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di Anna Petrozzi - 3 maggio 2011
Loquace ma guardingo. Sono le parole scelte da Giovanna Maggiani Chelli, portavoce dell’Associazione tra le vittime di via dei Georgofili, per definire Giovanni Brusca, sentito oggi a Firenze nel processo a carico di Francesco Tagliavia per le bombe del 1993. Forse è il ritratto migliore, il più efficace per inquadrare questo ex mafioso...


...dalla fama di killer spietato diventato un collaboratore di giustizia con informazioni cruciali non solo per ricostruire i tantissimi omicidi eccellenti e non di cui si è macchiato, ma anche per gli inquietanti retroscena di cui è stato testimone, data la particolare vicinanza a Totò Riina che venerava quanto e più di un padre. Ed è per questo che le sue parole, seppur tardive, vanno prese con molta attenzione.
Lo aveva detto la prima volta in un verbale segreto al compianto pm Chelazzi, ed era trapelato tramite la stampa, ma questa volta lo ha ribadito a chiare note in dibattimento: “Il committente finale (del papello) era Mancino”. Secondo Brusca dunque l’elenco delle richieste avanzate da Cosa Nostra per smettere di compiere stragi era indirizzato all’allora Ministro degli Interni ed aveva l’obiettivo di “far tornare lo Stato a trattare con noi, come aveva fatto fino al 1992, grazie all’aiuto dell’onorevole Salvo Lima. Lima era sempre disponibile, con lui potevamo contare su favori e accomodamenti”.
Quel rapporto duraturo ed idilliaco si era interrotto bruscamente con il maxi processo, il movente principale delle stragi e dalla furia di Riina, accecato dall’odio contro Falcone, Borsellino e il loro storico successo.
Per questo Borsellino salta in aria così poco tempo dopo Falcone, quando la trattativa o “più che altro – precisa Brusca – un’offerta”, subisce una battuta d’arresto perché le richieste sono considerate “esose”. Offerta o meno, dopo la strage di Via D’Amelio, Riina, invece che ottenere un nuovo dialogo, incassa l’interruzione di ogni contatto. “Il primo a dirlo fu Salvatore Riina, che mi diceva: non c’è più nessuno”.
Poi vennero l’arresto misterioso del capo dei capi, la mancata perquisizione del suo covo e soprattutto le stragi di Firenze, Milano e Roma con decine di morti e feriti innocenti. Lo scopo, secondo il collaboratore, sempre quello di provocare una reazione di dialogo.
A quelle bombe, si è scoperto recentemente, corrispondono quelle sospette mancate proroghe del 41 bis, ma Brusca ha tenuto a ribadire che quello era solo uno degli aspetti che interessavano lui, Bagarella, i fratelli Graviano e Matteo Messina Denaro, gli artefici di quei terribili eccidi, in quel momento, almeno nella fase iniziale, schieramento opposto a quello di Bernardo Provenzano che a quanto pare, si godeva la scena in disparte.
Solo successivamente, “verso la fine del 1993 o all’inizio del 1994, dopo la vicenda Contorno” Brusca e Bagarella si adoperano per contattare Dell’Utri e Berlusconi tramite Vittorio Mangano cercando di guadagnarsene la fiducia, facendo loro sapere che “la sinistra”, intesa come l’area più a sinistra della Dc, era a conoscenza della trattativa tra mafia e uomini dello Stato.
La missiva però non era delle più rassicuranti: “Mandai Mangano a Milano ad avvertire Dell’Utri e, attraverso di lui,  Berlusconi che si apprestava a diventare premier, che senza la revisione del maxi processo e del 41bis le stragi sarebbero continuate”. Mangano sarebbe quindi tornato con la piena disponibilità da parte di Dell’Utri.
A suggellare questa sorta di patto l’attentato, per fortuna, fallito all’Olimpico: “Chiudiamo il caso con il vecchio, vendicandoci, e apriamo il nuovo”.
Loquace e guardingo Brusca ha ricostruito la storia di quegli anni dalla sua prospettiva, manca infatti da capire come si stesse muovendo contemporaneamente Bernardo Provenzano che certamente non se ne stava con le mani in mano, così come i fratelli Graviano che alla fine del ’93 non danno più notizie di sé, si trasferiscono a Milano e aprono un club di Forza Italia presso l’hotel San Paolo Palace di Palermo. All’insaputa e con grande disappunto di Bagarella.
Alla prossima udienza saranno sentiti proprio loro. Se si decidessero a parlare, forse finalmente si potrebbero mettere in fila tutti questi tasselli che al di là di tutte le versioni continuano a dimostrare che i capi spietati di Cosa Nostra avevano accesso ai vertici delle Istituzioni, vecchie e nuovi, e che dopo il fallito attentato all’Olimpico hanno smesso di cercare referenti a suon di bombe.