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mannino-calogero-bigdi Anna Petrozzi - 23 febbraio 2012
Un altro indagato nella ormai nota inchiesta sulla trattativa. E’ un nome eccellente ma per nulla estraneo a vicende giudiziarie. I pubblici ministeri di Palermo hanno inviato questa mattina un avviso di garanzia a Calogero Mannino, ex democristiano, ex imputato per concorso esterno in associazione mafiosa e poi assolto definitivamente dopo un lunghissimo iter processuale con esiti alterni, con l’accusa di “violenza e minaccia a corpo politico dello Stato”. Mannino, si legge nel documento della Procura, “avrebbe agito in concorso con i vertici di Cosa Nostra e con pubblici ufficiali che hanno abusato dei propri poteri e violato i doveri inerenti alle loro funzioni per turbare la regolare attività dei corpi politici e amministrativi dello Stato italiano”.

I magistrati sentiranno il politico lunedì prossimo e per il momento vige il massimo riserbo sul merito delle sue presunte responsabilità. Il collega Salvo Palazzolo su Repubblica, che ha lanciato la notizia, riferisce che Mannino “avrebbe esercitato pressioni su appartenenti alle Istituzioni affinché non fossero adottati e prorogati provvedimenti di 41-bis nei confronti di detenuti di mafia”.
Dalle più recenti risultanze processuali è emerso che ancor prima dell’assassinio di Salvo Lima (12 marzo 1992) una serie di circolari provenienti per lo più dai servizi di sicurezza avvertiva del pericolo di attentati alle principali cariche dello Stato.
Tra i vari minacciati, oltre ad Andreotti e Vizzini, c’era anche Mannino.
A quanto pare, fino a quando le telecamere non avevano mostrato il corpo del proconsole di Andreotti in Sicilia riverso nel suo sangue dopo un’inequivocabile esecuzione mafiosa, nessuno aveva preso sul serio la cosa. Tranne forse l’allora Ministro Scotti che in una accesa seduta al parlamento tenutasi pochi giorni dopo (il 20 marzo 1992) aveva rivendicato la scelta di aver sollecitato lo stato di pre-allarme in tutte le prefetture.
Una volta capito invece che la questione era più che concreta sarebbero scattati i piani di emergenza. Ed è probabilmente in quest’ambito che i magistrati stanno cercando di districare la matassa.
Nell’ottobre del 2009 il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso lanciò un’enigmatica provocazione: “La trattativa ha salvato la vita a molti politici”.
Non ha mai chiarito cosa intendesse dire il magistrato, ma se c’è un dato ormai acquisito per certo e che a Calogero Mannino fu salvata la vita. Ce lo racconta Giovanni Brusca che dopo la strage di Capaci guidava il commando incaricato di uccidere l’ex democristiano.
“Era tutto pronto quando Riina mi fa sapere, tramite Biondino Salvatore, di fermarmi che c’era un altro lavoro in corso”.
L’altro lavoro era la strage di via D’Amelio, preparata ed eseguita con quell’anomala accelerazione che ha sempre insospettito gli inquirenti perché così palesemente dannosa per gli interessi di Cosa Nostra. Sulla quale infatti si abbatte il durissimo piano repressivo a suon di 41bis voluto dall’ex Ministro della giustizia, Claudio Martelli.
Riina quindi salda il vecchio conto con i magistrati, ma fatta eccezione per i traditori per eccellenza, Lima e Ignazio Salvo, assassinato il 17 settembre 1992, decide di risparmiare gli altri politici che aveva messo nella lista degli obiettivi durante le riunioni preparative della strategia stragista.
Ora, non occorre essere necessariamente dei complottisti per domandarsi se qualcosa non sia successo nel frattempo per far cambiare idea al capo di Cosa Nostra.
Secondo dato: sappiamo che proprio a cavallo delle stragi due alti ufficiali del Ros, l’allora capitano De Donno prima, e l’allora Colonnello Mori poi, avevano incontrato Vito Ciacimino, l’interlocutore politico prediletto della mafia corleonese, al fine di instaurare un canale di comunicazione e quindi trovare il modo di “mettere fine alle stragi”.
E si consideri che l’unico a conoscenza di quel dialogo (su ammissione stessa del generale Mori al processo di Firenze) era il suo diretto superiore, il gen. Subranni, amico dell’onorevole Mannino.
E’ ormai noto che la procura di Palermo ipotizza che in quegli incontri Riina fece consegnare al Ros un elenco di richieste, il famoso “papello”, da soddisfarsi in cambio della ritrovata pace. Tra le quali una particolare attenzione per le condizioni detentive e la preoccupazione per quel decreto sul 41bis emanato dopo la morte di Falcone ma entrato in vigore solo dopo quella di Borsellino.
Giovanni Brusca e Massimo Ciancimino, entrambi testimoni diretti dalla parte della barricata mafiosa, ci dicono che le richieste furono considerate esose e impraticabili e che quindi, almeno per quel primo momento, la trattativa si interruppe.
Nei primi mesi del 1993 però un carteggio tra l’amministrazione penitenziaria e il Ministero dell’Interno ci rivela che vi era un gran fermento attorno alla questione 41 bis e alla possibilità di prorogare o meno i decreti a scadenza annuale che imponevano ai boss il carcere duro.
Il dibattito si protrae mentre esplodono le cosiddette “bombe in continente”, a Firenze, Milano e Roma e a quanto pare finisce o quanto meno si concretizza in novembre quando, nonostante una richiesta di parere inviata alla sola Procura di Palermo all’ultimo minuto e con esito totalmente negativo, si decide di non prorogare il 41 bis per oltre 300 boss.
L’allora ministro Conso ha già dichiarato di aver preso quella decisione in totale autonomia, ma i documenti sopra accennati lo smentiscono.
In una relazione del 26 giugno 1993, in particolare, si considerava di ammorbidire la misura di prevenzione per lanciare un “segnale positivo di distensione”. E sarebbe stata proprio questa – a dire dell’anziano politico – la ragione per cui avrebbe lasciato scadere quelle proroghe.
Questo sommario riordinar di fatti non può darci, al momento, nessuna risposta certa, ma di sicuro lascia aperte molte domande.
Perché mai lanciare messaggi di “distensione” a Cosa Nostra a meno di un anno da Capaci e via D’Amelio e a pochissimi mesi dall’eccidio di tanti innocenti cittadini comuni?
E perché a quei politici, tra cui Mannino, viene salvata la vita e, grazie al Cielo, non vengono messi in atto altri progetti di morte ai loro danni?
Qual è la vera posta in gioco che avrebbe potuto spingere gli uomini della prima repubblica a trovare un accordo con la mafia piuttosto che ricorrere alla più ampia disponibilità di mezzi di repressione per distruggerla una volta per tutte?