Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

di Lorenzo Baldo - 14 dicembre 2010
«Le nostre indagini, seppure dopo tanti anni, hanno consentito di accertare inconfutabilmente che Borsellino fu informato di quella che viene definita la 'trattativa'. Ciò avvenne il 28 giugno ad opera della dottoressa Ferraro, all'epoca capo dell'ufficio affari penali del ministero di Grazia e Giustizia».


Non usa mezzi termini il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari nell'intervista trasmessa domenica scorsa dal Tgr Sicilia. Il riferimento a Liliana Ferraro ha riacceso i riflettori sulle deposizioni dell'ex capo dell'ufficio Affari Penali del ministero di Grazia e Giustizia. Esattamente un anno fa, il 14 ottobre 2009, la Ferraro era stata chiamata dai magistrati nisseni insieme ai loro colleghi palermitani come “persona informata sui fatti” a raccontare l'episodio sull'incontro avuto con l'ex vice di Mario Mori al Ros, Giuseppe De Donno, sorprendentemente citato da Claudio Martelli durante un'intervista ad Annozero la settimana precedente. «Posso dire che sicuramente venne al Ministero per incontrarmi il cap. De Donno – aveva esordito la Ferraro – non ricordo esattamente la data, ma ho memoria del fatto che parlai di tale vicenda col dott. Borsellino all'aeroporto di Roma ove lo stesso si trovava unitamente alla moglie, di ritorno da un convegno a Giovinazzo (BA)». «Mi incontrai col dott. Borsellino perché questi mi chiamò dicendomi che voleva parlarmi e mi diede appuntamento proprio all'aeroporto di Fiumicino». La dott.ssa Ferraro aveva poi specificato agli investigatori che il periodo in cui si era svolto l'incontro con Borsellino poteva essere collocato nella settimana del trigesimo della morte del dott. Falcone. «Mi trattenni a colloquio per circa un paio d'ore col dott. Borsellino – aveva evidenziato Liliana Ferraro – ed in tale occasione parlai anche dell'incontro che era avvenuto col capitano De Donno qualche giorno prima». Davanti agli inquirenti l'ex direttore degli affari penali aveva anche sottolineato un dettaglio importante di quell'incontro alla saletta vip dell'aeroporto Leonardo da Vinci. «Riferii a Borsellino la visita di De Donno, lui non ebbe nessuna reazione, mostrandosi per nulla sorpreso e quasi indifferente alla notizia, dicendomi comunque che se ne sarebbe occupato lui». L'assenza di una «reazione» di Borsellino alla segnalazione della Ferraro può voler dire che lo stesso giudice molto probabilmente era stato già informato della “trattativa” in corso in quell'appuntamento del 25 giugno alla Caserma Carini con Mario Mori e Giuseppe De Donno, o forse in un'altra occasione. Al ricordo di Liliana Ferraro manca allora qualche dettaglio sul contenuto della sua conversazione con il giudice assassinato? Non è da escludere. La versione quindi del gen. Mori che ha sempre riferito di aver intrapreso i “colloqui” con Vito Ciancimino dopo la strage di via D'Amelio, e cioè il 25  agosto del '92, viene messa ulteriormente in discussione. “Il nodo è politico” diceva vent'anni fa lo stesso Paolo Borsellino, e anche in questo caso la questione “trattativa” diviene sempre di più una saga criminale contrassegnata dall'impronta politico-istituzionale. Per il capo della procura nissena la consapevolezza di Borsellino del patto scellerato in corso tra Stato e mafia non è più una mera ipotesi, è un dato di fatto, “però – evidenzia Lari – da questo a dire che la strage di Borsellino sia nata perché egli si sia opposto a questa “trattativa” il passo è lungo”. Secondo il procuratore “potrebbe anche darsi che Totò Riina abbia autonomamente deciso di accelerare una strage già programmata proprio perché la trattativa non stava andando in porto”. “La nostra ipotesi – sottolinea il magistrato – è che la trattativa, in un senso o nell'altro, abbia avuto un ruolo nella anticipazione della decisione di uccidere Paolo Borsellino”. Nel frattempo i buchi neri sulla fase esecutiva della strage di via D'Amelio sono tutt'altro che chiariti, manca ancora il nome e il volto di “chi ha pigiato il pulsante e ha fatto saltare in aria l'autovettura imbottita di esplosivo”. Per quanto concerne invece il mistero che riguarda il castello Utveggio quale possibile luogo da dove si sarebbe premuto il telecomando, il procuratore ritiene che in base alle indagini si può definitivamente escludere. Andando per esclusione resta quindi in piedi l'ipotesi del palazzo in fondo a via D'Amelio dei fratelli Graziano (imprenditori edili legati alle famiglie mafiose dei Galatolo e dei Madonia, ndr) la cui terrazza al dodicesimo piano domina la visuale su via D'Amelio. Ma anche altre piste meno note, ma non per questo scartabili del tutto, verranno battute nuovamente dagli investigatori. “Poi c'è l'altro binario – conclude Lari nell'intervista di Rino Cascio al Tgr Sicilia – ed è il processo che si dovrà fare a carico di Spatuzza ed eventualmente anche di altri soggetti che da lui sono stati chiamati in causa”. Grazie alle sue rivelazioni il troncone che riguarda la possibile revisione del processo per la strage di via D'Amelio potrà essere chiuso entro il mese di gennaio. Dopo l’audizione dello scorso 11 novembre dell’ex ministro di Grazia e Giustizia, Giovanni Conso, il procuratore di Palermo, Francesco Messineo, l’aggiunto Antonio Ingroia e il sostituto Nino Di Matteo sentiranno domani a Roma, alla sede del Senato, gli ex presidenti della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e Oscar Luigi Scalfaro. Anche a loro verrà chiesto di fare luce sulle mancate proroghe dei 41 bis ai boss mafiosi nel periodo a cavallo delle stragi del '93. E soprattutto anche a loro verrà chiesto di sforzarsi e di ricordare i pezzi mancanti di questo “gioco grande” molto probabilmente chiusi nei labirinti della loro memoria.