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Il silenzio strisciante del generale Subranni alla commissione antimafia
di Lorenzo Baldo - 9 marzo 2011
Roma.
Si è sentita poco la voce roca, a tratti cavernosa, del generale dei carabinieri (ex comandante del Ros, attualmente in pensione) Antonio Subranni, nell'aula austera di Palazzo San Macuto.


L'indicazione dell'audizione dell'otto marzo richiesta dalla Commissione parlamentare antimafia recitava testuale: “sui grandi delitti e le stragi di mafia degli anni 1992-1993”. Ma anche questa volta l'ufficiale coinvolto nel depistaggio delle prime indagini per l'omicidio di Giuseppe Impastato è stato fedele al suo ruolo di negazionista. Subranni ha immediatamente negato che gli incontri con Vito Ciancimino intrattenuti dai suoi due sottoposti, Mori e De Donno, fossero finalizzati ad alcuna «trattativa». L'ex ufficiale ha affermato candidamente di non essere stato coinvolto nell'ideazione e nell'organizzazione di quegli incontri in quanto i due «non erano assolutamente tenuti a riferirgli alcunché‚ perché era nei loro pieni poteri intavolare un tentativo di quel tipo». Di fronte agli sguardi increduli dei componenti della Commissione l'ex comandante del Ros ha spiegato che quelli, se mai, erano tentativi di dialogo finalizzati a creare un canale preferenziale. «Tra il capitano De Donno e me – ha sottolineato Subranni – ci sono quattro livelli decisionali. Un capitano non aveva il dovere di informarmi. Non mi dissero nulla, subito, perchè nulla c'era da dire. Quello era un tentativo investigativo ed era nelle loro facoltà: avevano il diritto di farlo». Tra tanti «no» e «non so» Subranni ha ammesso di essere stato informato di quei contatti con Ciancimino ma solamente a distanza di anni. L'ex comandante ha poi citato l'incontro avuto con Paolo Borsellino il 10 luglio 1992 (nel quale secondo l'ufficiale non si discusse del rapporto stilato dal Ros sugli appalti in Sicilia nè di altre cose rilevanti), utilizzando il ricordo a mo' di feticcio per dimostrare a suo modo la fiducia del giudice nei confronti del Ros. Dopo ulteriori reticenze Subranni ha spiegato di aver redatto lo stesso giorno della strage di via D'Amelio un rapporto per segnalare i rischi di attentati programmati da Cosa nostra nei confronti di politici e magistrati. In quella lista aveva riportato i nomi di Calogero Mannino, Salvo Andò, gli ufficiali dei carabinieri Umberto Sinico, Carmelo Canale e il giudice Paolo Borsellino. Alle domande di approfondimento della Commissione l'ex comandante del Ros ha negato che le minacce per Borsellino fossero da collegare al clima che si era venuto a creare dopo la strage di Capaci, in quanto erano unicamente riconducibili agli importantissimi risultati ottenuti dal magistrato nella lotta alla mafia nella provincia di Trapani.  «L'audizione di oggi del generale Subranni – ha dichiarato al termine dell'incontro il senatore Giuseppe Lumia – è stata l'ennesima conferma che da parte di alcuni protagonisti non c'è alcun interesse a collaborare per conoscere fino in fondo la verità sulle stragi». «Subranni – ha sottolineato l’esponente antimafia del Pd – è arrivato a sminuire il suo ruolo di comandante di un organismo delicato come i Ros, dichiarando che i suoi sottoposti potevano agire sempre senza dargli alcuna informazione». «Non abbiamo avuto nessuna risposta su chi e perché decise di avviare e proseguire i contatti con Ciancimino senza avvertire la magistratura – ha aggiunto Lumia –. Nessuna risposta su cosa abbia spinto i Ros a dare tanto credito ad un personaggio come Ciancimino. Nessuna risposta su quali fonti e su quali elementi si basarono le informative che includevano anche politici come Mannino e Andò nella lista degli obiettivi da colpire». Il negazionismo assoluto messo in atto da Subranni ha impedito ad alcuni componenti della Commissione di formulare le proprie domande. Troppo erto quel muro di gomma oltre il quale lo stesso ex comandante del Ros ha impedito a chiunque di oltrepassare. Restano quindi senza risposta le domande di chi continua a chiedere giustizia per tutti quei martiri uccisi nel nome di una ignobile trattativa. Ma come pensa, Subranni, di riuscire a far credere di non essere stato a conoscenza dei contatti intrapresi tra il Ros e Vito Ciancimino? E' stato lui ad accordare il permesso al colonnello Mori di prendere contatti con Vito Ciancimino? E perché non avrebbe avvertito Borsellino? Si sarebbe limitato ad impartire a Mori e De Donno queste direttive a sua volta ricevute o avrebbe avuto un ruolo più decisionale all'interno di questo “disegno politico”? E in questo caso in base a quali direttive istituzionali è stato stabilito che il col. Mori dovesse intraprendere quel “dialogo” con Cosa Nostra attraverso Ciancimino? Il silenzio posto a queste domande dall'ex comandante del Ros si scontra pesantemente con le dichiarazioni di Agnese Borsellino. La vedova di Paolo Borsellino ha detto nel 2009 che poco prima della strage di via D'Amelio suo marito, riferendosi a Subranni, utilizzò un termine in gergo mafioso per dire che lo stesso ufficiale era  affiliato a Cosa Nostra. A tuttoggi non è dato conoscere chi avrebbe riferito a Borsellino una simile affermazione, ma restano comunque dichiarazioni molto gravi sulle quali sarà la procura di Caltanissetta a fare luce. Di fatto questa frase venne pronunciata dal giudice successivamente all'ultimo incontro che l'ex comandante del Ros ebbe con Borsellino il 10 luglio 1992. Come spiega Subranni questa circostanza?