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di Silvia Cordella - 21 ottobre 2010
Le indagini stringono il cerchio sugli 007 coinvolti intorno alla Trattativa del ’92 e, a Palermo, la Procura iscrive nel registro degli indagati il famoso “Capitano”, l’autista del “Signor Franco” che più volte aveva intimato Massimo Ciancimino di tacere sui rapporti tra il padre e Silvio Berlusconi e su quella stagione di stragi che determinò il dialogo fra pezzi dello Stato e Cosa Nostra.

Così, secondo un’indiscrezione di Repubblica, i pm Nino Di Matteo, Paolo Guido, insieme all’aggiunto Antonino Ingroia, avrebbero firmato il provvedimento di accusa contro il braccio destro del “Signor Franco”, Rosario Piraino, di 53 anni, per violenza privata, con l’aggravante di aver favorito la mafia. L’uomo attualmente agente di Polizia in servizio presso l’Aisi, il servizio segreto civile, sarebbe stato identificato dagli uomini della Dia dopo un riconoscimento fotografico effettuato da Ciancimino jr. in uno dei suoi vari interrogatori. Dagli accertamenti si anche scoperto che Piraino nel 1992 dirigeva l’agenzia di Caltanissetta del Sisde, la stessa che si occupò delle indagini sulla strage di Capaci e Via D’Amelio.
Un elemento importante che potrebbe mettere in relazione il ruolo avuto dal suo superiore, il Signor Franco, nella Trattativa (mediata da don Vito tra i militari del Ros e Riina), la funzione dei servizi nella strage di via d’Amelio e il depistaggio investigativo avvenuto dopo le stragi di Palermo e per il quale sono attualmente indagati i poliziotti del vicequestore Arnaldo La Barbera. Rivelatosi anche lui, secondo una scoperta recente, ex agente del Sisde sotto copertura tra l’86 e l’87. Elementi nuovi dunque che saranno attentamente vagliati e decifrati dalla Procura di Caltanissetta impegnata a tutto campo proprio sulla pista dei mandanti esterni nella strage di Via d’Amelio. La quale, persino per il capo di Cosa Nostra Salvatore Riina, non sarebbe stata solo opera della mafia, ma soprattutto dei Servizi. Un’esternazione che il superboss ha fatto in carcere al suo legale Luca Cianferoni che a sua volta, stamattina, l’ha comunicata ai sostituti della distrettuale di Palermo Lia Sava e l'aggiunto Antonio Ingroia. I magistrati che stanno indagando su un nuovo capitolo della morte del bandito Giuliano, seguendo un esposto che afferma che il cadavere seppellito non sarebbe il suo. Entrambi i procuratori quindi hanno sentito l’avvocato dopo che in un'intervista aveva accostato la sorte di Giuliano a quella di Borsellino, sostenendo che in entrambi i casi ci sarebbe stata la mano dei servizi segreti. I magistrati gli hanno allora domandato di chiarire queste parole e il legale, autorizzato dal suo cliente, avrebbe quindi rivelato quella che sarebbe l'idea di Riina in merito alla strage di via D'Amelio: “Non siamo stati solo noi”.
Accuse generiche a cui i magistrati attribuiranno il giusto peso (Riina non è un collaboratore di giustizia) e che arrivano dopo le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza e Massimo Ciancimino. Proprio il figlio di don Vito (che Riina nel dialogo con suo figlio ha definito un infame) aveva parlato delle pressioni ricevute nel 2006, durante gli arresti domiciliari, dal “Capitano” affinché non parlasse di certi temi. Allora l’agente segreto si era presentato con due carabinieri (che non stilarono alcun verbale) e in modo appartato, gli avrebbe manifestato la sua preoccupazione che nasceva dagli interrogatori che avrebbe dovuto affrontare in Procura per la vicenda legata all’inchiesta sulla Gas Spa, la stessa per la quale era stato arrestato. “Qualora dovessero farlo – gli avrebbe detto il Capitano - non è il caso di prendere discorsi sui carabinieri o Berlusconi. Tutte queste cose lasciale fuori dal tuo processo”.