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di AMDuemila
Dal caos procure all’inchiesta su Attilio Manca, l’intervista dell’avvocato a “L’informazione”

“I cittadini hanno già poca fiducia nelle istituzioni e anche nella giustizia: questo ‘mercato’ volgare, nel quale un magistrato con poca storia professionale come Palamara (che in passato, come pm, non mi pare che si sia distinto chissà in quale indagine), sia padrone e artefice dei destini di tutti i magistrati d’Italia, esercitando questo potere attraverso la magistratura associata e il Consiglio superiore della magistratura, è davvero gravissimo. Le contiguità con la politica, le commistioni, gli inquinamenti, i salotti e le cene sono cose deprimenti per ogni cittadino, per ogni uomo delle istituzioni, che pone la trasparenza, la rettitudine e l’intransigenza come modello della propria vita, un’offesa al sacrificio di tanti magistrati perbene che sul fronte della lotta alla mafia sono stati uccisi”. E’ così che l’ex magistrato e oggi avvocato, Antonio Ingroia, ha parlato, in un’intervista al giornale “L’informazione”, delle vicende che hanno riguardato l’inchiesta di corruzione della procura di Perugia nei confronti del magistrato ed ex membro del Csm Luca Palamara. L’avvocato, come ha spiegato in altre interviste, quello emerso dalle intercettazioni dell’inchiesta “va al di là della mia immaginazione. Purtroppo credo che sia il problema fondamentale della giustizia italiana: le difficoltà dei magistrati onesti ad affermare i principi di trasparenza e correttezza. Ne sono testimonianza le storie tormentate di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, spesso sottoposti a isolamenti, a vessazioni, a procedimenti disciplinari. Temo che queste relazioni insane tra politica e magistratura che riguardano il caso Palamara, sono solo la punta dell’iceberg”. Per Ingroia, che nel 2012 lasciò la magistratura in seguito alla distruzione delle intercettazioni tra l’ex capo della Stato Giorgio Napolitano e Nicola Mancino da parte della Corte Costituzionale, il vero problema della giustizia in Italia è che "se indaghi sui potenti vieni osteggiato perfino dalla stessa magistratura, mentre vengono premiati e ascendono a carriere luminose magistrati che interpretano il modello opposto (quello del magistrato burocrate, doppiopesista, forte con i deboli e debole con i forti). Quindi credo che bisogna riformare la politica. E’ necessaria una grande presa di coscienza da parte di tutti”.

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Luca Palamara


Il modello Pignatone
Durante l’intervista, l’ex magistrato ha anche espresso un giudizio sul lavoro svolto dall’ex capo della procura di Roma, Giuseppe Pignatone, visto che il suo nome è emerso dalle chat con l’ex numero uno dell’Anm. "Sul piano tecnico-professionale è certamente un magistrato di solida preparazione giuridica e di esperienza, perché si è occupato, anche lui, negli anni del ‘corpo a corpo’ con la mafia, di importanti indagini sull’ala ‘militare’ di Cosa nostra. E però Pignatone si è sempre ispirato a un modello di magistrato diverso dal mio - ha detto Ingroia - Un modello di magistrato sempre ‘prudente’ (detto fra virgolette) nelle indagini sul potere, mentre ha dato il meglio di sé nelle indagini sulla mafia militare, in linea con il modello di magistrato prevalente nella storia della magistratura, che non è certamente quello di Falcone e Borsellino.

L’inchiesta su Attilio Manca
Ingroia ha anche parlato delle indagini svolte dalla procura di Roma, riguardo la morte dell’urologo Attilio Manca, finite con l’archiviazione. “Quel modo di fare indagini (o di non farle) e di archiviarle, quel modo del tutto scettico sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, - ha spiegato - quel modo tutt’altro che convinto sugli input investigativi chiari e coerenti, provenienti da una serie di risultanze obiettive e inoppugnabili, ricorda certi compitini iniziati grazie alle battaglie della famiglia e dei legali (in questo caso, il sottoscritto e l’avvocato Fabio Repici), ma completati solo per dovere d’ufficio ma con un destino tracciato. Questo modo di fare indagini lo conoscevo, ed è coerente col modo di approcciarsi con argomenti scabrosi come la Trattativa Stato-mafia, nel cui contesto l’omicidio di Attilio Manca è maturato”. Secondo l’ex magistrato sempre da quello che è venuto fuori dalle intercettazioni del caso Palamara “c’è stata una costante comunità di intenti e di idee fra ciò che Palamara faceva in sede di magistratura associata e di Csm nella selezione del personale e dei capi degli uffici, e quello che contemporaneamente Pignatone faceva sul piano operativo nella selezione delle indagini. Sono storie un po’ parallele: un’indagine come quella su Attilio Manca doveva essere archiviata? E la carriera dei magistrati che si occupavano della Trattativa doveva essere ostacolata? Ricordiamo che nel momento in cui si determinò lo scontro col Quirinale sul conflitto di attribuzione, l’associazione nazionale magistrati presieduta da Palamara si schierò contro di noi e a difesa del Quirinale”.

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Attilio Manca, il secondo da sinistra


In conclusione, Ingroia ha spiegato che la responsabilità sul caso Manca “resta la grave colpa e responsabilità dell’archiviazione del caso Manca, il rifiuto di rischiarare le zone d’ombra che ci sono attorno alla latitanza di Provenzano. Perché un conto è l’arresto di Provenzano, un altro quello che è accaduto prima, quando era latitante, quando è emerso un trattamento di favore privilegiato da parte di alcuni apparati dello Stato nei confronti del boss, garante mafioso del patto osceno fra Stato e mafia. - ha concluso - Se si fosse indagato seriamente sulla morte di Attilio Manca si sarebbero scoperti altri pezzi e altri angoli della Trattativa che purtroppo si sono portati dietro una lunga scia di sangue”.

Foto © Imagoeconomica

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