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Fabio Tranchina gestiva la latitanza del boss di Brancaccio. E ora parla delle stragi
di Monica Centofante - 23 aprile 2011

Solo due giorni fa aveva tentato il suicidio nel carcere di Pagliarelli, forse preoccupato per le conseguenze delle rivelazioni rilasciate alla procura di Firenze. Ora invece - nonostante le pressioni della moglie, sorella di Cesare Lupo, fedelissimo dei Graviano di Brancaccio - ha deciso di saltare definitivamente il fosso e collaborare con la giustizia.

Fabio Tranchina, il boss arrestato martedì scorso con l'accusa di concorso nella strage di via D'Amelio ieri ha cambiato avvocato e ha affidato la sua difesa a Monica Genovese, legale di numerosi pentiti. Mentre ai magistrati di Caltanissetta che indagano sulle stragi dei primi anni Novanta avrebbe confermato tutte le dichiarazioni già rese, lo scorso 16 aprile, alla procura di Firenze.
Un solo interrogatorio di poche ore che già era bastato ad offrire nuovi interessanti spunti investigativi. E che rende l'inizio di questa nuova collaborazione particolarmente promettente.

Tranchina, mai formalmente affiliato a Cosa Nostra, non è infatti un pentito qualunque. Vicinissimo ai potenti fratelli Graviano di Brancaccio aveva gestito la latitanza di Giuseppe Graviano tra il 1991 e il 1994, gli anni caldi delle stragi. “Graviano Giuseppe – ha raccontato lui stesso - mi diceva che non doveva farmi conoscere nessuno, ma in realtà di persone ne ho conosciute tante. Lui si fidava tanto di me perché io e la mia famiglia eravamo fuori da queste cose”.
Una versione già confermata dalle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza, che nel 2008 aveva parlato di Tranchina come dell'uomo che “curava la latitanza di Graviano”. “L'Unico” e “nessuno lo sapeva”, aveva specificato, “era una cosa riservatissima”.

Lo scorso 16 aprile, ai magistrati Alessandro Crini e Giuseppe Nicolosi, Tranchina aveva riferito quanto a sua conoscenza proprio sugli eccidi del '92 e del '93. “…una settimana prima della strage di Capaci – aveva detto - Giuseppe Graviano mi disse di non passare dall’autostrada e poi compresi l’avvertimento dopo che avvenne l’attentato. Lo stesso per la morte del dr. Borsellino. Prima dell’attentato più volte mi fece passare da via D’Amelio riaccompagnandolo, ed io non capivo cosa dovesse vedere. Poi, mi chiese di trovargli un appartamento in via D’Amelio e, infine, visto che non l’avevo trovato, ebbe  a dirmi che allora si sarebbe messo comodo nel giardino. In via D’Amelio dove è avvenuta la strage in effetti c’era un muro ed un giardino”.
“Dopo la strage di Capaci e prima o subito dopo la strage di via D’Amelio ma mi sembra dopo – aveva proseguito - Graviano Giuseppe mi chiese di comprargli un telecomando UHT che gli serviva, mi disse, per un cancello. Mi mandò da Pavan a Palermo e costò 1 milione e 400 mila lire o 1 milione e 600 mila lire. Mi disse di non dare il mio nome e infatti dissi al negozio che mi chiamavo Terrano o simile”.
Poco più tardi il boss di Brancaccio chiese al suo fedelissimo un altro  telecomando. Un “fatto”, ha specificato Tranchina, che “sappiamo solo io e Graviano Giuseppe. Mi disse di non aprirli che dovevano essere modificati e mi disse che erano ottimi finchè non li trovavano ed io chiesi come fosse possibile che qualcuno li trovasse se li consegnavo a lui e lui rispose che magari potevano non funzionare e quindi essere ritrovati se non scoppiavano. Da qui ho capito che servivano per degli attentati”
Tranchina aveva quindi ricordato lo spostamento dei Graviano nel centro e nord Italia, nel 1993: “Era anche per sfuggire alla pressione su Palermo che dopo le stragi siciliane del 1992 era particolarmente forte”. “Alle pressioni i Graviano risposero a modo loro portando, avanti le stragi per trovare una trattativa con lo Stato”.
In quel periodo, aveva ricordato ancora Tranchina,  fu arrestato Riina e il giorno stesso “dell'arresto di Riina, Graviano mi disse che ci sarebbe stata una guerra, nel senso che come fare le leggi glielo dovevano fare capire loro, anche se avevano le loro assicurazioni”.
Poi, più tardi, in vista delle elezioni del 1994, all'interno di Cosa Nostra “ricordo che … venivano indicazioni di voto per Forza Italia”.

Su Fabio Tranchina, nel 2008, Gaspare Spatuzza aveva riferito anche altri particolari. Specificando di essersi incontrato due o tre volte, prima della strage di via D'Amelio, con Giuseppe Graviano “in una casa di Falsomile, di proprietà o della famiglia di Cesare Lupo o del cognato Fabio”. “Io andavo nella grande piazza di Falsomiele e Tranchina mi prelevava, per portarmi fino da Graviano”.
Nei giorni precedenti la strage, aveva proseguito Spatuzza, per contattare il potente boss di Brancaccio lo stesso Spatuzza doveva utilizzare un'utenza intestata all'Immobiliare Costa Smeralda,  del quale Tranchina era socio. “Un lavoro di copertura” aveva specificato il pentito, confermato dai tabulati di traffico telefonico che avevano accertato tre contatti telefonici, tra il 16 e il 17 luglio 1992, tra l'utenza in uso a Spatuzza e quella intestata alla società immobiliare in questione.
Uno solo dei diversi riscontri che i magistrati hanno già trovato alle dichiarazioni del neo-pentito.
E che potrebbero aprire nuovi interessanti scenari.