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IMG 5933di Aaron Pettinari - Fotogallery
Con il convegno “Menti raffinatissime” inizia il primo Campus della Legalità a Priverno

Ventuno giugno 1989 la polizia trova una borsa carica di esplosivo nella villa di Giovanni Falcone, all’epoca procuratore aggiunto del capoluogo siciliano, all'Addaura. Non esplose, ed un mese dopo, proprio il magistrato, in un'intervista rilasciata al giornalista dell'Unità Saverio Lodato parla di “menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia”. Falcone poi aggiunge: “Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi, ho l’impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi”. A ventiquattro anni dalla strage in cui morì a Capaci, quelle parole offrono un'importante chiave di lettura per capire chi può aver voluto la morte del magistrato. Anche di questo si è parlato al convegno “Menti raffinatissime” che ha aperto il primo “Campus della Legalità e della cittadinanza attiva” a Priverno organizzato dall'Istituto “Teodosio Rossi” in collaborazione con il movimento delle Agende Rosse. Tantissimi i ragazzi presenti al taglio del nastro di Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo, che ha dato il via ai lavori.
Poi è stato il momento del dibattito dove lo stesso Borsellino, coadiuvato dal giornalista Paolo De Chiara, dal direttore di ANTIMAFIADuemila Giorgio Bongiovanni e dall'ex parlamentare Angela Napoli, ha cercato di stimolare i giovani alla ricerca della verità rispetto a quelle stragi e a quelle trattative che hanno condizionato la storia del nostro Paese.
“Purtroppo – ha detto Bongiovanni – noi viviamo in uno Stato che è più Stato-mafia che Stato-Stato. In questi anni ci sono state tante vittime illustri uccise dalla mafia. Tra questi ci sono Falcone e Borsellino. Di quelle morti conosciamo gli esecutori materiali ma ci sono altri personaggi potenti che hanno armato o addirittura hanno chiesto la loro morte. La trattativa è una conseguenza di questo. La nostra seconda Repubblica nasce sul sangue di Falcone e Borsellino e si è poi raggiunto un accordo con la mafia. Dobbiamo ricordare che uno dei fondatori di Forza Italia, Marcello Dell'Utri, è stato braccio destro di chi ci ha governato in questo Paese ed è un condannato per concorso esterno in associazione mafiosa”.
Parlando del processo in corso a Palermo, che vede alla sbarra politici, ex uomini delle istituzioni e mafiosi, Bongiovanni si è detto indignato “per i tanti silenzi di Stato che si sono susseguiti. In tutto questo tempo abbiamo sentito troppi non ricordo da parte di personaggi di alto livello politico ed istituzionale”. Il direttore di ANTIMAFIAduemila ha anche ricordato la recente sentenza d'appello Tagliavia che stabilisce come la trattativa sia “comprovata” e ha esortato i ragazzi ad informarsi (“perché solo con la verità sulle stragi potremo veramente dirci membri di un Paese libero dalla mafia”) e sostenere chi indaga su quel biennio stragista, come il pm Nino Di Matteo. “Oggi – ha ricordato - Di Matteo è un condannato a morte ma non solo dalla mafia. Riina dal carcere parla, così come il superlatitante Matteo Messina Denaro ma a volere la sua morte sono anche altri”.
Infine ha lanciato un appello ai giovani di “osservare attentamente le proposte che vengono dalla politica. Quando voterete guardate se nei primi punti di ogni partito vi è o meno la lotta alla mafia, alla corruzione, al riciclaggio di denaro. Se non ci sono allora scartate quei partiti”.
Subito dopo la parola è stata data a Salvatore Borsellino che ha ripercorso quanto avvenuto negli anni'90, immediatamente dopo le condanne definitive in Cassazione per il maxiprocesso. “E' in quel momento che sono saltati i primi accordi e si è iniziato a cercarne di nuovi – ha detto rivolgendosi ai giovani – Mio fratello era già stato condannato a morte alla riunione di Enna poi però c'è un'accelerazione e 57 giorni dopo la strage di Capaci viene colpito anche lui. Alla mafia non sarebbe convenuta una strage a così breve distanza di tempo. Ma Riina va avanti, probabilmente consigliato da qualcuno. Quindi viene anche lui ucciso. Il motivo? Paolo era venuto a conoscenza della trattativa e sapevano che si sarebbe opposto, per questo lo hanno eliminato”.


Borsellino ha quindi ricordato l'isolamento che c'era attorno a Falcone e Borsellino prima della loro morte. “Forse li hanno uccisi proprio per farli diventare delle icone e nient'altro, mentre in vita a Falcone lo accusavano di essersi fatto l'attentato (all'Addaura, ndr) da solo e per aumentare la propria notorietà. Persino Sciascia parlò, su consiglio di qualcuno, di Paolo Borsellino come un 'profesisonista dell'antimafia' che sfruttava quello per fare carriera. Sapete come è finita quella carriera? Dentro una bara, in tanti piccoli pezzi, come a pezzi furono fatti i ragazzi della scorta”.
Secondo Borsellino le trattative nel corso della storia “ci sono sempre state, da Portella della Ginestra in poi. Lo Stato, che dopo le condanne del maxi in Cassazione avrebbe potuto dare il colpo di grazia alla mafia decide invece di trattare perché a rischiare la vita erano i politici. C'era già stato l'omicidio Lima ed altri erano sulla lista”. Borsellino ha anche ricordato ai giovani come l'ex Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, oggi deceduto, sia stato assolto per mafia perché il reato (riconosciuto fino al 1980) era prescritto. Quindi ha parlato dell'interrogatorio che il fratello fece il primo luglio del 1992 con il pentito Gaspare Mutolo, l'incontro con l'ex ministro Nicola Mancino. “E' in quell'occasione che lui inconterà al ministero Bruno Contrada che manda a salutare proprio Mutolo. E Paolo rimase sconvolto perché quell'interrogatorio doveva essere segreto. Non sappiamo nulla di più di quell'incontro perché Mancino nega di aver incontrato Borsellino, dice di non ricordare, ma nell'agenda Grigia mio fratello aveva annotato chiaramente di aver incontrato l'allora ministro”. “Mio fratello – ha aggiunto – doveva sparire perché si sarebbe opposto alla trattativa, così come è sparita l'agenda rossa dove sicuramente c'erano scritte tante cose su quello che aveva intuito. Lui lo disse: 'Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri'”.
Borsellino ha poi ricordato il silenzio istituzionale che si è verificato di fronte alla condanna a morte di Nino Di Matteo, il duro percorso per arrivare all'assegnazione del bomb jammer. “Quando siamo stati a Roma per manifestare il nostro sostegno – ha detto – ho scritto personalmente alle più alte cariche dello Stato, Mattarella, Renzi, Boldrini e Grasso. Solo quest'ultimo ha risposto all'appello”.
Ultima ad intervenire è poi stata l'ex parlamentare Angela Napoli, già membro della Commissione parlamentare antimafia in una precedente legislatura. “Indagammo sulle stragi – ha ricordato – un'inchiesta che voleva dare anche un contributo alla magistratura. Abbiamo sentito tanti rappresentanti delle istituzioni dell'epoca. Tra questi vi era anche Mancino. Ci mostrò la sua agenda, praticamente vuota, sottolineando che il primo luglio non aveva segnato alcun incontro. In quella giornata io non ho potuto sopportare una tale azione e gli ho ricordato che in quella sede si lavorava per cercare la verità. Da molti interventi istituzionali, purtroppo, ho percepito che sarà estremamente difficile arrivare ad una verità su quegli anni”. La Napoli, che con le sue interrogazioni parlamentari ha portato all'arresto di boss di 'Ndrangheta e si è interessata anche per portare verità sul caso di Lea Garofalo, ha poi ricordato quanto sia importante l'impegno di ognuno: “Non possiamo delegare sempre alle forze dell'ordine la richiesta e la pretesa di verità e giustizia. La resposnabilità è di ognuno di noi. E' della politica che troppo spesso delega alla magistratura questa funzione. Ricordo quando a Fondi c'erano i rappresentanti e personaggi legati alla 'Ndrangheta come i Tripodo. E quando si arriva a nascondere queste collusioni, quando c'è questo tentativo di negazione ci si rende conto che anche questa è trattativa”.

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