d.r.) perché ha copiato pezzi della sua tesi di dottorato e da noi questo non accade neppure quando si verificano fatti enormemente più gravi? Evidentemente c’è un’eclissi della questione morale, tanto che chi ne parla viene accusato di essere un cultore del Pleistocene. Si dimentica che il rispetto delle regole, in una civiltà di rapporti tra consociati, è indispensabile. Senza regole non c’è partita o la partita è truccata. E, in tal caso, vincono sempre i soliti, che non hanno bisogno di regole, in quanto privilegiati in posizioni di forza, che consentono loro prevaricazione, sopraffazione. La legalità, è stato scritto, è “il potere dei senza potere”. Dove i senza potere non sono solo gli ultimi degli ultimi, ma tutti i cittadini comuni che hanno bisogno di essere effettivamente tutelati, protetti, senza che siano i rapporti di forza a prevalere, privilegiando alcuni a danno di tutti gli altri.

Lei è ottimista?
Bisogna esserlo. Abbiamo attraversato momenti anche più difficili.

Tratto da: temi.repubblica.it

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