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roma mafia capitale tramontodi Pietro Orsatti
Una città sfinita, allo stremo. Senza più una guida politica, tenuta in piedi a malapena da due prefetti che sembrano avere, ma forse è solo un gioco delle parti, un approccio dicotomico all'emergenza che sta divorando la Capitale. Un ex sindaco, Ignazio Marino, che pare intenzionato a smascherare il “complotto” che lo ha portato prima alle dimissioni e poi a ritirarle e poi a vedere i consiglieri comunali del suo partito abbandonarlo e cacciarlo, in quel modo, dal palazzo senatorio. Una campagna elettorale all'ultimo sangue, con il centro sinistra che probabilmente non governerà per almeno due mandati la città. Troppo da farsi perdonare, troppo da metabolizzare, troppo da ripulire. E  lì che fa capolino il sorriso immacolato il “Mal de' noantri” Alfio Marchini che sarà, molto probabilmente, la bandiera del centro destra (e degli imprenditori e dei palazzinari romani) che si contenderà il campidoglio con il Movimento 5 Stelle che sembra non voler arrestare la sua ascesa nei sondaggi. E poi la città, i cantieri abbandonati e mai terminati (come nel caso della Metro C perfino da un decennio), le buche, l'immondizia, il degrado, l'abbandono, il trasporto pubblico diviso fra una bancarotta annunciata e una privatizzazione selvaggia. E le mafie che si stanno riorganizzando - anche spargendo sangue come sta avvenendo nel quadrante Est della città dove la conta dei morti sembra allarmare solo chi ci vive e non chi dovrebbe fare qualcosa - che si mangiano patrimoni, continuano a trafficare e intimidire. A comandare dove sembra che non comandi più nessuno. Come in quel X municipio con quasi trecentomila anime congelate da un commissariamento per mafia. Dove la politica non c'è più ma gli affari sono sempre gli stessi.

Ecco Roma, che nel “processone” a Mafia Capitale da domani non troverà l'evento taumaturgico che potrà salvarla. Il circo mediatico è pronto. Anche il tavolo di chi raccoglie le scommesse: “je daranno er 416 bis si o no”? Le quotazioni non si conoscono, ma non sembrano a quanto si dice molto favorevoli alle tesi della procura. Anche dopo la sentenza di ieri, del prologo al maxi di domani, che ha visto le prime quattro condanne il riconoscimento della contestazione dell’aggravante mafiosa per Emilio Gammuto, uomo di fiducia dell’ex ras delle cooperative Salvatori Buzzi, condannato a 5 anni e 4 mesi di reclusione per corruzione.

Intanto Buzzi il bulimico, di affari dichiarazioni parole e favori, si prepara per lasciare tutti a bocca asciutta. Sbuca come in un gioco di prestigio il trappolone per prolunguare all'infinito - e allo sfinimento? - il processo che si aprirà domani nell'aula bunker del carcere di Rebibbia. Un trappolone talmente ben congeniato che potrebbe perfino riuscire a trasferire a altro collegio o perfino ad altra sede il processo.

Lo spiega con precisione Giulio De Santis sul Corriere della Sera.

Il legale del presidente della 29 giugno ripresenterà, prima dell’apertura del dibattimento, una nuova richiesta di patteggiamento a 3 anni e 9 mesi al collegio presieduto da Rosanna Ianiello. Nella proposta il difensore condizionerà l’applicazione della pena all’esclusione dell’associazione per delinquere di stampo mafioso. Al collegio a quel punto si prospetterà una triplice strada. Accogliere subito il patteggiamento: ipotesi, però, altamente improbabile perché supporrebbe una sconfessione immediata dell’impostazione dell’accusa che ruota intorno al 416bis. Accantonare la proposta e ridiscuterla nel merito al termine del dibattimento: via d’uscita per il collegio ritenuta forzata dal legale perché la formulazione dell’articolo 448 del codice di procedura penale impone al giudice di sciogliere subito la questione. Oppure, ed è l’insidia immaginata dal difensore di Buzzi, respingere il patteggiamento: strada che sarebbe obbligata per il tribunale secondo l’avvocato Alessandro Diddi.
L’implicazione di questa terza opzione sarebbe devastante per il futuro del processo. Dopo aver respinto la richiesta, sarebbe, infatti, inevitabile per il collegio spogliarsi del procedimento perché, decidendo di ritenere infondata la proposta, vorrebbe dire che i giudici avrebbero già anticipato un giudizio sul merito del processo dopo la visione del fascicolo. A quel punto diventerebbe indispensabile trasferire il processo a un altro collegio con conseguente spostamento del dibattimento ad altro giudice.

Mentre Luca Odevaine, già capo di gabinetto di Walter Veltroni e in seguito capo della Polizia provinciale sotto Zingaretti ed ex componente del Tavolo tecnico sull’immigrazione del ministero dell’Interno all'epoca presieduto dall'attuale prefetto di Roma Gabrielli, sempre ieri è riuscito ad ottenere gli arresti domiciliari, si delinea con precisione l'organigramma dell'organizzazione che faceva capo a Massimo Carminati. Secondo il procuratore capo Giuseppe Pignatone, l’aggiunto Michele Prestipino e i sostituti Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli che hanno coordinato l'inchiesta condotta dal Ros dei Carabinieri, l’associazione mafiosa sarebbe composta in questo modo: Carminati, il suo braccio armato Riccardo Brugia, Luca Gramazio (politico ex consigliere comunale e consigliere regionale Pdl), Fabrizio Franco Testa (per i rapporti istituzionali), Buzzi (rapporti imprenditoriali), Cristiano Guarnera (imprenditore), Giuseppe Ietto (imprenditore), Agostino Gagliano, Franco Panzironi (ex ad di Ama), Carlo Pucci (pubblico ufficiale), Roberto Lacopo (destore di distributori di carburanti per l’organizzazione), Matteo Calvio (estorsioni e recupero crediti), Fabio Gaudenzi (riciclaggio e reinvestimento dei guadagni), Nadia Cerrito (segretaria di Buzzi), Carlo Maria Guarany (collaboratore di Buzzi), Alessandra Garrone (compagna di Buzzi), Paolo Di Ninno (commercialista di Buzzi), Claudio Caldarelli (rapporti istituzionali), Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero (vicini alla cosca di ’ndrangheta Mancuso di Limbadi). Queste le figure principali che spiccano fra i 46 imputati che domani andranno in giudizio.
Alcuni di loro, quelli in regime di 41bis, non saranno presenti in aula. Saranno collegati in videoconferenza dagli istituti dove sono detenuti. Un metodo organizzativo ormai usuale nella conduzioni dei processi per mafia nel nostro Paese. Metodo che gli avvocati del Foro di Roma ritengono, invece, una violazione dei diritti degli imputati. Per questo nei giorni scorsi la Camera Penale di Roma ha ritenuto di invitare gli avvocati difensori a tre giorni di astensione dalle udienze. Ma non si tratta dell'unica azione intrapresa dall'organismo. Infatti a settembre è stato presentata una denuncia per divulgazioni di atti coperti da segreto istruttorio e segreto d'ufficio nei confronti di ben 96 giornalisti (dai cronisti ai direttori di testata) che hanno pubblicato brani delle due ordinanze chiave (che sono documenti depositati e pubblici) dell'inchiesta su Mafia Capitale del 2 dicembre 2014 e del 4 giugno 2015  e quindi citando stralci di intercettazioni riportate nelle stesse ordinanze. Un'iniziativa, questa, letta dagli stessi organismi che rappresentano i giornalisti una sorta di intimidazione di massa verso gli operatori dell'informazione. E un precedente allarmante. Un'azione del genere fino ad oggi non era mai stata messa in atto non solo nel nostro Paese ma in tutta Europa.
Ecco il clima nel quale si apre il “processone”. Segnato, come era prevedibile, dal silenzio dell'imputato numero uno: Massimo Carminati. L'ex terrorista dei Nar che non disdegnava di fare affari con la Banda della Magliana, indagato, processato e alla fine, per il rotto della cuffia, assolto in processi come quello per l'omicidio Pecorelli e quello per il depistaggio sulla strage della Stazione di Bologna. Il rapinatore spericolato del caveau del Banco di Roma, anzi per la precisione dell'agenzia all'interno del Tribunale della Capitale. Più di 140 cassette di sicurezza svuotate. Soldi, gioielli e tanti e tanti faldoni segretati sia di avvocati che di magistrati. I segreti del Tribunale delle nebbie? Non è un'idea balzana pensarlo. E, per molti, temerlo.
Fra poche settimane, e nessuno sembra fare qualcosa per impedirlo, Abbatino il pentito che con le proprie dichiarazioni inchiodò la Banda della Magliana compreso Carminati dovrà abbandonare il domicilio protetto e l'identità di copertura. Poche miglia di euro come liquidazione. Fine rapporto, così hanno deciso magistrati e Ministero con tanto di parere favorevole della Procura di Roma. Probabilmente – senza soldi e senza lavoro e in precarie condizioni di salute - Abbatino sarà costretto a tornare a casa, a Roma, con il proprio nome e senza alcuna protezione. Oltre a quelli tornati in carcere o agli arresti per le ultime inchieste, praticamente tutti gli appartenenti alla “vecchia” Banda della Magliana sono usciti di prigione. Fine pena. E con un conto aperto con il pentito. Possibile che il contributo che può ancora dare al processo su Mafia Capitale (che gli stessi pm descrivono come diretta evoluzione della vecchia Banda) non sia stato ritenuto abbastanza importante per prolungare la protezione a Abbatino? E ancora peggio, che messaggio è stato lanciato ad eventuali protagonisti della nuova stagione criminale che forse stavano valutando l'ipotesi di aprire una collaborazione con la giustizia?
Ecco come inizia il “processone”. Buona visione.

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