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di AMDuemila
La testimonianza del collaboratore al processo “Nemea”: “Due avvocati pronti per farmi passare per pazzo”

“Dalle finestre del carcere mi veniva detto di tutto, anche che mi avrebbero ammazzato, perché stavo parlando con Nicolino (il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, ndr)”. E’ questa la denuncia del collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso, ex rampollo della famiglia ’ndranghetista di Limbadi, che ieri è stato sentito davanti al Tribunale di Vibo Valentia, da Tiziana Macrì. Il processo è quello scaturito dall’operazione “Nemea” e che vede alla sbarra i vertici e gli affiliati del clan Soriano di Pizzinni di Filandari. Secondo la pm Anna Maria Frustaci la sua testimonianza è una delle più “attendibili” e “genuine”.
Il pentito, collegato in videoconferenza, ha ricostruito le fasi della sua collaborazione, iniziata il 18 giugno 2018. Sin da allora non erano mancate forti pressioni da parte della sua famiglia contro la sua decisione.
Così ha ricordato le minacce ricevute per farlo tornare sui suoi passi. Proprio per quelle intimidazioni il mese scorso sono state arrestate la madre e la zia Giovannina Del Vecchio, di 51 anni, e Rosaria Del Vecchio (54) e al fratello del collaboratore, Giuseppe Salvatore Mancuso, è stata notificata in carcere l’ordinanza.
Ma il pentito ha anche riferito delle pressioni ricevute dalla sua ex compagna Nancy Chimirri (a cui è stato disposto il divieto di dimora), madre della bambina nata a distanza di qualche settimana dalla collaborazione con la giustizia. “Mi hanno offerto soldi cash, un bar in Spagna - ha raccontato - e mi dicevano che mi avrebbero mandato due avvocati del Foro di Milano che mi avrebbero fatto passare per pazzo”. Rispetto a quest’ultimo fatto, la pm ha avvertito il collaboratore di non fare i nomi dei due legali in quanto sono ancora in corso delle indagini e quindi vige il segreto istruttorio. Nonostante le difficoltà e le grandi pressioni, Emanuele Mancuso ha continuato il suo percorso di collaborazione con la giustizia e ieri ha di fatto confermato in aula quanto raccontato agli inquirenti.
Dichiarazioni che hanno permesso di ricostruire pezzi si storia della ‘Ndrangheta vibonese, che vede proprio la famiglia Mancuso come protagonista, così come emerso nella recente inchiesta della Procura di Catanzaro, “Rinascita-Scott”.
Mancuso ha fornito anche elementi per ricostruire l’omicidio di Roberto Soriano, fratello di Leone Soriano, che secondo i magistrati sarebbe a capo della cosca, torturato e poi “macinato con un trattore”. Del corpo di Soriano ancora oggi non è stata ritrovata neanche una piccola traccia. Come già raccontato nei precedenti verbali il collaboratore ha riferito che Salvatore Ascone, detto “Pinnularu”, gli avrebbe consigliato di stare lontano da Giuseppe Accorinti, boss di Zungri, definendolo “pericolosissimo”. Sempre Ascone, secondo quanto raccontato da Mancuso, gli avrebbe rivelato che sarebbe stato Accorinti “a uccidere il padre di Giuseppe Soriano, il mio più grande amico”.

Foto © Imagoeconomica

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