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di Claudio Rossetti Conti
Abbiamo incontrato Aaron Pettinari, capo redattore della testata giornalistica ANTIMAFIADuemila, rivista impegnata nell’informazione sulle tematiche della lotta alla mafia.

Come nasce il giornale ANTIMAFIADuemila?
Nasce il 25 marzo del 2000, con la presentazione ufficiale a Palermo, su decisione del nostro direttore e fondatore Giorgio Bongiovanni, siciliano di origine. La testata è edita dall’Associazione Culturale Falcone e Borsellino. Siamo un giornale autofinanziato grazie al contributo della casa editrice e di quelle persone che credono in questa attività, non abbiamo finanziamenti pubblici. Penso di poter dire che anche per questo non abbiamo alcun tipo di condizionamento.
Assieme ad altri ragazzi, Giorgio Bongiovanni decise di intraprendere questa avventura appoggiandosi a vari giornalisti ed addetti ai lavori per tentare di dare un proprio contributo alla ricerca della verità, in particolare sulle stragi del 1992 e 1993. Il motivo per cui nasce ANTIMAFIADuemila è perché crediamo che in quel biennio stragista, quindi sul sangue di Falcone e Borsellino, crolli la prima Repubblica e sorga la seconda. Vent’anni fa parlare di mafie, quindi delle varie criminalità organizzate come Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra e Sacra Corona Unita, non era cosa comune come oggi lo può essere.

Chi compone la vostra testata?
In maniera fissa sono sei-sette persone quelle che orbitano attorno alla redazione, senza contare i nostri collaboratori esterni e alcuni giovani che ci aiutano scrivendo alcuni articoli. Collaboriamo o abbiamo collaborato con diversi colleghi. Oggi nostro editorialista è Saverio Lodato, firma prestigiosa dentro al mondo della cronaca giudiziaria, ma abbiamo avuto contributi anche di altre persone legate al mondo del giornalismo come Peppino Lo Bianco, Stefania Limiti e tanti altri anche se non in maniera continuativa. In passato c’è stata una strettissima collaborazione con il nostro grande amico giornalista Giulietto Chiesa, deceduto quest’anno.

Cosa sono per voi giustizia e legalità?
Sono due concetti diversi, se per legalità intendiamo il rispetto delle regole, come è giusto che sia, credo vada fatta una precisazione. Perché alle volte ci possono essere delle regole che causano ingiustizie nei confronti del cittadino. Ed è giusto, senza ricorrere ad atti di violenza, ma manifestando, cercare di dire la propria affinché certe regole possano essere cambiate.
La giustizia è un concetto più ampio e passa anche dalla ricerca della verità delle morti dei martiri che ci sono stati e dallo scioglimento del mistero in cui sono avvolte le loro ingiuste scomparse. La giustizia è trovare la verità su quei fatti e trovare tutti i responsabili di queste morti, sia coloro che hanno eseguito l’ordine sia chi ha ordinato quelle stragi. I colpevoli non sono da ricercare solo all’interno delle organizzazioni criminali , ma anche esternamente a esse. Ciò che dico è un fatto che emerge da svariate sentenze, da cui si è visto come vi sono stati mandanti esterni alle mafie nelle stragi del ’92 e ’93.

Perché fate ciò che fate?
Come detto vogliamo dare il nostro contributo. E anche perché su certi argomenti come la mafia non sempre c’è un’informazione corretta. Spesso è insufficiente o incompleta, e nella peggiore delle ipotesi anche manipolata.
Noi crediamo che sia necessario parlare di queste tematiche che ancora oggi condizionano pesantemente la nostra democrazia. Dobbiamo chiederci per quale motivo dopo centocinquantanni di storia stiamo ancora qui a parlare dell’esistenza delle mafie in Italia. Dobbiamo domandarci perché nonostante le stragi avvenute siamo ancora qui a discutere di un fenomeno che non è affatto debellato come molti vorrebbero farci credere, ma anzi è più forte che mai. Questo non lo dico io, ma bensì tantissimi addetti ai lavori. Siamo giornalisti, ma prima di tutto siamo dei semplici cittadini che hanno l’utopia di contribuire alla ricerca della verità.

Cos’è la verità?
Anche questo è un concetto complesso. Perché bisogna distinguere tra la verità giudiziaria e la verità storica. In questo caso si tratta semplicemente di rimettere in fila i pezzi dei fatti accaduti nel corso della nostra storia e capire perché sono accadute determinate cose; ciò può riguardare le stragi ma anche tanti altri fatti accaduti nella nostra storia. Il paese italiano nasce sulle stragi, subito dopo la seconda guerra mondiale c’è stata la prima strage di Stato ossia quella di Portella della Ginestra. Successivamente ve ne sono state tante altre, penso a quella di Piazza Fontana, a Piazza della Loggia, a Bologna, all’Italicus, alla strage di Ustica e a quelle di Falcone e Borsellino. Non dimentico che nel 1994 ci fu il fallito attentato all’Olimpico in cui veramente si poteva arrivare al crollo, come dicono anche alcune sentenze, dello Stato italiano. Queste sono stragi che incredibilmente non hanno ancora una completa verità su quanto è accaduto, in alcuni casi non si conoscono nemmeno i mandanti e in altri, gli esecutori. Per fare un esempio su tutti, oggi ancora nel 2020 non sappiamo chi abbia premuto il pulsante della strage di via d’Amelio.

Perché secondo te non si sa?
Perché probabilmente dietro queste stragi ed attentati ci sono segreti che riguardano il nostro paese, non sono solo stragi di mafia o di terrorismo rosso o nero che siano. Sono azioni criminali che si sono perpetrate nel corso degli anni che si mescolano con responsabilità magari istituzionali o comunque dei più alti sistemi di potere che tutt’oggi non vogliono che determinate verità si scoprano per non scoperchiare il vaso di Pandora. Non si vuole che quel potere che è stato mantenuto per anni venga svelato e perduto.

Cosa significa per voi fare giornalismo?
Cercare il più possibile di raccontare i fatti che avvengono secondo verità e raccontare le cose che accadono per quello che accadono, andando fino in fondo ai vari aspetti facendosi domande. Seguiamo il concetto etico di giornalismo di cui parlava il giornalista Giuseppe “Pippo” Fava, assassinato dalla mafia, per cui bisogna essere dei cani da guardia verso le istituzioni, il potere, la politica e l’imprenditoria nel momenti in cui agiscono in maniera dannosa verso i cittadini, i quali dovrebbero invece ricevere da loro aiuto e sostegno. Bisogna tentare di indagare laddove vi sono fatti e misfatti che non vengono portati alla luce dai grandi mezzi di comunicazione di massa. Quasi mai viene affrontato il tema delle mafie pur essendo un problema sociale molto rilevante.

Perché non se ne parla quasi mai?
Ritengo che non lo si faccia perché è scomodo parlarne, altrimenti bisognerebbe raccontare cosa è accaduto da quando è nata la nostra Repubblica in poi. è scomodo perché in questo momento la nostra economia e quella internazionale si basa anche sugli affari che fanno le organizzazioni criminali a livello nazionale e transnazionale. Basti pensare che non è un caso, ritengo io, che stiamo qui a parlarne; facendo il provocatore domando come mai l’Europa ci chiede dal 2014 di calcolare, all’interno del nostro PIL, il traffico internazionale di stupefacenti e la prostituzione. I dati ci dicono che le mafie guadagnano centicinquanta miliardi di euro l’anno, approssimati per difetto; ottanta miliardi di euro l’anno, approssimati per difetto, vengono dal traffico di stupefacenti di cui la 'Ndrangheta, criminalità organizzata calabrese, è monopolista nel mondo occidentale. In vista di questo mi chiedo se è forse per questo che le mafie non vengano sconfitte, perché fanno PIL e sono necessarie e utili al nostro calcolo del Prodotto Interno Lordo? Non vengono sconfitte anche perché forse riescono a garantire, in qualche maniera, dei servizi grazie a quelle grandi liquidità di cui dispongono? Oggi in cui vi è una grande crisi per cui le banche non fanno credito a imprenditori e quant’altro, le mafie ci permetterebbero allora di sostenere il nostro benessere istituzionale? Questo è il problema al centro di tutto di cui si parla molto poco. Ci fanno credere che le mafie dopo le stragi del 1992 e del 1993 le abbiamo sconfitte perché i capi mafia stanno in carcere, purtroppo non è vero. Le mafie non le abbiamo sconfitte.

I bossoli ritrovati durante la strage di Portella della Ginestra erano statunitensi, pensi quindi che esista un legame transnazionale che legherebbe mafie con altri apparati?
Io ritengo di sì. Prima ho citato lo sbarco degli statunitensi nel territorio siciliano, questo è un frutto marcio dovuto a una prima trattativa tra autorità degli Stati Uniti e certi tipi di apparati. Cosa Nostra americana si è fatta intermediare con Cosa Nostra siciliana per fare sì che lo sbarco avvenisse. La contropartita c’è stata, altrimenti non si spiega perché capi mafia conclamati sono diventati sindaci e amministratori locali. Ci sono stati anche altri episodi che ci fanno pensare e riflettere sul filo rosso e nero delle stragi in Italia usato per destabilizzare e mantenere un certo sistema di potere, per poi cambiare negli anni novanta in seguito alla caduta del muro di Berlino. In quel momento gli assetti internazionali vennero ridisegnati, cosi come in Italia doveva essere ridisegnato qualcosa, e ciò è stato fatto non solo passando non solo attraverso delle inchieste giudiziarie come tangentopoli, ma anche passando trale bombe del 1992, 1993 ed il fallito attentato all’Olimpico del 1994. Al momento della caduta del muro di Berlino abbiamo un sistema di apparati che avevano perso la loro ragione di essere. Penso a strutture paramilitari come GLADIO, da poco è emerso che Falcone era venuto a conoscenza di questa struttura e che stava indagando su questa ed altre, sempre di tipo massonico, le quali avevano l’esigenza di ridisegnare un proprio equilibrio interno dentro questo sistema criminale, già presente all’epoca, in cui dialogavano tra loro pezzi delle istituzioni della politica, degli imprenditori, della massoneria e dei servizi segreti deviati. Cercarono un nuovo ricollocamento che si è fatto in un primo momento guardando a un sistema politico attraverso la nascita di leghe meridionali, secondo ciò che ci raccontano diversi collaboratori di giustizia e ciò che emerge da alcune sentenze, che era quella di Forza Italia. è un dato di fatto che uno dei fondatori di quel partito è stato condannato in via definitiva per concorso esterno ad associazione mafiosa. Mi riferisco al senatore Marcello Dell’Utri.

Pensi che le mafie siano solo un braccio, uno degli strumenti di alcune “menti raffinatissime” occulte o che siano un organo indipendente?
Le criminalità organizzate sono state un braccio armato di questo sistema criminale integrato, ciò ce lo dicono inchieste ed indagini recenti. Ad esempio le indagini svolte dalla procura di Reggio Calabria dimostrano l’esistenza di un’interconnessione con il sistema deviato delle massonerie. Nel processo ‘Ndrangheta stragista, il gran maestro del GOI (Grande Oriente d’Italia n.d.a.)’ Di Bernardo, è stato ascoltato dal magistrato procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo ed ha raccontato che era venuto a conoscenza del controllo esercitato della ‘Ndrangheta su ventotto logge massoniche calabresi, tra le trentadue totali. Di Bernardo aggiunse in aula “Guardate che la P2 non è stata affatto sconfitta. Gli elenchi veri non sono mai stati trovati.
Queste compenetrazioni ci sono tutt’oggi, il sistema criminale è integrato e vede al suo interno queste componenti. Le criminalità organizzate sono una parte di queste “menti raffinatissime” di cui parlava Giovanni Falcone. Non dimentichiamoci che Falcone parlava anche del “grande gioco”, di un “terzo livello” e di ibridi connubi tra queste varie strutture. Forse questo è stato uno dei motivi per cui venne ucciso.

Dove affondano le radici delle mafie?
La mafia è sempre stata un fenomeno socio-culturale. Esiste perché ha un consenso del popolo, rappresenta un’ideale di struttura che viene valutata erroneamente positiva. Le mafie non sono un valore ma bensì rappresentano un disvalore. Questo accade perché lo Stato non riesce a sopperire alle mancanze che anche in questo momento il popolo si trova a vivere. Da qui nascono le mafie.
Dal punto di vista storico sappiamo che nascono alla fine del 1800, dopo la seconda guerra mondiale, come detto in precedenza, molti capi mafia sono diventati sindaci in Sicilia. Per rispondere a questa domanda andrebbero fatti piu’ piani di ragionamento. Falcone diceva che la mafia e’ un fatto umano e come tale ha un inizio e una sua fine. Nel momento in cui si parla di queste tematiche si permette alle giovani generazioni di potere valutare sul piano culturale queste problematiche.
Dobbiamo togliere alle organizzazioni criminali il consenso sociale e questa forza che hanno, piano piano sarà un fenomeno che sarà sconfitto come tanti altri fatti umani.

Come pensi si possa togliere il consenso di cui si nutrono le mafie?
La battaglia bisognerebbe farla su più piani. Al primo livello ci dovrebbe essere una volontà di Stato di debellare questo cancro e di offrire risorse alla magistratura e alle forze dell’ordine per poterlo sconfiggere. Lo Stato non dovrebbe lottare senza la paura di svelare altarini e rapporti alti che le mafie hanno avuto con apparati dello Stato. Detto questo, non si potrà mai sconfiggere Cosa Nostra, Camorra, ‘Ndrangheta e Sacra Corona Unita se si lascia solo alle forze dell’ordine e alla magistratura il compito di farlo e di trovare la verità su quanto è accaduto, su ciò che le mafie hanno portato avanti non da sole. Non bisogna abbandonare queste persone in questo compito, serve un secondo livello di lotta socio-culturale e il modo per farlo è parlandone il più possibile in tutti quanti i mezzi di comunicazione e non solo. L’ottimismo che aveva Paolo Borsellino il 19 luglio, giorno in cui scrisse la lettera a una professoressa di liceo, non dobbiamo perderlo. Scrisse quella lettera consapevole che il tritolo era arrivato a Palermo contro di lui, espresse il suo ottimismo consapevole che le nuove generazioni avrebbero avuto più strumenti rispetto alla sua per potere affrontare il fenomeno della mafia. Istituzione e popolo devono essere forti.

Vorreste lasciare un messaggio ai giovani, ai giornalisti in erba e alle persone che seguono ideali come quelli che voi portate avanti?
Nelle scuole e agli incontri pubblici dico ai ragazzi di cercare di fare valere l’articolo 21 della nostra Costituzione ad “informare ed essere informati”. Non è un diritto solo del giornalista, ma del cittadino. Bisogna informarsi, se non conosciamo e approfondiamo questi argomenti non potremo essere liberi di scegliere in maniera corretta le strade da percorrere del proprio futuro. La libertà di scelta passa tramite l’informazione del singolo, non bisogna pensare che siano vecchie storie. I fatti avvenuti ventisette, ventotto anni fa, sono legati al nostro tempo presente perché molti personaggi che ruotavano attorno a quel tempo, ancora oggi vengono coinvolti in strutture decisionali del potere. Questo deve fare riflettere e forse si capisce il perché diventa scomodo parlare di certe cose. Di mafia non si parla nei programmi televisivi e nei programmi della politica. Nei programmi elettorali non si parla mai di questo, forse perché è scomodo parlarne o perché non porta voti. Informatevi in prima persona partecipando alla vita sociale culturale. Non fermatevi a ciò che dico io, ascoltatelo con le vostre orecchie. C’è Radio Radicale che ha un archivio audio dei processi più importanti contro le mafie, li ha seguiti tutti. Ascoltate questi processi con le vostre orecchie così che possiate fare delle valutazioni con la vostra testa in maniera completa. Leggete più versioni dei fatti e tentate di capire qual é quella più vicina alla verità, è possibile trovarla.
Nel tempo si è dato più valore e forma all’ideologia e successivamente solo alla rabbia scarnendo così i discorsi della politica nei suoi reali contenuti socio-culturali. Così facendo il bene del cittadino è passato in secondo piano.

Dove possono leggervi le persone?
Ci trovate sul sito www.antimafiaduemila.com, sulla nostra pagina facebook, twitter e presto su instagram. Sul nostro sito vengono annunciati di volta in volta i nostri eventi pubblici a cui tutti possono partecipare.

Tratto da: pressenza.com

Foto © Imagoeconomica

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