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di Davide de Bari
Nei giorni scorsi si è celebrato il decennale anniversario della morte dell’ex presidente della Repubblica dal 1985 al 1992, Francesco Cossiga. Molti lo ricordano per quelle sue “picconate” che fecero crollare la cosiddetta “Prima Repubblica”. In realtà più che le “picconate” c’è bisogno di ricordare che Cossiga, nel corso del suo mandato, attaccò quelle nuove correnti politiche che stavano avanzando: dalla Lega per passare alla Rete di Leoluca Orlando. Come ha ricordato il giornalista de “Il Fatto Quotidiano”, Gianni Barbacetto, Cossiga non ha “aiutato il rinnovamento del Paese”, ma “ha espresso perfettamente il senso profondo della politica italiana, è l’icona della Prima Repubblica che trapassa nella seconda e la legittima. - ha aggiunto - È stato un anticipatore: dopo il rigoroso silenzio istituzionale dei primi anni al Quirinale, lo spirito del tempo si è impossessato di lui e lo ha spinto a forsennate esternazioni che hanno fornito il modello per gli attacchi a un potere dello Stato, la magistratura, che poi Silvio Berlusconi renderà metodo di governo e programma politico; e il suo linguaggio allusivo, violento e antistituzionale sarà in seguito la cifra politico-comunicativa di Umberto Bossi (e di tutti gli Sgarbi e i Salvini della variopinta scena italiana)”. L’ex capo dello Stato fu uno di quelli che sosteneva la teoria che “le cose sporche della politica”, come (rubare, avere doppie fedeltà, coprire logge segrete, impiegare l’eversione, utilizzare il terrorismo, ricorrere all’omicidio politico, fare le stragi, stringere patti con le mafie), dovessero essere negati. In un’intervista del giornalista Massimo Fini, il quale gli chiese come mai appoggia i socialisti, Cossiga rispose “perché i socialisti difendono me”. Nel 1994, nel suo libro Io, Bossi e la Lega, Gianfranco Miglio (ideatore della Lega Nord) raccontò che il 26 maggio del 1990, pochi giorni dopo l’affermazione della Lega di Bossi alle amministrative, Cossiga, allora presidente della Repubblica, aveva telefonato a Miglio, soffiandogli nella cornetta in tono concitato: “Di’ ai tuoi amici leghisti che sono indignato con loro: devono piantarla. Non mi mancano i mezzi per persuaderli. Rovinerò Bossi facendogli trovare la sua automobile imbottita di droga; lo incastrerò. E, quanto ai cittadini che votano per la Lega, li farò pentire: nelle località che più simpatizzano per il vostro movimento aumenteremo gli agenti della Guardia di Finanza e della Polizia; anzi li aumenteremo in proporzione al voto registrato. I negozianti e i piccoli e grossi imprenditori che vi aiutano verranno passati al setaccio: manderemo a controllare i loro registri fiscali e le loro partite Iva; non li lasceremo in pace un momento. Tutta questa pagliacciata della Lega deve finire!”. Un fatto grave, che Cossiga non ha mai smentito e che però è rimasto sempre nascosto dai riflettori.

I rapporti con i servizi ed eversione
L’ex presidente della Repubblica durante gli anni di piombo era ministero dell’Interno e subito dopo l’omicidio di Aldo Moro si dimise. Come raccontato dalla figlia di Cossiga, Anna Maria, l’ex presidente di notte si svegliava e diceva: “Sono stato io a uccidere Moro”. Non sapremo mai come sono andate le cose in quanto quei segreti sul delitto Moro, l'ex capo dello Stato se lì è portati nella tomba e in vita fu convinto sostenitore della “pista internazionale”. Nel 1961 Cossiga fu nominato capitano di corvetta da Giuseppe Gronchi e nel 1972 capitano di fregata da Giovanni Leone. I suoi legami con i servizi segreti erano ben noti: da sottosegretario alla Difesa con delega ai Servizi segreti (con Giulio Andreotti ministero) riuscì a trasformare il dossier sul golpe Borghese da “malloppone” a “malloppino”, decidendo gli omissis da apportare al rapporto sul progettato colpo di Stato da far scattare dopo la strage di piazza Fontana. In modo tale da coprire il ruolo dei servizi deviati, ma oltre a questo furono salvate anche le posizioni di personaggi come Licio Gelli (Maestro venerabile della Loggia P2). Tra la fine del 1976 e l’inizio del 1977 (da ministro dell’Interno) incontrò in Spagna il fondatore di Avanguardia nazionale, Stefano Delle Chiaie, che era latitante. Ma Cossiga era un uomo di Stato, ma di quale Stato? Secondo il giornalista Barbacetto, Cossiga era l’uomo dello Stato “segreto e sotterraneo che utilizzava le istituzioni democratiche come un simulacro entro cui impiantare i poteri reali che dovevano comunque condurre il gioco, al di là delle apparenze. Per questo è sempre stato un fan di Servizi segreti e logge massoniche, meglio se 'riservate'. Perché erano (sono?) gli strumenti con cui la democrazia diventa apparenza, le istituzioni sono ridotte a mezzi”.

L’esistenza di Gladio
L’ex presidente della Repubblica, in un'esternazione a Edimburgo nel 1990, parlò per la prima volta dell’esistenza della struttura paramilitare, denominata “Gladio”. Cosa che fece poi Andreotti davanti al parlamento il 24 ottobre 1990, spiegando che Gladio fu la prima organizzazione aderente alla rete Stay-behind. Nel libro “La versione di K”, Cossiga riferendosi ad Andreotti disse: “Mi ha risposto che, ormai caduto il Muro di Berlino, non vi era più alcuna ragione per non raccontare come stavano davvero le cose. Tanto più, aggiunse, che aveva concesso al pm veneziano Felice Casson [...] il permesso di andare a vedere negli archivi dei Servizi Segreti: a quel punto c'era poco da sperare che non avrebbe ricostruito tutto”.

Contro la magistratura
L’ex presidente attaccò anche quella parte di magistratura che aveva come obbiettivo di far rispettare la legge soprattutto a quella classe dirigente che fino a quel momento non l’aveva fatto. Anche contro i magistrati che stavano indagando sulle stragi e sull’eversione nera: da Felice Casson a Claudio Nunziata e Libero Mancuso. L'ex capo dello Stato si rivolgeva al Consiglio Superiore della Magistratura affinché adottasse dei provvedimenti disciplinari contro quei magistrati che si volevano spingere oltre per capire i reali rapporti tra eversione e servizi di sicurezza.
Fino al giorno della sua morte, Cossiga ha sempre scelto la via del silenzio e non ha raccontato come sono andate le cose. Segreti impronunciabili e ricatti che tutt’oggi continuano a influenzare la democrazia italiana. Più che “picconatore”, forse Cossiga appare come uno dei presidenti “più loschi” della Repubblica.

Foto © Imagoeconomica

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